domenica 30 settembre 2012

The Huffington Post all'italiana


Le recenti dichiarazioni di Lucia Annunziata, direttore editoriale dell' Huffington Post italiano, sono rimbalzate sulle testate giornalistiche online e cartacee e hanno sbigottito non pochi blogger e anche alcuni giornalisti. 

La linea editoriale che Lucia Annunziata ha voluto dare alla versione italiana dell' Huffington Post punta sulle hard news di politica, economia e società oltre alla correlazione tra voci comuni e voci autorevoli. Entrambe le voci, inserite nella colonna di sinistra, sono indice di un progetto tanto ambizioso quanto culturalmente innovativo. Eppure l'apertura mentale e la volontà di dare spazio anche alle voci comuni sembrano stonare con l'affermazione che ha lasciato riluttante parte della filiera editoriale-giornalistica. Mi riferisco alle parole spese dall'Annunziata proprio sui blogger (per il momento duecento, ma la sua intenzione è di toccare i mille) inseriti nel progetto editoriale: "i blog non sono un prodotto giornalistico, sono commenti, opinioni su fatti in genere noti; ed è uno dei motivi per cui i blogger non vengono pagati".

Questa affermazione assume la forma di un autogol da parte della stessa Annunziata che, dapprima, esalta la qualità del giornale e poi afferma che (stando alle sue parole) gran parte della redazione sarà formata da "opinionisti" e non giornalisti.

Daniele Chieffi su Linkiesta ha tentato di capire come "concilia questo con la battaglia che il sindacato dei giornalisti sta conducendo per l’equo compenso", sottolineando che "forse il problema è che quelli sono blogger e non giornalisti. Se è così c’è molta miopia in questo atteggiamento. Far passare il concetto che si possa “contribuire” all’ informazione in maniera gratuita non fa altro che rafforzare la logica degli editori che pagano con una manciata di centesimi un articolo". Riccardo Luna, ricordato nell'articolo di Chieffi, ha parlato di "game changer".  

Ma forse sarebbe interessate sapere quali sono gli altri motivi, per Lucia Annunziata, per cui i blogger non possono essere pagati. Se si tratta di collaborazioni estemporanee relativamente a disparati argomenti forse si potrebbe spiegare la mancata retribuzione. A questo punto però entriamo nella sfera del giornalismo partecipativo e nella logica della visibilità. E in merito all'argomento Pino Rea su Lsdi ha spiegato che "la visibilità può essere un valore analogo al salario: immateriale ma in grado di produrre soldi, anche parecchi soldi (...)  E poi la visibilità è segno di appartenenza, rappresenta un forte elemento di inclusione all’ interno dei vari dispositivi (associazioni, partiti, salotti, club, ecc.) che producono potere sociale".

Tuttavia con Huffington Post si parla, come ha scritto Pino Rea, di "industria editoriale. Di profitti, lavoro, salari". Si parla di un progetto che punta su 5 milioni di euro in pubblicità entro tre anni.
A fronte di queste valutazioni, penso siano doverose ulteriori spiegazioni da parte di chi è a capo di questo nuovo progetto editoriale.

In Italia abbiamo tantissimi casi di ricercatori, studiosi ed esperti di vario settore che forniscono quotidianamente notizie autorevoli, in cui le fonti sono sempre citate ed esplicitate. Mi riferisco, per citare alcuni esempi, al blog di Pier Luca Santoro per quanto riguarda media e giornalismo, a Critica Letteraria per ciò che concerne la narrativa italiana e straniera, Errori di Stampa relativamente al precariato nel settore giornalistico. La lista potrebbe continuare all'infinito. 

Ma che cosa impedisce a un blogger di diventare giornalista o di intraprendere la carriera? Non c'è forse una difficoltà, a volte insormontabile, alla base del sistema giornalistico stesso? Di questo ho già avuto modo di parlare nell'articolo Digital Journalism: quale futuro e quali spazi per giovani giornalisti? in cui riportavo gli annunci di lavoro (se così si può chiamare) che circolano sulla rete alla voce giornalista/articolista/pubblicista e alcune considerazioni in merito. 

Allo stato attuale, di fronte a qualità ed esperienza, mi chiedo se davvero si possa porre un divario così forte tra giornalisti e blogger. 

sabato 29 settembre 2012

Se l'arte illumina la casa: come trasformare i fili di una lampada (design & fantasia)


Fonte:http://twentytwowords.com

Se vuoi essere social (e di questi tempi l'espressione va tanto di moda) devi anche saper organizzare la casa pensando ai fili delle varie lampade che illumineranno ora la scrivania sulla quale si trova il computer, ora il tavolino sul quale è perennemente poggiato il portatile, ora la sedia dondolo dove leggere svariati ebook racchiusi nel proprio e-reader... devo continuare? E se avete una casetta di 55metri quadrati bè non credo ci sia bisogno che ve lo dica ma avrete a che fare con un sacco di fili.

