C'è una voce nel romanzo di Murakami, Afert Dark, pubblicato alla fine del 2008 per Einaudi. A dire il vero sarebbe più esatto parlare di uno sguardo che si innalza sopra la metropoli di Tokyo, la osserva in silenzio, fa tesoro di tutto ciò che vede, non dà giudizi, non ferisce coloro che sta guardando. Questo sguardo sconosciuto, che accompagna il lettore fino alla fine del romanzo, non fa altro che ritrarre, nel modo più obiettivo possibile, ciò che gli si presenta dinanzi.
E lo scenario descritto porta i contorni sfocati di un sogno che si confonde, sempre più spesso, con la realtà. E' mezzanotte. Mari, una studentessa di lingue, decide di non tornare a casa per sfuggire a se stessa ma anche ai segreti che si celano nella sua famiglia, in primis la sorella che vegeta in uno stato semicomatoso da parecchio tempo sotto lo sguardo impotente dei genitori e dei medici. Mari si rifugia in uno dei tanti bar di Tokyo, in un quartiere che non conosce la notte.
Sarà proprio in questo bar che Mari incontrerà Takahashi, un giovane jazzista, amico della sorella. Lui la riconosce, si siede al suo tavolo e iniziano a parlare. Discorsi che all'apparenza sembrano vacui, inespressivi e invece rappresentano il modo di entrare in contatto tra due anime solitarie, che sfuggono, per motivi differenti, a se stesse, ma che reagiscono con atteggiamenti altrettanto differenti. Tramite Takahashi, Mari conoscerà Kaoru, la manager di un love hotel, e attraverso quest'ultima verrà a contatto con un mondo dove la violenza regna e a subire sono proprio le donne, o meglio le ragazze giovani. Mari infatti aiuterà Kaoru a soccorrere una giovane prostituta cinese picchiata da un cliente, un impiegato che lavora in un ufficio dello stesso quartiere e fa i turni di notte, e che è solito frequentare proprio il love hotel gestito da Kaoru.
Le anime di queste persone, i loro destini si scontrano, talvolta si tengono per mano. Urlano nella notte il loro dolore, la loro paura, spezzano la solitudine. Ma quelle che emettono sono urla mute. E questo rende ancora più surreale il romanzo che tiene ancorato alle sue pagine il lettore, fino alla fine, quando chiude il libro. Ma a quel punto qualcosa dentro il lettore è sospeso, in bilico tra sogno e realtà, come i personaggi del libro di Murakami.
Davvero geniale quella di ridurre il narratore ad un puntino infinitesimale, vacuo, leggero, che osserva gli avvenimenti senza disturbare, quasi in punta di piedi. Un ritratto schietto del rapporto dei giapponesi con i loro affetti. Devastante.
RispondiEliminaConcordo con quanto hai detto. Trovo che Murakami metta molto della sua vita nonostante la sua scrittura, i suoi libri, nascano sempre da qualcosa di ben calibrato e studiato. Come se l'impeto iniziale venisse soffocato (o comunque attenuato) dal raziocinio. In questo processo anche il suo modo di rapportarsi scivola tra le pagine dei suoi romanzi.
RispondiEliminaGrazie per il tuo commento!