Approfondimenti Estemporanei
Surrealismo e Psicoanalisi
Riduttivo, irreale per certi aspetti ma anche sconfortante spiegare la crisi economica con il dissesto finanziario, la confusione che si è creata attorno alla politica e la fuga delle ideologie dai centri istituzionali. Sarebbe riduttivo e in parte irreale in quanto non terrebbe conto di acute riflessioni, e dibattiti che, da qualche anno a questa parte, hanno coinvolto [e stanno coinvolgendo] non solo gli economisti ma anche filofosi, letterati e psicoanalisti. Sul valore di questi ultimi, all'interno del dibattito, vorrei soffermarmi. Silvia Vegetti Finzi si domanda se, in un'epoca di crisi economica, la psicoanalisi ha ancora qualcosa da dire e se ci può realmente aiutare.
Ad ottobre del 2011, Silvano Posillipo [membro Associazione Mondiale di Psicoanalisi e della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi] ha spiegato, durante il primo incontro del ciclo "La psicoanalisi della crisi" presso alla libreria Ubik di Savona, dell'urgenza di ampliare il termine di crisi. Non si può relegare, il termine crisi, solo a un fatto monetario in quanto si sta assistendo soprattutto a una crisi etica: "accade che il tenore di vita dell'uomo venga minacciato da una riduzione dei suoi consumi, in molti casi fino all'impoverimento, alla quasi totale impossibilità di accedere alle forme di soddisfazione eccedenti il mero sostentamento. Da un lato, questa riduzione viene avvertita come angosciante, da un altro sorge l'idea che altri abbiano sottratto, per ruberia, truffa o incapacità, quello a cui si deve rinunciare".
E ancora Posillipo dichiara: "crollato il mito della crescita (seppure la si invochi a panacea di ogni male), si abbattono le credenze: quelle sull'economia politica per prima (gli economisti sono sempre i più sorpresi), la statistica per seconda (anche se si insiste per fare questionari e modelli che puntualmente falliscono), il sapere universitario (regno della disoccupazione che illude con il sapere universale) per terza, lo stato di benessere e lo Stato di diritto (persi per strada, ingoiati dalla frattura dei legami sociali) per quarta. Caduto verticalmente il Nome-del-Padre, con le ideologie che ne sostenevano il ruolo, cedono i princìpi della massa artificiale".
Verso la fine di ottobre 2011 si è tenuto a Milano il Forum LSP che faceva luce sulla psicoanalisi di fronte alle angosce della civiltà: crisi economica, politica e spirituale. Ecco che il termine crisi viene accostato anche a parole come spiritualità , spirituale, e non solo a politica ed economia [in un certo senso viene quindi ripresa la tesi, o meglio l'appello, di Posillipo]. La perdita di senso [o del buon senso?] induce a raggiungere il facile godimento con il minimo sforzo: "la pretesa di avere tutto e subito costituisce infatti, in questi anni, il denominatore comune di sintomatologie che possono sembrare addirittura opposte" tra loro [Silvia Vegetti Finzi].
Stefano Bolognini [Presidente della Società psicoanalitica italiana] qualche anno fa parlava delle nuove sofferenze psichiche. "Sempre più spesso, invece che con i classici sintomi nevrotici, con i tradizionali comportamenti ossessivi o ansiosi, ci troviamo a fare i conti con un dolore sordo, poco strutturato, indefinito. Il fatto è che è l’inconscio a essere mutato".
L'accento sull'inconscio. Bolognini asserisce che è mutato e, forse, non a torto. Ad essere mutate sono le coscienze delle persone. Se, per tutto il '900, l'urgenza, l'obiettivo, il sano mistero, la curiosità intellettuale e artistica era quella di indagare ciò che si celava dietro il reale, oggi l'urgenza vera sembra focalizzarsi su tutto ciò che è materiale, sul possesso della roba [e qui ripenso al racconto di Verga, La Roba]. Non si tratta di banalità della coscienza o superficialità della stessa ma di cambiamento etico che non esclude nessuno. Il substrato inconscio muta con il mutare delle nostre coscienze.
Nel processo creativo e artistico la rappresentazione di un'opera porta, inevitabilmente, all'elaborazione dei turbamenti psichici da parte dell'autore, ad una maggiore presa di coscienza di se stesso, di quelle zone recondite di sé che, altrimenti, sarebbe rimaste inesplorate. La conoscenza di quell'humus psichico conduce l'osservatore nella vita, privata e non, dell'artista stesso. Una delle personalità del '900 che meglio è riuscita a interpretare l'inconscio freudiano, e i cui rapporti con la psicoanalisi non si sono esauriti con l'incontro con Freud, è Salvador Dalì di cui sono stati presentati i lavori del '69, Alice in Wonderland.
Le illustrazioni della della celeberrima opera di Lewis Carroll rispondono a una ricerca estenuante, ad una istintiva riflessione e anche ad una esperienza a metà strada tra surrealismo e metafisica del sogno, dei suoi attributi e significati, dei simboli ravvisabili nel materiale onirico. E' interessante lo studio fatto da Abigail Baird [professore associato di psicologia presso Vassar College] che ravvisa, nelle intenzioni di Dalì, la volontà di rendere protagonista dell'opera di Carroll il tempo, simboleggiato dalla corda usata da Alice per saltare, che rappresenta la ciclicità degli eventi, la loro evoluzione e mutazione e la loro, ripetitività.
L'inconscio freudiano rappresentato da Salvador Dalì ne Alice in Wonderland anticipa "l'inconscio mutato" contemporaneo, quel concetto di cui parlava Bolognini. Un'anticipazione involontaria e inconsapevole, quella di Dalì che, tuttavia, svela non solo il carattere eclettico di una grahnde personalità del Novecento ma anche la fitta corrispondenza tra surrealismo e psicoanalisi, determinante di una società postindustriale, capitalistica e postmoderna, una società liquida, parlando alla Bauman, che necessita, oggi come non mai, degli strumenti della psicoanalisi per far fronte a quella crisi etica nella quale sembriamo sprofondati e per trovare la via d'uscita, quel corridoio segreto, di cui parlava James Ballard, "per un mondo più reale e più dotato di significato".
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