Però c'è chi ha pensato a un rimedio fantasioso per ovviare a questo problema, basta guardare le foto per rendersi conto di come il design artistico unito a un pizzico di fantasia può cambiare lo stile della propria casa, senza scomodare il design low cost di Ilkea o Mondo Convenienza. Non so, io ci faccio un pensierino...

venerdì 28 settembre 2012

La Passione secondo Annie Ernaux

Ritorno a Passione semplice di Annie Ernaux, libro che ho trovato con tanta fatica, come gli altri (qui per leggere qualcosa di questa magnifica autrice francese che mi è entrata dentro, oppure anche qui).

L’ho già detto che amo la scrittura di questa donna?

Un estratto (nel quale non fatico a rintracciare quella passione - voglio chiamarla davvero così? - che mi pervase anni addietro)




Tutto quel tempo, ho avuto l’impressione di vivere la mia passione in modo romanzesco, ma non so ora in che modo la scrivo, se in forma di testimonianza, ossia di confidenza come si usa nei giornali femminili, di manifesto o processo verbale, o invero di commento testuale. Non faccio la cronaca di una relazione, non racconto una storia (che mi sfugge per metà) con una cronologia precisa, “venne l'11 novembre”, o approssimativa, “trascorsero settimane”. Non esisteva per me in quel rapporto, io non conoscevo che la presenza o l’assenza. Affastello soltanto i segni di una passione, oscillando senza posa tra “sempre” e “un giorno” come se un tale inventario mi possa permettere di raggiungere la realtà di quella passione. Non vi è naturalmente qui, nell’enumerazione e descrizione dei fatti, né ironia né derisione, che sono i modi di raccontare le cose agli altri o a se stessi dopo averle vissute, non di provarle sul momento. Quanto all’origine della mia passione, non intendo cercarla nella mia storia remota — quella che mi farebbe ricostruire uno psicoanalista — o recente, né nei modelli culturali del sentimento che mi hanno influenzato sin dall’infanzia (Via col vento, Fedra o le canzoni della Piaf sono decisivi quanto il complesso di Edipo). Non voglio spiegare la mia passione — il che equivarrebbe a considerarla come un errore o una follia di cui ci si deve giustificare — ma semplicemente esporla. 

I soli fattori, forse, da tenere in conto, sarebbero materiali, il tempo e la libertà di cui ho potuto disporre per viverla. 


giovedì 27 settembre 2012

Il Pop Surrealismo satirico di Steve Chmilar



RickshawLa magia che scaturisce dalle pitture e dai disegni di Steve Chmilar è frutto di una raccolta di cliché tanto comuni quanto affascinanti. Credo sia proprio questo che rende l'arte pop surrealista di Chmilar un concentrato di sano immaginario derivato ora dal classicismo, ora dalla satira.

TowerL'ironia pungente mozza il respiro soprattutto trovandosi dinnazi a quadri come Rickshaw (che tra l'altro l'artista spiega nei minimi dettagli, mostrando al pubblico l'origine grafica del quadro in questione), dove il sorriso si sgretola cristallizzandosi in una smorfia oppure a quadri come Tower, in cui la forte simbologia prevale sull'apparente mancanza di proporzioni.

Le note satiriche insite nelle opere di Steve Chmilar richiamano fortemente l'arte di Pieter Bruegel; così come lo stesso artista ha dichiarato in un'intervista al Times Colonist nell'ottobre del 2011, Chmilar deve molto al pittore fiammingo del sedicesimo secolo, ma anche all'arte rinascimentale (in particolare quella di Michelangelo).

Trovo che le opere di Steve Chmilar denotino una bellezza straordinaria, una voglia e un bisogno di sporcarsi le mani con l'astratto, il surreale, l'inconscio ma anche una volontà di mettersi in gioco, di sfidare il passato o, meglio ancora, di porre al centro dei riflettori tematiche ancora attuali. 


mercoledì 26 settembre 2012

Le illustrazioni di Eduardo Recife tra Vintage, Pop Art e Pop Surrealism


Billy Kluver definiva gli artisti pop factualists. Questa definizione era frutto di una profonda conoscenza tra l'americano e molti artisti, un'amicizia che era anche rappresentazione del legame che solo l'amore per l'arte può creare tra due persone. Arturo Schwarz, pubblicando American Discovered, riporta alcune delle osservazioni di Kluver.





Se gli anni Sessanta sono l'espressione di un periodo che ha molta fiducia nei "fatti", un periodo che vede gli stessi oggetti come fatti, questo decennio può considerarsi la nuova frontiera della Pop Art, un terreno creativo in cui il digitale si sposa con gli aspetti artistici più tradizioni. In questo mare magnum nuota con disinvoltura Eduardo Recife, brasiliano d'origine, specializzato in illustrazioni e font.

