Quando ho scritto l'articolo di presentazione della mostra di Steve McCurry al Marco Testaccio di Roma immaginavo che, una volta visitata, ne sarei rimasta fortemente colpita. Mai però avrei creduto in un tale coinvolgimento. L'ex Mattatoio di Roma, palcoscenico, negli ultimi anni, di mostre, spettacoli ed eventi, attraverso le fotografie del grande Steve McCurry si è trasformato in un luogo altro. Non si ci trova nella capitale d'Italia, neppure in Europa o in qualche altra città del mondo, improvvisamente si ha la sensazione di essere sospesi in un limbo creato dalla forza e dall'energia scaturite da queste fotografie.
Le luci soffuse accompagnano l'osservatore tra una sezione e l'altra della mostra. Piccole grotte metalliche sulle cui pareti sono affisse le fotografie, scattate dagli anni Ottanta ad oggi, di mondi lontani anni luce da noi. Ci si sente infinitamente piccoli e stupidi, stretti nelle nostre misere e scellerate preoccupazioni quotidiane davanti a un bambino peruviano che impugna una pistola e se la porta alla tempia. La foto risale al 2004, le sue lacrime sono il dolore di tanti soprusi, di una vita che non possiamo neppure immaginare. Accanto a questa foto ce ne sono altre che immortalano bambini afgani mentre impugnano dei mitra, con l'autorevole incoraggiamento di adulti che, accanto a loro, li incitano (forse con lo sguardo più che con le parole) ad una violenza che si attacca alla pelle e striscia nei sogni di tanti bambini innocenti.
Non si può restare indifferenti di fronte ad un soldato carbonizzato (fotografia scattata nel Kuwait a metà degli anni Ottanta). Quel ragazzo, probabilmente ventenne, è stato il figlio di qualcuno, ha avuto genitori che lo hanno cullato per anni, lavato, vestito, genitori che lo hanno seguito nella sua formazione scolastica, genitori a cui, all'improvviso, è stato negato il diritto di fare i genitori. Ancora una volta la violenza che, in situazioni e con modalità differenti, si insinua nella vita di giovani ragazzi.
La mostra continua e, talvolta, sembra voler regalare qualche distrazione dalla tensione emotiva creatasi grazie ad alcune fotografie scattate in Italia a Villa Borghese (i due innamorati che si baciano) oppure di fronte a Fontana di Trevi (dall'interno del famoso Hotel che si affaccia proprio sulla Piazza) per non parlare di immagini simbolo della sacralità siciliana o delle tradizioni popolari del meridione.
Ma poi si riprende e le successive rappresentazioni fissano sulla pellicola la solitudine di luoghi remoti, ai confini della Terra. Tra queste fotografie quella che mi ha colpito riguarda il negozio di astrologia di un signore indiano, negozio fatiscente che si affaccia sull'Oceano. I suoi occhi, rivolti alle acque scure, sembrano parlare una lingua a noi sconosciuta.
Credo che non ci sia altro da aggiungere, le immagini parlano da sole. Il viaggio di un uomo, Steve McCurry, che ha visto molto più di ciò che le fotografie svelano. Un Marco Polo d'altri tempi, che indaga anche la violenza e il dolore.
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