L'apatia e la discontinuità di cui soffre e, al tempo stesso, talvolta è protagonista la letteratura italiana si spegne trovandosi davanti a romanzi come quello scritto da Ilaria Giannini, Facciamo finta che sia per sempre (Intermezzi Editore). In una Toscana dedita alla riflessione e all'impegno, vacillante tra arcaismo e accenni di una modernità latente, stagnante in una cultura popolare e populista, ma anche densa di quel realismo magico dai contorni porosi, Ilaria Giannini miscela le vite di quattro persone, le cui esistenze sono bagnate dalla solitudine, corrose dalle disillusioni ma caparbie nella ricerca di loro stesse, di quell'altro da sé che, senza scadere in azzardati sociologismi, completa e rende forti anche le esistenze maltrattate. Non mi sentirei di parlare di un protagonista unico in quanto il romanzo dà voce a quattro persone. Il loro sguardo verso la realtà è duro tanto quanto le ferite che gli stessi protagonisti si portano appresso. La sfida diventa prerogativa per emergere dall'abisso di cose taciute e nascoste.
Facciamo finta che sia per sempre, romanzo edito dalla casa editrice Intermezzi, si presenta suddiviso in "scene" ognuna dedicata alle storie dei quattro personaggi che si intrecciano tra le pagine della tua prima opera. Puoi spiegarci da dove è nata l'idea di questo romanzo e quale significato assume la suddivisione in scene?
Le "scene" sono in realtà semplicemente capitoli: chiamarli così è un escamotage che serve a sottolineare il salto temporale che li divide l’uno dall’altro. Ho voluto mischiare le carte della narrazione abbandonando l’ordine cronologico, lasciando che sia il lettore a scegliere qual è il legame tra una scena e l’altra.
Nicole, Martina, Stefano e Paolo. Quattro personaggi apparentemente differenti, in realtà le loro vite sono bagnate dalla solitudine e, talvolta, loro stessi si sentono inetti di fronte a svariate situazioni. Si può affermare che hai voluto raccontare uno spaccato della società contemporanea?
La solitudine e l’inadeguatezza di fronte alle aspettative sono temi sempreverdi, validi in ogni spazio e tempo. Non mi interessava fare un’analisi della società, volevo solo raccontare le vicende di quattro persone che cercano se stesse attraverso l’amore e la disillusione che accompagna ogni formazione sentimentale che si rispetti.
La profonda tragicità di cui è intrisa la storia tra Nicole e Martina trascina il lettore in vortice di ricordi e pensieri da cui emerge il dolore delle cose taciute. "Non credo che ci sarà utile raccontarle la tragedia che ha segnato la mia vita, ma Martina vuole guardare in faccia la profondità del pozzo e io non riesco a dirle di no". Sono le parole di Nicole. E' a questo punto che cerca di ricordare il suo passato. Quali sono i sentimenti che ti hanno spinto a scrivere la storia tra queste due donne?
Non lo so. In realtà non so mai davvero perché scrivo una storia, perché nell’infinito delle storie possibili opto proprio per quella. A volte riesco a darmi una spiegazione soddisfacente, mi dico che ho bisogno di rielaborare un trauma o che voglio dare un senso e una voce a quello che ho vissuto e imparato, ma sono bugie pietose. Forse sono le storie a scegliere noi e non il contrario.
"Facciamo finta che sia per sempre, anche se dovesse essere una volta soltanto". Queste sono parole che Nicole sussurra a Paolo anni prima il suo incontro con Martina. Che valenza ha questa frase in rapporto alla figura di Paolo e al dolore di Nicole? E qual è il significato di queste parole all'interno del romanzo stesso?
Facciamo finta che sia per sempre è il disvelamento inconscio dell’illusione chiamata amore e allo stesso tempo è la resa totale al sentimento, la caduta finale nella tana del coniglio. In fondo Nicole sa benissimo che la relazione che sta vivendo è effimera ma per viverla ha bisogno di far finta di non saperlo.
Personalmente Stefano ha attirato molto la mia attenzione. Vive sopra il museo dell'oasi, è curioso e attento, scherza facilmente, non si pone problemi. Disegna. Mi ha dato l'impressione (correggimi se sbaglio) de un ragazzo libero. Forse Stefano è l'unico ad essere veramente libero. E' corretto pensare al personaggio di Stefano in questi termini?
Resto affascinata ogni volta dall’interpretazione che i lettori danno delle mie storie: sono sempre diverse e spesso molto lontane da quello che immaginavo e sentivo io quando le scrivevo. Ma questo è il bello del gioco: l’apertura di nuovi mondi che solo la pagina scritta sa creare. Ognuno di questi mondi è valido e mi interessa tanto più quanto prende le distanze da quello che avevo in testa io.
Dopo Facciamo finta che sia per sempre a quale progetto ti sei dedicata?
Ho partorito un romanzo che si intitola I provinciali e che uscirà dopo l’estate per Gaffi e ho pubblicato qualche racconto qua e là, chi volesse recuperarli trova la lista qui http://traccenellarete.blogspot.it/p/info.html. E siccome scrivere negli anni è diventato una droga per me, ho finito (da poco) il mio terzo romanzo, Quanto è lontano il mare, attualmente in cerca di un editore.
Cosa ne pensi della situazione editoriale italiana? E quale opinione ti sei fatta in merito al self-publishing?
L’editoria in Italia è in crisi e non da poco: è una crisi culturale e di vendite. Le due cose vanno di pari passo: la caccia al bestseller non solo ha impoverito la qualità media dei libri pubblicati ma non ha nemmeno aumentato la quantità di libri acquistati. Evidentemente i criteri di scelta non sono così azzeccati e dimostrano che gli editori non sanno intercettare i gusti dei lettori. I numeri parlano da soli. Detto questo, non credo che l’autoproduzione sia l’unica via e nemmeno la soluzione: non solo perché non tutti gli scrittori possiedono i “mezzi” per produrre un romanzo da zero e farlo circolare, ma soprattutto perché la grande maggioranza dei lettori non va a cercarsi i libri in Rete, nemmeno se lo immagina che esista questa possibilità. È un tipo di approccio culturale che in Italia è ben lontano dall’affermarsi e del resto se tutti mettessero le loro produzioni su Internet verrebbe fuori un mare magnum in cui pochi saprebbero districarsi. Io credo che il lavoro di talent scouting sia necessario e l’editoria tradizionale deve tornare a farlo: è il suo compito, il suo vero ruolo, e dovrebbe farlo bene, alzare il livello della qualità, dar fiducia all’intelligenza del lettore.
Un esperimento nato dalla collaborazione con Enrico Piscitelli e Jacopo Nacci è Cooperativa di Narrazione Popolare, progetto narrativo nato in rete e la prima opera, Lo zelo e la guerra aperta, è stato diffuso in formato epub e pdf dal blog dedicato al progetto stesso in quanto abbiamo deciso che quei racconti si meritavano di arrivare ai lettore e che probabilmente sarebbero circolati molto di più con un sistema di self-publishing, che bypassasse il meccanismo editoriale. In questo modo noi siamo più liberi di costruire le storie a cui teniamo e lasciamo più libero anche il lettore, che con il print-on-demand avrebbe dovuto pagare per l’oggetto-libro. Io non sono attaccata in maniera particolare al libro cartaceo, credo che sia il contenuto quello che conta e come scrittrice spero solo di essere letta dal maggior numero di persone possibili, in qualunque forma [*].
Ilaria Giannini, Facciamo finta che sia per sempre, Intermezzi Editore
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