I suoi lavori sono riconducibili ad un continuo capovolgimento della realtà creando quindi un prodotto finale sorprendente. La sperimentazione, il collage, l'assemblaggio, il design, gli aspetti fumettistici così come quelli caricaturali non sono altro che alcune delle carattistiche ravvisabili nelle illustrazioni di Eduardo Recife. 

Pop Surrealism o Pop Art? Direi che l'arte di Eduardo Recife risponde ad entrambi i movimenti artistici. L'ironia e l'anticonformismo della Pop Art, l'attenzione per il consumismo e i meccanismi che innesca uniti alla trasfigurazione della realtà, all'elogio del sogno e dell'immateriale (caratteristiche del pop surrealism).

Una vostra opinione è sempre gratida, ma prima vi invito a guardare il sito personale di Eduardo Recife, Misprinted Type

martedì 25 settembre 2012

Love e altre opere di Robert Indiana tra Pop Art e Minimal Art

Pop è amore poiché accetta tutto... Pop è lanciare la Bomba. E' il sogno americano, ottimista, generoso, naif. 
Robert Indiana


Non si comprende fino in fondo la Pop Art (*) se non si hanno chiare le radici di questo fenomeno culturale americano, prima ancora che artistico. La Pop Art affonda le sue radici negli anni Cinquanta in particolare nelle trasformazioni culturali che mutarono l'accezione negativa in positiva del termine popolare e nei comportamenti consumistici che investono tutti i ceti sociali. 

Parallelamente alla Pop Art si sviluppano tendenze artistiche che partono da idee e si basano su principi differenti, mi riferisco al coulor field painting e alla minimal art. Alcuni artisti costruiscono una realtà immaginaria che mette in collegamento la Pop Art con queste tendenze artistiche. Si tratta di personaggi come Robert Morris, George Brech e Robert Indiana.

Vorrei soffermarmi proprio su Robert Indiana, ingiustamente dimenticato dalla critica e, soprattutto nei decenni precedenti, incompreso da un punto di vista artistico. Le dinamiche esplicitate dal consumismo determinano una logica dicotomica tra positivo e negativo, progresso e catastrofe, sogno e realtà. Tale dicotomia è caratteristica estetizzante dell'arte di Robert Indiana

Gli opposti confluiscono nelle opere di Robert Indiana. La loro fusione crea un effetto sconcertante. Se con The Slips, datata 1959, Indiana costruisce un ponte fra Pop Art e Minimal Art, con Love Indiana diventa il rappresentante effettivo della Pop Art giocata e interpretata sulle note del Minimal Art e del Design.

E' proprio tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta che le basi del Design vengono riscritte e ridefinite. La creatività personale dell'artista contamina il Design. Robert Indiana cattura la parola chiave di quel periodo storico e la incastona all'interno dell'urban art. Stilizzata, plastica, energica, potente ma anche bizzarra e altamente commerciale, Love è l'inno del surreale e dell'astratto ma è anche l'inno della purezza e compostezza. Difatti Love è una parola che coinvolge l'intera umanità, una parola chiara, pulita ed efficace che assume una sfumatura nuova se collocata al centro di una piazza oppure all'ingresso di un'istituzione. 

Love di Robert Indiana è la dimostrazione della forza della Pop Art unita al minimalismo cromatico e linguistico.

(*) Per la stesura di questo testo si veda Tilman Osterwold, Pop Art, Taschen.

lunedì 24 settembre 2012

New Realism. Il senso dell'esistenza: il saggio di Markus Gabriel con osservazioni di Emanuele Severino e Gianni Vattimo.


Della separazione tra ontologia ed epistemologia avanzata da Maurizio Ferraris come risposta al postmoderno ho già avuto modo di parlare nell'articolo New Realism: da Maurizio Ferraris a Emanuele Severino passando per Bauman e Umberto Eco. Le argomentazioni, che sono state sviluppate in articoli successivi (si veda qui, qui oppure qui), si rafforzano e godono del sostegno di un giovane filosofo tedesco, Markus Gabriel, che ha da poco dato alle stampe il suo libro, Il senso dell'esistenza edito da Carocci.

Il senso dell'esistenza di Markus Gabriel vuole approfondire e convalidare la tesi ravvisata da Emanuele Severino (dibattuta e criticata in un recente articolo su La Lettura del Corriere della Sera): "c'è qualcosa che noi non abbiamo prodotto, e proprio questo esprime anche il concetto di verità". Nel libro Markus Gabriel giunge ad affermare che "l’esistenza è l’apparizione in un campo di senso", ovvero una "modalità di organizzazione, tale per cui qualcosa viene ad essere presentato in un modo particolare".

