Leggevo, un paio di settimane fa, che le parole con la maiuscola celano un tranello e pretendono un rispetto che la loro astrattezza illuministica non merita. Eccezion fatta, nell'articolo in questione, per la parola Poesia(*). E a questa, aggiungo, si potrebbe accostare la parola Arte. Quando si parla di Arte si tende a usare un fraseggio desueto, periodi lunghi e ricercati. Eppure talvolta ci si trova di fronte ad artisti sanguigni, le loro idee nascono dalla pancia, sono istintive, conservano contraddizioni, non temono di svelarsi. Raccontano, dicono, fanno parlare di sé, fanno riflettere. La loro Arte è gioia e violenza, indagine e ricerca della verità, è racconto, riflessione, è purezza d'intenti.
E' questo il caso dell'Arte di Claudio Calia, illustratore di Treviso che, dopo una fase sperimentale ha iniziato a curare, insieme a Emiliano Rabuiti, produzioni a fumetti per le case editrici Coniglio Editore e BeccoGiallo, a collaborare con il collettivo bolognese Burp! e, recentemente, con Lello Voce e Frank Nemola a Piccola Cucina Cannibale, plaquette poetica, esperimento di poetry comics, cd di spoken word, edita da Squilibri Editore a gennaio 2012.
Quando ti sei avvicinato al fumetto e qual'è l'evento che ha segnato il tuo esordio?
Con i fumetti dell'Uomo Ragno ho imparato a leggere prima delle scuole elementari. Ho sempre fatto fumetti, fin da piccolo. E' stato solo alle scuole medie che ho pensato che potesse in qualche modo essere qualcosa di diverso da un hobby, soprattutto perché ho incrociato una biografia su Elzie Crisle Segar, l'autore di Braccio di Ferro. Una biografia pensata per ragazzi, scritta da Bud Sagendorf, l'assistente di Segar per una vita e poi prosecutore delle avventure del marinaio tatuato. L' "esordio" è stato un fatto estremamente naturale: una fanzine autoprodotta, Mirror, la partecipazione a piccole antologie, l'autoproduzione di un albo "stampato", Lè. Insomma, in sintesi, fatico di più a pensare quando il fumetto non è stato in qualche modo nella mia vita piuttosto che il contrario.
Hai collaborato con BeccoGiallo, casa editrice di qualità, molto attenta ai fumetti d'impegno civile. In questo quadro cos'è che ti ha spinto a scrivere e illustrare Porto Marghera - La legge non è uguale per tutti?
Porto Marghera è stata la mia prima possibilità di realizzare un fumetto "lungo", un esperimento di giornalismo a fumetti che voleva rievocare l'atmosfera di un documentario, di un reportage giornalistico. Avevo già realizzato alcuni fumetti brevi, come il reportage dalle strade di Genova 2001 My Own Private G8 e la serie di "commenti settimanali a fumetti" CominciAdesso. Per questo lavoro c'è stata la scelta consapevole di fare qualcosa: partire dal territorio e il libro con interviste e approfondimenti direttamente sul posto.
Ci puoi parlare delle tue autoproduzioni? Come consideri il self-publishing in un momento storico, come quello che stiamo vivendo, in cui assistiamo a scrittori che raggiungono il successo grazie al self-publishing (mi riferisco al caso di Amanda Hocking)?
