“Era lei, le sue parole, le sue mani, i suoi gesti, la sua maniera di ridere e camminare, a unire la donna che sono alla bambina che sono stata. Ho perso l'ultimo legame con il mondo da cui provengo.”
--Annie Ernaux, Una vita di donna (Guanda, 1988, traduzione di Leonella Prato Caruso)--
Libro trovato, con fatica, in biblioteca. Un libro che mi è entrato dentro come tutto quello che sto scoprendo, da alcuni anni a questa parte, di Ernaux, scrittrice francese immensa.
Ho
ripensato ad un’altra mia amatissima, Marguerite Duras che ha scritto “Ho avuto
in sorte una madre dominata da una disperazione totale, dalla quale nemmeno i
rari momenti felici della vita riuscivano a distoglierla. (...) Succedeva ogni
giorno. Di questo sono sicura. Bruscamente. A un dato momento, ogni giorno,
appariva la disperazione”. Annie Ernaux attraverso la scrittura rimette al
mondo la madre. E scrivendo decide, forse per l'ultima volta, di abitare quel
luogo e quel vuoto che il materno rappresentava, quell'altrove dopo averlo
rinnegato per troppo tempo e tentato di riempirlo con il cibo e con il sesso,
con i silenzi e le distanze. “Niente del suo corpo è sfuggito al mio sguardo.
Credevo che crescendo sarei diventata come lei” scrive Annie Ernaux nel 1987.
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