E proprio sull'esistenza della realtà Gianni Vattimo ha dimostrato, con acute osservazioni, l'importanza e l'attualità del dibattito proprio perchè coinvolge la sfera del mondo oggettivo: "i ragionamenti oggettivi sono quelli dei tecnici. Non esiste democrazia, se il governo è nelle loro mani. I tecnici sostengono di dire la verità e non una verità, la loro". In quella sede Vattimo chiama in causa le responsabilità dei singoli uomini e la mia memoria è andata ad alcune frasi di Sartre: "siamo responsabili in quanto individui. Questa responsabilità non può affidarsi né a un potere né a un Dio".

Di nuovo il dibattito sul new realism si colora e si infittisce di voci, volti e opinioni le quali costruiscono una trama che non volge al termine, ma che è solo all'inizio di un vivace quanto stimolante discorso sul postmodernismo e su tutto ciò che consideriamo postmoderno. 

domenica 23 settembre 2012

Il Diario della Domenica. A un passo dalle Onde

Opera di Antonello Silverini


Fluisco... Pur restando radicata - Virginia Woolf




giovedì 20 settembre 2012

Il carteggio inedito tra Massimo Bontempelli e Giuseppe De Robertis (quinta parte)


Clicca se vuoi leggere la quarta parte.

Caro De Robertis, 
sono certo che, anche se da tanto tempo non ci siamo visti né sentiti, tu mi abbia serbato intatta la stima e l'amicizia che mi hai sempre dimostrata. Non mi pento dunque - anche dopo un così lungo silenzio - a chiederti (se ti pare giusto) di appoggiarmi al Premio di San Marino cui concorro con traduzioni di testi biblici.

Esordisce in questo modo Massimo Bontempelli nella quarta lettera, datata 29 luglio 1950 all'amico Giuseppe De Robertis. Dopo alcuni mesi di silenzio rispetto alla lettera precedente, Bontempelli rinnova l'amicizia chiedendo un appoggio al Premio di San Marino. 

La traduzione, a cui si riferisce Bontempelli, sarà edita da Mondadori nel 1971 e si presenterà con un linguaggio aderente all'epoca ma estremamente poetico e musicale. L'opera si caratterizza come l'incessante e necessario procedere delle vicende umane che costituiscono la storia. La decadenza dell'uomo è l'apice delle vicende ma è proprio in quel momento che l'uomo non si ripiega nel passato ma avverte l'esigenza di reagire e immergersi in una nuova avventura. 

Traduzioni dalla Bibbia presenta alcune figure emblematiche della letteratura e della tradizione poetica; figure che, come osserva lo stesso Bontempelli, si arricchiscono di nuove interpretazioni in base alle epoche nelle quali vengono collocate. Qui Cristo è il Dio del Vecchio Testamento, colui che non è mai stato in terra e che non ha mai vissuto sulla terra. Colui che non scende dal suo trono se non per sterminare i peccatori e aprire le porte di Gerusalemme, dove la vita è contemplazione estatica fuori dal tempo.

Questa figura nel Nuovo Testamento diventa Gesù dai "capelli candidi come lana bianca e come neve, la voce come la voce di molte acque". L'Agnello è la figura di Cristo, è il suo corpo che si è sacrificato per l'Umanità. L'Antagonista, ovvero la Bestia dalle "sette teste e dieci corna che sale dal mare, piedi d'orso e bocca di leone", è Nerone e il periodo di persecuzione che caratterizzò il suo tempo. Alcuni studiosi hanno ravvisato nella Bestia la sete di potere e le sanguinose conquiste da parte dell'Impero Romano, così come gli anni a cavallo il crollo dell'Impero e dei valori sui quali si reggeva.

Quale significato può dare l'Uomo a questi avvenimenti? Ci può essere una spiegazione che affonda nella logica? La razionalità può spiegare la morte, la distruzione, le guerre? E il dolore? La filosofia, la poesia, la letteratura nascono per dare una risposta all'Uomo, per capire il significato di tali azioni. Ecco che Traduzioni dalla Bibbia si configura come una rappresentazione della lotta incessante tra cielo e terra, tra contemplazione e azione. 

Il Duecento, secondo Bontempelli, è stato il periodo di maggiore conciliazione, di stretta vicinanza tra l'Uomo e Dio. Ma fu solo una parentesi, una fugace illusione, difatti la "demenza della storia da tutte le parti riprese a riempire l'aria di rumore fin che l'uomo non tornasse sordo".

Traduzioni dalla Bibbia è un viaggio tra le tempeste, le angosce, i timori umani, una tenzone continua tra cielo e terra che vede un barlume di speranza e pace affacciarsi all'orizzonte: è l'Agnello che accoglie l'Uomo trasformando il suo odio in amore perpetuo. 

lunedì 17 settembre 2012

La materia dei nostri pensieri


Ho sempre pensato che la logica e la razionalità potessero dare un senso alle cose, ordinarle, incasellarle e, probabilmente, anche categorizzarle. Oggi non ne sono così sicura. Ci sono voluti parecchi anni, cadute, scivoloni, qualche abbaglio, tanti errori ma soprattutto tanti sogni per capire che la materia dei nostri pensieri è impastata con l'immaginazione (e anche con tanto altro tipo le cose che non abbiamo il coraggio di rivelare a nessuno, le tentazioni, i rimproveri a noi stessi, l'imbarazzo e alcune paure). 

