Mare al mattino: il cuore nero raccontato da Margaret Mazzantini
Leggere l'ultimo libro di Margaret Mazzantini, Mare al mattino (Einaudi, 2011), significa provare compianto e dolore. Ma significa anche nostalgia e rammarico. Nostalgia per l'Africa e i suoi odori, per quei profumi forti e speziati, i colori sgargianti, i sorrisi, le speranze di una terra culla della civiltà. Dolore per quella stessa terra violata, crivellata, attraversata da fiumi di sangue, dalla disperazione di chi combatte ogni tra la vita e la morte.
Una storia, quella narrata dalla Mazzantini nel suo ultimo libro, che sa di sabbia e mare ma soprattutto di mare. Acque fredde, che di notte diventano "carta nera", che sembra assorbire qualsiasi cosa decida di imbattersi tra quelle pagine scure e restituire "un fumo che resta e bagna addosso". E' una storia di mare che ha origini umili: partiti con l'ondata migratoria del '38, italiani (molti dei quali ebrei) fomentati dalle ambizioni di Mussolini si ritrovarono a fronteggiare distese di sabbia eppure questi italiani riuscirono domare il deserto e a trasformare quelle dune in campi coltivabili e villaggi abitabili. Tra gli italiani e gli arabi correva buon sangue, "erano poveri con altri poveri, avevano le stesse rughe di terra e fatica sulla fronte".
E' da una di queste famiglie che proviene Angelina. Araba fino a undici anni, italiana, taliana e tripolina per il resto della sua vita. Praticamente costretta a vivere da profuga nella sua terra e poi ma immigrata nella terra d'origine dei suoi genitori. Ridotta ai margini dalla società stessa con naturalezza e serenità disarmanti, Angelina divenuta adolescente non fa altro che pensare di ritornare dove "la sua vita si era interrotta. Si trattava di unire due lembi di terra, due lembi di tempo. In mezzo c'era il mare. Si metteva i fichi secchi sugli occhi per ricordarsi quel sapore di dolce e grumi. Vedeva rosso attraverso quei semi. Cercava il cuore del suo mondo lasciato". A distanza di anni Angelina insegna al figlio Vito, ormai un uomo, a trovare un luogo dentro di lui, un luogo "che ti corrisponda. Che ti somigli, almeno in parte".
Dall'altra parte del mare, sullo sponde libiche c'è Jamila, una donna che lotta contro la violenza di un dittatore, contro i soprusi dei potenti che pensano solo all'oro nero nascosto sotto le dune di sabbia, trasformando quella terra gonfia di odori in piazze rabbiose, villaggi disabitati e deserti ricoperti da cadaveri in putrefazione. Jamila ha perso il marito e ora, con i pochi soldi rimasti, scappa dall'orrore della guerra per portare in salvo il proprio figlio, Farid. Lui è sempre stato "un bambino tranquillo", un "piccolo uomo". E' solito giocare con i cavi avanzati dal padre, ascoltare sua madre mentre canta e balla, fa dei bellissimi disegni, dipinge una gazzella che vede quasi ogni giorno nel giardino di casa sua. Anche se Farid è un piccolo uomo, la traversata su un barcone si rivelerà in una tragedia mentre Jamila lo stringe e lo culla con il suo canto. Il mare è l'unico crudele e impunito spettatore.
Vito guarda il mare. "Deve decidersi su cosa fare della sua vita, se sprecarla o farla fruttare in qualche modo", ripensa all'insegnamento di sua madre Angelina. Sarà Vito, con pochi e semplici gesti, a dare un senso alla sua vita e, inconsapevolmente, a restituire un pezzo del passato a sua madre ricongiungendolo con la vita stessa di Jamila e Farid.
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