Ritorno a Passione semplice di Annie Ernaux, libro che ho trovato con tanta fatica, come gli altri (qui per leggere qualcosa di questa magnifica autrice francese che mi è entrata dentro, oppure anche qui).
L’ho già detto che amo la scrittura di questa donna?
Un estratto (nel quale non fatico a rintracciare quella passione - voglio chiamarla davvero così? - che mi pervase anni addietro)
Tutto quel tempo, ho avuto l’impressione di vivere la mia passione in modo romanzesco, ma non so ora in che modo la scrivo, se in forma di testimonianza, ossia di confidenza come si usa nei giornali femminili, di manifesto o processo verbale, o invero di commento testuale. Non faccio la cronaca di una relazione, non racconto una storia (che mi sfugge per metà) con una cronologia precisa, “venne l'11 novembre”, o approssimativa, “trascorsero settimane”. Non esisteva per me in quel rapporto, io non conoscevo che la presenza o l’assenza. Affastello soltanto i segni di una passione, oscillando senza posa tra “sempre” e “un giorno” come se un tale inventario mi possa permettere di raggiungere la realtà di quella passione. Non vi è naturalmente qui, nell’enumerazione e descrizione dei fatti, né ironia né derisione, che sono i modi di raccontare le cose agli altri o a se stessi dopo averle vissute, non di provarle sul momento. Quanto all’origine della mia passione, non intendo cercarla nella mia storia remota — quella che mi farebbe ricostruire uno psicoanalista — o recente, né nei modelli culturali del sentimento che mi hanno influenzato sin dall’infanzia (Via col vento, Fedra o le canzoni della Piaf sono decisivi quanto il complesso di Edipo). Non voglio spiegare la mia passione — il che equivarrebbe a considerarla come un errore o una follia di cui ci si deve giustificare — ma semplicemente esporla.
I soli fattori, forse, da tenere in conto, sarebbero materiali, il tempo e la libertà di cui ho potuto disporre per viverla.
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