E allora ho fatto spazio sulla mia scrivania, ho gettato tutto ciò che non serviva, ho accantonato le cose che avrei usato in un secondo momento e ho raccolto in uno scatolone il vecchio e il vissuto. Largo all'immaginazione. Che c'è di male nel perdersi tra i pensieri, nel vagare con la mente, nel fantasticare su quello che verrà o nel modificare il presente? Niente di male. 

Lavoro di fantasia e per vivere lavoro concretamente insegnando a grandi e piccini. Quando ieri ho visto la fotografia di Robert Doisneau ho ripensato a quando, tra i banchi di scuola, immaginavo chissà quali rocambolesche avventure che poi raccoglievo e annotavo in tanti quadernini (non erano mai sufficienti e mi ritrovavo sempre a metà storia, pagine finite e senza un quaderno nuovo in casa).

Da insegnante amo scrutare la fantasia che si cela dietro alla spontaneità infantile. Spesso si dispiega un mondo culturalmente ricco dove abbonda l'amore per la pittura e la scultura, il bisogno, quasi ossessivo, di disegnare, scrivere e ricordare, la necessità di sapere, di chiedere e imparare cose nuove, di dare un senso alle esperienze.
E questo senso viene raggiunto attraverso l'immaginazione e la fantasia, attraverso il gioco e, se vogliamo, l'illusione.

Crescendo si perde questa magica capacità di guardare la realtà ed è un peccato poiché col tempo si rischia, se non si aggiusta il tiro, di vedere tutto grigio. E se i colori sbiadiscono, viene meno anche la forza dell'immaginazione. 

domenica 16 settembre 2012

Diario della Domenica: Che la scuola abbia inizio!

Fotografia di Doisneau

C'è qualcosa di più importante della logica: è l'immaginazione - Alfred Hitchcock

sabato 15 settembre 2012

Space Invader raggiunge anche lo spazio


Ricordate Space Invader, il videogioco di fine anni settanta che fece impazzire l'intera generazione di quel periodo, per non parlare anche della successiva? Ebbene proprio dal famoso videogioco lo street Artist francese, Space Invader, ha preso spunto per il suo nome.

Ma non solo. Space Invader, proprio in questi giorni, ha fatto molto di più, invadendo lo spazio con le sue creazioni in particolar modo con il ragno colorato che ha già calcato la scena delle più importanti città di tutto il mondo.




Fonte: Repubblica.it

giovedì 13 settembre 2012

Installazioni e Sculture alla Gibbs Farm


Gibbs Farm sembra proprio il paese delle favole. Se è vero, come viene descritto, che la luce si riflette sul territorio durante il periodo di secca e che il mare appare come una tavola piatta e azzurra nella quale si riversa il paesaggio circostante, se tutto ciò corrisponde al vero, Gibbs Farm (Nuova Zelanda) non può che essere la terra dei sogni. 

E come in tutti i sogni, passeggiando per la tenuta di proprietà di Alan Gibbs (famoso manager e collezionista d'arte che ha racchiuso, nella Gibbs Farm, l'amore per l'arte e il fiuto per gli affari) si possono ammirare degli angoli magici, mi riferisco ad alcune delle sculture più suggestive del mondo.

Stasera brindo per un evento davvero epocale (almeno per quanto riguarda la mia vita). Sorseggiando del prosecco e qualche bigné salato, guarderò queste foto con mio marito (si, lo so che è un po' da nerd ma ci piace scovare cose strane e scambiarci le "informazioni"). Anche a voi, buona visione!







martedì 11 settembre 2012

Donatella Di Pietrantonio: Mia madre è un fiume


Narrativa italiana - Esordi 

"Sei terra che dolora e che tace, hai sussulti e stanchezze, hai parole, cammini in attesa". Mi sembra quasi di vederla, la terra stanca raccontata da Pavese, di sentirne l'odore, di toccarla e osservare l'inesorabile sgretolarsi tra le dita. 
"E' tenera e porosa, a suo tempo il gelo si dilata nelle fenditure e spacca la roccia". Nel romanzo di Donatella Di Pietrantonio, Mia madre è un fiume (Editore Elliot), si sente il peso di una vita sorretta da quella terra, la terra-madre, l'origine di una storia che attraversa generazioni, una storia che cerca di resistere all'oblio e che viene rievocata dalla voce di chi invece non ha dimenticato.

C'è il dolore di una terra che sanguina generando povertà. Il tempo è nemico dell'amore e sottrae al focolare della casa la madre, restituendole un corpo atto a procreare ma privo della capacità di amare. Ma questo Esperia non lo sa, gli anni le stanno rubando i ricordi di una vita intera ed è quindi compito della figlia prendersi cura di lei e aiutarla a ricostruire la loro storia.

