L'idea di postare immagini di alcune delle più moderne e affascinanti capitali europee le cui mura ospitano attraenti opere di street artist, nasce da una riflessione, in seguito ad alcune letture, sull'importanza di sdoganare un approccio alla street art troppo spesso esitante da un lato e ardito dall'altro. Penso a certi critici che si espongono parlando dei graffiti come mere azioni di "protesta tesa a danneggiare l'altro" oppure scrittori che guardano all'arte di strada con fare altezzoso, rifugiandosi nelle convinzioni secolari che hanno da sempre nutrito le loro conoscenze.
Ecco quindi la necessità, in un blog che tratta anche di street art, di fare luce su questo tipo di arte, bistrattato e, nel caso italiano, poco considerato. I numeri dell'Italia, se paragonati a quelli americani, sono nettamente differenti. Tuttavia non possiamo permetterci di competere con chi ha partorito la street art. Personaggi come il writer Eric Felisbret (che ha recentemente pubblicato Graffiti New York, un saggio edito da Abrams Books e composto da più di 1000 immagini storiche e non sull'evoluzione del graffitismo nella grande mela) è stato uno dei primi a cercare di dare nuova vita alla stazione Grand Concourse nella 149esima strada. Ed è proprio in quel laboratorio creativo che non mancarono gli stimoli artistici e la volontà di dare voce a chi era costretto a nascondersi per fare arte. Felisbret si elegge quale leader di un movimento e di una cultura che conoscerà grande fortuna.
Con Eric Felisbret siamo negli anni '70, periodo in cui i writers iniziano a prendere una certa confidenza con le mura del Sounth Bronx di New York (ma è dagli anni '60 che si aggirano guardinghi per le strade della Grande Mela) per esprimere un disagio profondo, un malessere e quindi per ritrovare quello spazio che la società americana sembra aver negato loro. Si tratta di afro-americani, portoricani e, più in generale, immigrati.
Le radici del graffitismo sono da ricercare nella cultura hip hop, termine che risale alla cool culture dei musicisti bebop degli anni '40. Questa non è la sede per discutere della storia dell'hip hop culture in relazione al graffitismo e di quest'ultimo con la street art (a tal proposito consiglio la lettura di Painting Without Permission: Hip-Hop Graffiti Subculture di Janice Rahn del 2002 oppure Writing: storia, linguaggi, arte nei graffiti di strada edita da Castelvecchi nel 1999) tuttavia è importante sapere del legame viscerale che unisce hip hop, graffitismo e street art.
In un quadro storico-culturale di questo tipo, si capisce come l'Italia parta svantaggiata in quanto nazione che importa e apprende un tipo di arte non propriamente sua. Nonostante ciò l'atteggiamento, come detto sopra, non è sempre stato accogliente nei confronti di un movimento artistico che rischia di trasformarsi in un movimento nascente proprio per i ritardi con i quali è stato accettato. Certo qualcuno potrebbe obbiettare che Castelvecchi ne parlava già nel '99 ma è risaputo che tale casa editrice sia particolarmente attenta alle nuove tendenze, alle avanguardie e alle innovazioni non solo in campo editoriale. Quindi, purtroppo, quella di Castelvecchi resta un'esperienza isolata nel panorama artistico-letterario italiano.
Esperienza che ha avuto il merito di smuovere le acque e agitare gli animi di critici, giornalisti e anche artisti. Dopo i fermenti americani degli anni '70 e l'apporto dato da artisti come Keith Haring e Jean-Michel Basquiat negli anni '80 e proseguito negli anni '90 anche l'Italia inizia a volgere lo sguardo oltreoceano, molti artisti subiscono il fascino del graffitismo prima e della street art dopo e propongono le loro opere sulle mura delle maggiori città italiane. Da Milano a Roma, da Napoli a Bologna, l'Italia si colora di nuove tendenze artistiche.
Ma si dovrà aspettare il terzo millennio perché la street art emerga dal cono d'ombra nella quale l'Italia la stava relegando. Nel 2007 è stata organizzata al PAC di Milano la mostra Street Art Sweet Art, appoggiata e sostenuta da Vittorio Sgarbi.
Sempre nel 2007 viene fondata l’Associazione ISA Italian Street Art, con sede in Lombardia e attiva su tutto il territorio nazionale, "su intuizione di un gruppo di appassionati al tema della promozione culturale della street art nel 2007, riorganizzando esperienze associative partite negli anni ’90".
Alcuni anni prima su internet nasce UrbanTrash inizialmente "modesto archivio fotografico di graffiti, opere di street art" diventato poi nel 2008 "portale di graffiti, che viene tutt’ora alimentato periodicamente di opere di street art, gallerie di artisti, mostre ed eventi, ecc".
Negli stessi anni nascono siti dedicati alla street art, al graffitismo e agli artisti, emergenti e non, in questo settore artistico.
Nonostante la fioritura, nell'ultimo decennio, di luoghi (virtuali e reali) dedicati alla street art e al graffitismo in Italia, la critica ancora non dedica abbastanza spazio a quest'arte storicamente rilevante e culturalmente imponente. Partire dal sottobosco sperimentale delle grandi metropoli italiane e allargare l'orizzonte alle nuove correnti artistiche e a chi dà voce alle stesse sarebbe forse il primo passo verso una vera struttura e organizzazione della street art italiana. Creare riviste riconosciute (ma soprattutto finanziate) da enti e ministeri (l'iniziativa legata alla street art italiana promossa dal Ministero della Gioventù e dall'ANCI nel 2011 non dovrebbe rimanere un caso isolato), dove famosi artisti e giovani emergenti trovano spazio per far conoscere le loro opere (penso a Juxtapoz Magazine o Hi-Fructose) potrebbe essere un modo per avvicinare il grande pubblico a un tipo di arte alternativa, che utilizza altri luoghi e altri strumenti ma che, nonostante ciò, ha voglia e bisogno di raccontare e raccontarsi.
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