E' il baluginare di un'illusione, il sempiterno mistero, la ridondanza, mai eccessiva, di un'arte che attinge ora agli aspetti più criticati e criticabili del surrealismo ora al mondo virtuale e fantasmagorico dei videogiochi. Alex McLeod, canadese di origine, si destreggia tra photoshop, effetti speciali, definiti iper-surrealisti, pop art e kitsch.
Se l'atmosfera delle opere di McLeod si rifanno all'arte di Takashi Murakami, mi è sembrato di captare una certa vulnerabilità e suscettibilità ad uno stile forse più attento alle leggi di mercato e ai gusti di un pubblico di massa. Nonostante ciò, McLeod eleva concettualmente le sue opere facendo appello all'immaginario collettivo.
Questo lo si può notare già dal titolo dell'ultima mostra che ha ospitato le sue opere [Galerie Trois Points a Montreal, nel Quebec, Légendes oubliées di Alex McLeod], alla familiarità verso parole come leggende viene accomunata la "dimenticanza" qualcosa quindi che, personalmente, ha evocato i racconti orali tramandati di padre in figlio, quelle cose che hanno il sapore dell'infanzia e si mescolano con la nostra memoria.
La dicotomia tra passato e presente, reale e irreale creata da McLeod attraverso montagne, laghi brillanti e dense nuvole, sprigiona una tragicità contemporanea dovuta alla staticità e all'apparente "mancanza di carattere" dei paesaggi. Un velo di speranza viene, tuttavia, accennato da McLeod nei pochi palazzi e grattacieli che osservano l'innaturalezza del paesaggi stesso. Una speranza che potrebbe essere letta come una nuova sfida tra gli artifici del mondo virtuale e gli esperimenti provenienti dal mondo umano.
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