"Ti chiami Esperia Viola, detta Esperina. Come una viola sei nata il venticinque marzo millenovecentoqurantadue..." ha così inizio la storia di Esperia e la figlia, due donne che si sono sempre cercate, rincorse e mai realmente incontrate. Eppure il destino ha voluto congiungerle in un momento in cui Esperia ha dimenticato quasi tutto il loro passato, persino la sua infanzia, così faticosa in un paese dell'Abruzzo dove anche l'acqua e la luce sembrano un'utopia.

Esperia mi ricorda un grande lago in cui la figlia si abbandona, forse per l'ultima volta, grattando con le unghie e con i denti quell'ultimo barlume di speranze e di sicurezze che solo una madre può dare. Rievocare la loro storia aiuta soprattutto la figlia a fare un bilancio della loro vita insieme, a non dimenticare che non è mai troppo tardi per riprendere dal principio

domenica 9 settembre 2012

Il Diario della Domenica. La Poetica della Bellezza: Alberto Burri e Camillo Sbarbaro

Arte e Poesia

Cretto

Nel deserto 
io guardo con asciutti occhi me stesso.

(Camillo Sbarbaro, Pianissimo, Edizioni La Voce, Firenze 1914)


venerdì 7 settembre 2012

Giornalismo digitale: Twitter, Crowdfunding e imprenditoria. Idee a confronto.


Editoria e Giornalismo 

In un recente articolo, Sebastian Smith scrive che "news aggregators, 24/7 news cycles, 140-character Tweets and attention-span-challenged web users have transformed much of the US media into the journalistic equivalent of McDonalds: quickly produced, easily consumed."

Della velocità con la quale le notizie arrivano all'utente attraverso i social network pena, molto spesso, la verifica delle fonti e il contenuto stesso della notizia, si è parlato anche durante Dig.it, il primo incontro nazionale dedicato proprio al giornalismo digitale, tenutosi a Firenze all'inizio di luglio. Allora si era puntato molto sulla cura e l'attenzione delle fonti come una delle regole d'oro che il giornalista deve seguire se non vuole perdere credibilità e incappare in sanzioni giudiziarie. 

Di opinione differente rispetto a Sebastian Smith è Steve Buttry: 10 ways twitter is valuable to journalist sembra essere un inno alle potenzialità del social network. E accanto all'articolo di Steve Buttry ci sono altri approfonditi e ben argomentati post e ebook che sottolineano la sinergia tra giornalismo digitale e comunicazione 2.0. Tra gli ebook basterebbe ricordare Comunicare con Twitter. Creare relazioni, informarsi, lavorare di Luca Conti. Edito da Hoepli, l'ebook guarda al social network per eccellenza come terreno che unisce fruizione delle informazioni e aggiornamenti in tempo reale a una strategia volta al "marketing dell'ascolto, alla promozione attraverso contenuti originali e a un servizio clienti evoluto". Intenti simili stanno alla base dell'ebook di Barbara Sgarzi, Twitter, news e comunicazione, edito da 40k.it: "Ci sono almeno dodici buone ragioni per imparare a usare bene Twitter, soprattutto se vi occupate di comunicazione. E se siete giornalisti, i 140 caratteri sono una grande opportunità".

Il digitale ha trasformato soprattutto la modalità di diffusione e aggregazione dell'informazione, per non parlare della possibilità di essere ripresa, riproposta o, per meglio dire, retwittata. E se, spesso, i media hanno dimostrato un comportamento distaccato e a volte ostile nei confronti di questo mutamento, gli utenti hanno invece dimostrato apertura e propositivismo. 

Quando si parla di utenti si deve fare attenzione: i dati Eurostat dicono che in percentuale gli over 55 italiani online sono meno della metà di quelli inglesi e come ha proposto Luca Conti "serve uno sforzo a colmare questo divario".  

Da blogger e collaboratrice non credo che le trasformazioni in atto in campo giornalistico possano essere sottoposte alla logica dei social network, tanto meno a quella di twitter. Sì, twitter è uno strumento utile per chi si vuole avvicinare alla comunicazione 2.0 ma anche per chi è già affermato "comunicatore". Tuttavia credo sia troppo facile dividere per punti un post e spiegare quanto può essere potente twitter perchè si rischia di accantonare e gettare ombra sui cambiamenti economici nel settore editoriale e giornalistico relativamente agli ultimi anni e che spiegano le difficoltà attuali di molte testate giornalistiche cartacee e online. (a questo proposito consiglio di leggere il report di Bill Grueskin, Ava Seave e Lucas Graves, Giornalismo digitale. Lo stato delle cose, quello che è successo finora e quello che abbiamo imparato edito sul sito di Lsdi).