Devo dire che quella di Amanda Hocking, che tra l'altro ora mi risulta sotto contratto con un editore, non è una delle esperienze che mi vengono in mente quando penso all'autoproduzione! Autoproduzione per me è stato sempre un concetto anche etico, un insieme di contenuti. Vengo dal mondo dei centri sociali, direi che l'interesse per l'autoproduzione mi è nato sin da giovanissimo per un misto di coinvolgimento nell'organizzazione di concerti e la lettura degli albi di Cerebus di Dave Sim (il più longevo fumetto autoprodotto). Il progetto di antologie del fumetto indipendente Sherwood Comix, che ho curato insieme a Emiliano Rabuiti, è partito dall'autoproduzione per finire in libreria proprio per la volontà di portare certi contenuti sugli scaffali. Il mio primo fumetto autoprodotto, e relativamente distribuito, (che finì pure in fumetteria grazie a Black Velvet!) fu Lè, otto pagine autobiografiche, un trascurabile episodio amoroso di un adolescente liceale raccontato con eccessiva enfasi. Qualche anno dopo serializzai la storia I Baccanti in due albi, 69 piccole pagine contro il potere. Disegnato e distribuito in formato non più grande di un pacchetto di sigarette. I Baccanti, a conti fatti e in diverse edizioni, è probabilmente il mio fumetto più diffuso tra le autoproduzioni. Ricordo bene quando impacchettavo le copie da mandare ai giornali o agli autori che mi piacevano. Quello è stato il primo caso in cui ho ragionato in questo modo, proponendolo direttamente a chi pensavo potesse essere in sintonia. Poi cogliendo l'occasione di una mostra presso l'Happening Internazionale Underground di Milano ho ristampato quasi tutte le cose fatte fino ad allora, era il 2003, e ne ho prodotto tre albi, dal titolo comune Nuvole e diversi sottotitoli (...di quello che fa battere il cuore, I baccanti vol. I, Prigioniero delle gabbie). L'anno dopo è arrivata appunto la prima antologia Sherwood Comix, Comix against global war, e la successiva Vite Precarie, e poi lo sbarco di quel progetto in libreria per diversi editori. Da poco più di un anno sono nella redazione di ANTIFA!nzine, rivista autoprodotta dal centro sociale Corto Circuito di Roma. Insomma, in sintesi: autoproduzione per me è un insieme valoriale che prescinde dall'eventuale ritorno economico - rileggendo anche solo ora la mia risposta vedo che non ho citato i miei calendari dei gatti tascabili, che pure ho realizzato per tre anni e che hanno avuto una diffusione veramente al di fuori di ogni aspettativa, e se ci penso chissà quante altre me ne vengono in mente! Insomma, in definitiva: Autoproduzione, un modo di essere; Editoria, un modo di esserci.
Quali sono le tue fonti d'ispirazione, quali fumettisti ammiri e chi vorresti perseguire?
Oh! Calcolate che io leggo davvero molti fumetti. Per cui ho sempre trovato difficile rispondere a questo tipo di domande. Ammiro tanta, tantissima gente più brava di me, di cui vi consiglierei di leggere a colpo sicuro qualunque cosa con i loro nomi sopra: Munòz e Crepax, Alan Moore e Joe Matt, Go Nagai e Sanpei Shirato, Manu Larcenet e Moebius, Isabel Kreitz e Thomas Ott, Max e Jason, e solo per citarne un paio per diverse parti del mondo, di età differenti, a braccio. So solo che più vado avanti negli anni più sono vecchi i fumetti che mi piacciono: nel dettaglio al momento sono molto coinvolto dalle edizioni integrali di Little Orphan Annie di Harold Gray e Gasoline Alley di Frank O. King.
Recentemente è uscito Piccola cucina cannibale per Squilibri editore, disco/poesia frutto del tuo lavoro insieme a Frank Nemola e Lello Voce. Cosa vi ha spinto verso questo progetto e cosa si intende per disco/poesia? Qual'è il rapporto tra musica, poesia e fumetto?
Lello Voce è un'autorità nel campo dello spoken word, che riporta la poesia alle sue origini orali, nel tentativo di dissequestrarla dalla pagina muta e tornare a farne uno spettacolo per e dentro la comunità. Per cui, nel corso della sua carriera poetica, il cd è presto diventato il supporto privilegiato per i suoi versi (ltre agli spettacoli dal vivo ovviamente) da subito supportato da musicisti di prestigio disposti a prestarsi al gioco di comporre musiche in virtù dei testi, a differenza di come accade normalmente. Se non sbaglio Piccola Cucina Cannibale è il terzo cd di Lello Voce con Frank Nemola alle musiche. Appunto, pensando a questa premessa capirete come il concetto di "libro" stava un po' stretto ad un progetto che nel suo dna ha proprio l'obiettivo di "liberare" la poesia dai libri. Da qui, l'idea di rendere il libro un supporto diverso, un lavoro di poetry comix dove i miei disegni "dialogano", nel senso che non interpretano né raccontano didascalicamente i testi - le nove poesie che compongono il tutto. Una sorta di libretto "da opera", da sfogliare durante l'ascolto, in cui la sostanza - i versi del poeta - diventa motore della creazione di un "oggetto poetico" in cui i limiti tra un verso, una tromba e un segno si fanno indistinti nel tentativo di creare un'atmosfera immersiva per chi ascolta, legge, guarda.
Quanto spazio occupa il fumetto nella tua vita?
Penso a fumetti. A volte mi sorprendo a suddividere mentalmente in vignette scene di vita appena vissute, visualizzandole da diverse inquadrature, provando a limarne i dialoghi - cosa raramente possibile quando si parla dei propri.
(*): A.Berardinelli, Dei poeti bisogna parlar chiaro. Domenica 27 maggio, Il Sole 24ore
(*): A.Berardinelli, Dei poeti bisogna parlar chiaro. Domenica 27 maggio, Il Sole 24ore
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