giovedì 10 maggio 2012

Antonio Tabucchi, Il piccolo naviglio: recensione e riflessioni


Uscito per la prima volta nel 1978 per Mondadori e portato alla luce recentemente da Feltrinelli, Il Piccolo Naviglio ha segnato gli esordi di Antonio Tabucchi dopo Piazza D'Italia. Era un Tabucchi lontano dalla poetica e dal lirismo letterario che hanno scandito la sua produzione nel tempo avvicinandolo al realismo magico di certi autori sudamericani, alla letteratura portoghese e a quell'intreccio di sentimenti, tragicità umane, sogni e metafore annoverandolo come uno tra i maggiori scrittori contemporanei.

Ho letto pochi giorni fa, per la prima volta, Il Piccolo Naviglio e non tanto per omaggiare uno scrittore scomparso da poco e amato dal pubblico, quanto perché attirata da questa storia che ha inizio molti anni prima rispetto ai ricordi di Capitano Sesto e più precisamente quando "Leonida (o Leonido) stava attraversando a nuoto un torrente gelido". 

Riproporre la trama credo che sia impresa ardua dal momento che si tratta di cinquant'anni (o anche di più) di storia d'Italia ma soprattutto cinquant'anni di storia di una famiglia.
Una storia dentro la storia, immagini racchiuse in altre immagini e colui che percorrerà "a ritroso tutta la sua rotta" sarà proprio Capitano Sesto.

Ed è così che ci si ritrova negli anni a cavallo tra Otto e Novecento quando Leonida si getta nelle acque di un torrente gelido per sfuggire a un destino che non gli si addice, poi è la volta del primo Sesto che trascorre la sua infanzia in un paese tutto sassi, e quando giunge all'età dell'adolescenza, lui che aveva nutrito da sempre un'animo solitario e incline al vagabondaggio, sale sulla diligenza e parte per il seminario. 

E' la volta di quel Sesto che, insieme ad Anselmo Menichetti legittimato Zanardelli, gioca in riva al fiume nascondendo, in seguito ad una scommessa, una tromba per auto in fondo al vecchio pozzo. Questo Sesto (che da bambino veniva chiamato Marianna) è legato visceralmente all'Hotel Majestic, dal quale le "madri" gli mandavano periodicamente alcune lettere (oltre a un temperino in madreperla verde). La storia digrigna i denti, corre veloce su binari inesorabilmente dritti che portarono Sesto detto Marianna e Anselmo Menighetti legittimato Zanardelli ad occupare due lati opposti della storia stessa. Ed è a questo punto che si apre un dolce, quanto poetico, capitolo relativo Amelia Degli Angeli, entrata nella vita di Sesto. La prima parte de Il piccolo naviglio si chiude proprio con la scrittura evanescente, lirica, metaforica e simbolica che caratterizzerà il Tabucchi degli anni successivi, quel Tabucchi che ho tanto amato.

Si riprende con Anselmo Zanardelli ("molto tempo prima Menichetti") e il piccolo Alcide che vede un cane uscire dalla tappezzeria (ecco che ci si avvicina, ancora una volta, al realismo magico del Tabucchi che ha scritto e amato la letteratura sudamericana). La storia continua, i piccini diventano grandi, si fanno adulti e lasciano le vesti infantili lungo una strada tortuosa, tutta sassi, come il paese dove ha inizio il romanzo.
Compare anche Socrate, riflessivo, curvo sulle sue carte, assorto nella ricerca di una verità che è la stessa a cui tenta di giungere Capitano Sesto ripercorrendo "a ritroso tutta la sua rotta".

Tabucchi, con una scrittura pulita, lineare pur nella complessità dell'intreccio narrativo, una scrittura poetica e realistica al tempo stesso, racconta la storia d'Italia al cui interno si dipana la storia di una famiglia, passando di generazione in generazione. Lo scrittore insegna che "essere adulti è solo avere disimparato ad essere bambini" e insegna anche che la storia ci ricorda sempre i nostri errori, bussa alla nostra porta quando meno ce lo aspettiamo. Spesso la storia si ripete, a volte è lei che fa errori, ma comunque resta l'indiscussa protagonista della vita di ognuno di noi. E' seguendo la storia personale e privata, indagando su se stessi, che si arriva a conoscere il mondo.

Ci vuole coraggio per risalire la rotta ma alla fine, quando si sciolgono i nodi della vela, tutto ciò che resta è l'emozione per una storia che, presto o tardi, ci travolgerà. 

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