Dentro la scrittura di Annie Ernaux: L'écriture comme un couteau. Entretien avec Frédéric-Yves Jeannet

Continua la mia lettura della nuova edizione per Gallimard del libro “L'écriture comme un couteau”. Entretien avec Frédéric-Yves Jeannet nel quale Annie Ernaux esplicita il suo approccio alla scrittura e rende conto della sua “posture d'écrivain”. Dopo la traduzione dell'incipit, propongo qui la traduzione di alcune pagine che danno un'immagine importante del suo approccio alla scrittura definita autosociobiografica. ***Amo la scrittura di questa donna***




Nella mia pratica di scrittura, tendo a considerare il diario come qualcosa di separato. Innanzitutto perché è stato il mio primo modo di scrivere, senza alcuna ambizione letteraria particolare, un semplice confidente e un aiuto per vivere. Ho iniziato un diario intimo quando avevo sedici anni, una sera di dolore, in un periodo in cui non avevo intenzione di dedicare la mia vita alla scrittura. Ricordo che all'inizio cercavo di 'scrivere bene', ma molto presto ha prevalso la spontaneità: niente correzioni, nessuna preoccupazione per la forma né obbligo di regolarità. In ogni caso, scrivevo per me stessa, per liberarmi di emozioni segrete, senza alcun desiderio di mostrare i miei quaderni a nessuno. Questo atteggiamento di spontaneità, questa indifferenza al giudizio estetico, questo rifiuto dello sguardo altrui (i miei quaderni sono sempre stati ben nascosti!), li ho mantenuti nella pratica del mio diario intimo anche quando ho iniziato a scrivere testi destinati alla pubblicazione. Credo di averli ancora oggi, voglio dire, il non 'prevedere troppo' un lettore.


Ho sempre fatto una grande differenza tra i libri che intraprendo e il mio diario intimo. Nei primi, tutto è da fare, da decidere, in funzione di uno scopo che si realizzerà man mano che la scrittura avanza. Nel secondo, è il tempo a imporre la struttura, e la vita immediata è la materia. È quindi qualcosa di più limitato, meno libero: non ho la sensazione di 'costruire' una realtà, ma solo di lasciare una traccia di esistenza, di depositare qualcosa, senza una finalità particolare, senza alcun ritardo nella pubblicazione, un puro essere-là. Ma devo fare una distinzione tra il diario veramente intimo e il diario che contiene un progetto preciso, come nel caso di Journal du dehors e La vie extérieure, che volutamente si distaccano dall'introspezione e dall'aneddoto personale, dove il 'io' è raro. Qui, la struttura incompiuta, il frammento, la cronologia come cornice, che caratterizzano la forma del diario, sono messi al servizio di una scelta e di un'intenzione: quella di creare una sorta di fotografie della realtà quotidiana, urbana, collettiva.


Per riassumere un po': la scrittura per me ha due forme. Da una parte, testi concertati (tra cui rientrano anche Journal du dehors e La vie extérieure) e, dall'altra, parallelamente, un'attività di diarista, antica e multiforme. (Così, accanto ai quaderni del diario intimo, tengo dal 1982 un 'diario di scrittura', fatto di dubbi e problemi che incontro scrivendo, redatto in modo corsivo, con ellissi e abbreviazioni.)

 

Nella mia mente, questi due modi di scrivere costituiscono un'opposizione tra 'pubblico' e 'privato', letteratura e vita, totalità e incompiutezza. Azione e passività. Anaïs Nin scrive nel suo Diario: «Voglio godere e non trasformare.» Direi che il diario intimo mi appare il luogo del godimento, mentre gli altri testi sono il luogo della trasformazione.

 

Io ho più bisogno di trasformare che di godere. 

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