Tra il catastrofismo di Sebastion Smith e l'ottimismo smisurato di Steven Buttry c'è in mezzo un mare di possibilità, di progetti e idee. Potrei iniziare parlando di David Cohn, il californiano che, qualche anno fa, ha realizzato Spot.us (si basa sul giornalismo partecipativo, il crowdfunding e il local journalism) attraverso un finanziamento di 340.000 dollari della Knight Foundation. 

Spot.us permette agli utenti di confrontarsi su un argomento di interesse per poi affidarlo alla penna di un giornalista freelance che inizierà la sua inchiesta grazie ai finanziamento degli utenti stessi. Inoltre Spot.us ha puntato l'accento sul giornalismo locale riuscendo a raccogliere, per la zona di San Francisco, 45mila dollari finanziando inchieste legate al territorio. 

Anche l'Italia conosce una piattaforma di crowdfunding journalism: Youcapital.it è il progetto nato un paio d'anni fa per iniziativa di Antonio Rossano e Luca Longo, che già da tempo operano nel mondo del giornalismo partecipativo e della comunicazione su internet realizzando progetti di citizen media

Kickstarter.com, piattaforma americana di crowdfunding, si basa sulla meritocrazia. "E’ ovviamente necessario saper comunicare bene, ma è la qualità del progetto a essere centrale; il crowdfunding funziona bene quando le richieste economiche sono calibrate, motivate e i progetti realistici e fattibili, con deadline precise". A parlare è Daniela Ferrari, Digital Strategist & Social Media Manager che nel 2011 ha collaborato con la casa di produzione torinese Stefilm International per finanziare, tramite crowdfunding, il film “Vinylmania – When life runs at 33 revolutions per minute”.

Intervistata da Alessio Iacona per il suo blog sul quotidiano l'Espresso, la Ferrari afferma l'importanza di iniziative come questa, necessari in Italia "vista la scarsità di fondi pubblici e privati a sostegno dell’imprenditoria". Chiara Spinelli, project manager e fondatrice di Eppela, parlando con Iacona ha dichiarato che "l’Italia è un Paese di belle idee che non sanno raccontarsi, di talenti che non sanno costruire un adeguato storytelling intorno alla propria idea o progetto, trovando quindi difficile far emergere e sostenere le proprie campagne di raccolta fondi. La cosa bella del crowdfunding è che puoi cercare di fare impresa partendo dal prodotto in sé e non da idee astratte".

Ed ecco quindi che Mathew Ingram si domanda se "Kickstarter be used to crowdfund journalism" segnalando una possibile strada alla crisi che sta vivendo il settore editoriale e giornalistico strangolato dai problemi economici e finanziari. Credo valga la pena di riflettere sul suo articolo in quanto Ingram ha ravvisato uno strumento che realmente potrebbe essere utile per il singolo giornalista (o aspirante tale). La piattaforma si presenta come una realtà che offre sbocchi concreti per la realizzazione delle idee basandosi sul merito delle stesse. 

mercoledì 5 settembre 2012

Mondo Bizzarro Gallery apre la stagione autunnale con Dilka


Mondo Bizzarro, nota galleria romana nella scena pop surrealista italiana, aprirà la stagione con le opere di un'artista del Kazakistan alla sua prima personale. Nonostante ciò, non si sta parlando di un'artista alle prime armi. Dilka ha già conquistato la scena italiana partecipando al progetto Italian Pop Surrealism e calcando la scena internazionale grazie alla segnalazione da parte di Juxtapoz Magazine. Dilka è anche stata tra le artiste pop surrealiste che hanno esposto all'Auguste Clown Gallery di Melbourne per il group show Runaway Circus. 

Originaria del Kazakistan, attualmente Dilka Bear vive a Trieste mentre le sue tele fanno il giro del mondo. Il Pop Surrealismo di quest'originale artista sembra riprendere in parte Ray Caesar abbandonando tuttavia la vena sarcastica e provocatoria che caratterizza i quadri di Caesar per evidenziare invece un'innocenza perduta, quasi un inno all'infanzia e alla purezza. Un ritorno alle origini.

Nell'immaginario di Dilka Bear i bambini hanno sguardi penetranti che possono svelare molteplici sfacettature della loro personalità, lasciando alla fantasia dello spettatore il giudizio. I dipinti di Dilka invitano alla riflessione, si nutrono di un atavico simbolismo e di una sensuale energia. La forza narrativa dell'artista racconta l'epifania dell'infanzia

Mondo Bizzarro Gallery ospiterà le opere di Dilka presso la sede di via Sicilia 251 a Roma per un mese a partire dall'8 settembre, giorno dell'inaugurazione. La mostra, The Wild Escape, è curata da Andrea Oppenheimer.  









