Irène Némirovsky non solo è considerata una delle scrittrici novecentesche più controverse ma anche colei che meglio è riuscita a scavare nell’animo umano utilizzando una sensibilità rara per l’epoca in cui scrive, una creatività che non teme di addentrarsi nella profondità dei temi trattati attraverso l’accurata analisi psicologica dei personaggi che popolano il suo mondo.
Adelphi, che dal 2005 ripropone i suoi romanzi, ha dato alle stampe un altro capolavoro della scrittrice ebrea ucraina, Il vino della solitudine. Un titolo che conduce il lettore nel delicato mondo della protagonista, una bambina di otto anni di nome Hèlene, costretta a fuggire, insieme alla famiglia, da una cittadina della Russia a causa della rivoluzione bolscevica rifugiandosi a Parigi, come molti altri connazionali. La vita di questa bambina è scandita non solo dagli instabili movimenti politici e dalle rivoluzioni che dominano quel momento storico nell’Europa dell’Est ma anche dal fermento culturale parigino che influenza la vita di Bella, la madre di Hèlene.
Centro nevralgico per molte famiglie benestanti dell’Europa orientale, oltre che per molti artisti, Parigi rappresenterà un momento di svolta nella vita di Helène, che si ritroverà ancora più sola di quanto già non fosse prima. Il cuore della narrazione riguarda il rapporto tra la bambina e Bella, la madre, una donna accecata dalla superbia e dall’egoismo, avida dei soldi del marito, nei confronti del quale non nutre alcun tipo di sentimento, se non un legame morboso con la sua ricchezza. Le energie della madre di Hèlene vengono spese per conquistare le attenzioni degli uomini, mentre è totalmente incurante del bisogno di attenzioni che richiede silenziosamente la figlia, la quale cresce nutrendo un odio profondo per questa donna così concentrata su se stessa.
Quella di Hèlene è una vita di solitudine e incomprensioni, di silenzi e cose taciute. E tutto ciò sfocia in un bisogno di vendetta, in una sete di giustizia domestica che si espliciterà quando Hèlene diventerà grande. Ma la sua sensibilità e la maturità che ha raggiunto la porta ad essere una donna diversa da sua madre, una donna che non può godere del male e della solitudine altrui. Così Hèlene cerca di riprendere le redini della sua vita, nonostante le insanabili ferite e i vuoti lasciati dalla madre.
Considerato uno dei romanzi più autobiografici, il tema del difficile, se non inesistente, rapporto tra madre e figlia ritorna ed è più ricco di particolari, scava nel profondo forse più di Jezabel (Adelphi, 2007), e a questo tema si intreccia l’instabilità del periodo storico che Hèlene, allo stesso modo di Irène, sta vivendo con conseguente sconvolgimento della sua vita. Anche in questo caso l’analisi è più curata e racconta maggiormente la vita di questa famiglia di quanto la scrittrice non abbia fatto nel romanzo I cani e i lupi (Adelphi, 2008).
Nessun commento:
Posta un commento