martedì 4 settembre 2012

Il Surrealismo del pittore polacco Rafal Olbinski


Rafal Olbinski è un pittore e illustratore polacco, originario di Kielce. Dopo aver frequentato la facoltà di Architettura a Varsavia, si impone sulla scena nazionale attraverso i suoi dipinti. Ma sarà solo negli anni Ottanta, dopo il suo trasferimento oltreoceano, che Rafal Olbinski si farà conoscere attraverso i suoi quadri e grazie alla stretta collaborazione con testate del calibro di Newsweek, Playboy, The New York Times, New Yorker e Der Spiegel oltre a numerose riviste tra cui Graphics, Universe dea Artes, Art Magazine.
Il surrealismo di Rafal Obinski presenta delle corrispondenze sia con l'arte surrealista di De Chirico sia con quella di Magritte. Alcune opere invece rimandano al simbolismo di Vladimir Kush. E' una realtà traslata, in cui la materia onirica viene rielaborata e accompagnata al fantastico. E' una realtà che si nutre di associazioni oniriche e regge su un sistema archetipico sconvolgente nella sua naturale bellezza.


Ma Rafal Olbinski non si è limitato alla pittura, la sua versatilità abbraccia tutti i campi artistici: nel 2002 debutta come scenografo nel Don Giovanni di Mozart messo in scena dall’Opera Company di Philadelphia, suscitando l'ammirazione della critica. 

Oggi Rafal Olbinski è un artista affermato e di fama mondiale, insignito con oltre centocinquanta riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro e d’Argento dell’Art Directors Club di New York, la Medaglia d’Oro e d’Argento della Society of Illustrators di New York e Los Angeles, e il Big Crit 2000 del Critique Magazine di San Francisco. Mentre nel 1994 riceve l’International Oscar per il World’s Most Memorable Poster e il Premio Savignac a Parigi, nel contempo il presidente della Repubblica polacco lo insignisce della Medaglia d’Oro “Gloria Artist”, il più alto riconoscimento nel campo delle arti.








lunedì 3 settembre 2012

Il Pop Surrealism di Marion Peck tra mitologia e fantasia 2.0


Pop Surrealism



Trascendere la realtà, sognarla, reinterpretarla, ridisegnarla. Raccontare un'epoca differente, trasversale, multiforme. Guardare alla mitologia moderna, alla fantasia 2.0, alla profonda alchimia tra immaginazione e arte. Tutto ciò è solo un frammento della molteplicità artistica racchiusa nel Pop Surrealism di Marion Peck.

Artista di spicco del movimento Pop Surrealista americano, compagna di Mark Ryden, considerato uno dei padri del pop surrealism, Marion Peck ha una pittura simbolica e penetrante, una forza narrativa sarcastica e deviante, una capacità espressiva notevolmente onirica.



Trovo che la versatilità sia un'altra caratteristica che la contraddistingue. Nel 2010, infatti, produce un film (insieme al marito Mark Ryden) dal titolo Sweet Wishes e, contemporaneamente, un artbook dallo stesso titolo con illustrazioni interessanti circa la sua arte. Successivamente ha dato alle stampe la sua prima monografia, Animal Love Summer che raccoglie i lavori dell'artista dal 1993 ad oggi.



Marion Peck si conferma stimata e apprezzata artista anche in Italia rappresentata dalla Dorothy Circus Gallery attraverso svariate mostre personali e di gruppo, da ultime, cronologicamente parlando, Pop Surrealism - What a WonderFool World, group show che si è tenuto nel 2010 a Spoleto durante il Festival Dei Due Mondi, ed è stato richiesto quest'anno dal Museo Casa del Conte Verde di Rivoli e inaugurato il 6 luglio.


Surrealismo e simbolismo si fondono in un unico concetto nelle tele di Marion Peck, attraversando svariate epoche e arrivando sino a noi, attingendo al pop e alla lowbrow art e mettendo in scena sogni tormentati e fantasie intricate.



sabato 1 settembre 2012

Accomodatevi nel favoloso mondo di Nemo et Nihil

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Se esistesse una parte remota della terra in cui il tempo fosse sospeso e le azioni degli esseri umani non influissero sull'ambiente, si assisterebbe ad una landa desolata in cui trovano dimora il vento, le stelle, il sole, la pioggia. Lo sgretolarsi della vita investirebbe l'esistenza di qualche pianta, di pochi e temerari animali che hanno resistito in quella landa ostile. La caducità non sarebbe temuta ma diventerebbe un momento della storia. 

Non so, ma quando ho visto i dipinti e le illustrazioni di Nemo et Nihil ho pensato a quanto scritto poc'anzi. A quanto possano essere fragili e selvagge al tempo stesso certe situazioni, al vuoto che, talvolta, riusciamo a creare con le nostre stesse mani, alla landa desolata che esiste nella non realtà che spesso ci costruiamo seppur inconsapevolmente. 


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Se volete perdervi in quel favoloso mondo, accomodatevi nemoetnihil.com