lunedì 8 ottobre 2012

Scuola e Insegnanti: Perché bisogna puntare sul merito


In questo periodo il sistema scolastico sembra galleggiare in un mare di catastrofismo, individualismo e, solo in alcuni casi, smodato positivismo. Da insegnante, che svolge questo ruolo da più di dieci anni, ho seguito con molta attenzione il succedersi di opinioni, smentite, scambi di idee e pareri sul Concorso per insegnanti indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione. Al di là delle polemiche, alcune delle quali annunciate proprio in mattinata, mi sembra abbastanza chiaro che ci sia una volontà di assegnare le cattedre a coloro che avevano già vinto negli anni Novanta il concorso ma che, di fatto, si sono ritrovati a rimpolpare le fila dei "precari". 

Certo qualcuno potrebbe obiettare che l'abilitazione, da un anno a questa parte, si può conseguire attraverso il Tfa (Tirocinio Formativo Abilitante) istituito dalle università. Questo significa abbandonare la cattedra, per chi già è in possesso di un incarico a tempo determinato, per tuffarsi nel mondo universitario fatto di libri, esami, approfondimenti e di tanto stage gratuito. Questo significa anche interrompere il percorso che ci si è costruiti in seguito alla laurea, nel periodo in cui la Ssis era stata bloccata e non vi era una proposta alternativa che aprisse le porte a quanti volevano abilitarsi all'insegnamento.

Insomma anche gli under 30 hanno dovuto, negli ultimi due anni, barcamenarsi come potevano tra supplenze più o meno lunghe, vivendo in simbiosi con il telefono per essere pronti a qualsiasi chiamata da parte degli istituti. Spesso, parlando con colleghi, mi capita di sentire frasi del tipo: "L'abilitazione ti offre un qualcosa in più". Entra in gioco la questione spinosa della preparazione e formazione degli insegnanti, questione che da decenni è dibattuta fuori e dentro la scuola, da genitori, studenti, dagli insegnanti stessi e dai rappresentati del Governo. 

Nel 2010 Brunetta aveva affrontato la questione puntando il dito proprio sulla preparazione pressapochista di molti insegnanti italiani. Un pressapochismo che ricadeva inevitabilmente, secondo Brunetta, sugli alunni, sul futuro di una società che non avrebbe avuto gli strumenti adatti per vincere le sfide della modernità. Con Brunetta si inizia quindi a parlare di merito, di qualità, di esperienza. 

Eppure il profilo dell'insegnante è tuttora offuscato proprio dalle continue riforme, affastellate, ammucchiate, di cui si sono sono persi di vista gli obiettivi perchè troppa la foga di cambiare, rivoluzionare, gettare il vecchio per abbracciare il nuovo. Ma come risanare una pianta se non si parte dalle radici? Qualche giorno fa su La Stampa, Giuseppe Barbanti ha parlato del fatto che l'insegnante "merita di essere considerato per quello che fa" ovvero contribuire alla "costruzione della società di domani".

Non è cosa da poco. Attorno a questo compito la letteratura e il cinema hanno avuto il demerito di diffondere un'immagine dell'insegnante molto lontana dalla realtà. Come ha dichiarato il professor Giovannone, autore del libro Perché non sarò mai un insegnante (Longanesi), in un articolo  scritto da Paolo Di Stefano su La Lettura del Corriere della Sera, sostiene che "rimane sempre quel vezzo di restituire un’immagine triste degli insegnanti, come individui patetici che si arrabattano alle prese con adolescenti odiosetti, antipatici e problematici. Chissà perché i docenti vengono quasi sempre trattati da personaggi ridicoli e non da intellettuali che hanno un profilo davvero professionale e che rendono un servizio egregio alla società".

Già, chissà perchè. Forse il marcio sta nella visione d'insieme data dalla stessa politica nei confronti di una professione, quella dell'insegnante, che si può facilmente smantellare con una riforma oppure, come si diceva poc'anzi, colpa delle influenze letterarie e cinematografiche o ancora della convinzione che i docenti siano coloro che salvano decine di studenti portandoli sulla retta via. 

Nonostante ciò, se penso ai colleghi che mi hanno affiancata in tutti questi anni vedo insegnanti preparati, in uno stato di apprendimento e aggiornamento continuo, insegnanti che non hanno degli studenti da salvare ma delle persone da educare e crescere, insegnanti che hanno la responsabilità del futuro di un Paese nelle loro mani e non vogliono (né possono permettersi) compiere errori. Se ripenso al passato vedo insegnanti che progettano percorsi educativi e didattici mirati per alunni che hanno qualche difficoltà in più rispetto ad altri.

Certo il pressapochismo permane e inquina anche gli ambienti integerrimi. Gianluca Barbera su La Lettura ricorda che è proprio all'interno della scuola che gli scatti retributivi "avvengono in base all'anzianità" senza tenere conto delle reali capacità e del livello culturale del singolo insegnante. Se, per una volta, si facesse leva proprio sull'effettiva preparazione del corpo docente forse a nutrire la schiera degli insegnanti ci sarebbero persone dinamiche, con una solida preparazione alle spalle, forti e determinate a migliorarsi continuamente, a mettersi in gioco in ogni momento. 

Il merito di cui parlava Brunetta nel 2010, riproposto da Moratti e Gelmini servendosi delle riforme, consentirebbe di innalzare il livello di informazione su una professione distrutta moralmente e darebbe una forte scossa alle coscienze dei molti dimostrando che solo attraverso il merito abbiamo la certezza di crescere una società che sa cosa significa affrontare una sfida. 

Quello che facciamo adesso servirà domani ai nostri figli e a tutti i figli che verranno. 

2 commenti:

  1. Non condivido del tutto il parere do Gianluca Barbera, anzi assomiglia molto alla solita frase qualunquista "vanno avanti solo i raccomandati, non chi se lo merita".
    Non è sempre così, anzi sfatiamo un po' questo mito, che ormai si lega bene solo al mondo della politica e in generale del settore "pubblico", ma stona con il mondo delle aziende private, soprattutto in questo periodo di crisi.
    La carriera non meritocratica in Italia, seppur presente più che in altri paesi, rimane per fortuna un fenomeno limitato perchè chi non sa fare il proprio mestiere difficilmente "resiste" nella sua posizione (a meno che non faccia il politico!!!): le posizioni ricoperte dai lavoratori italiani, per la maggior parte dei casi, richiedono competenza in qualcosa. In pratica, puoi arrivare dove vuoi, ma se non hai le competenze per fare il tuo lavoro, non riesci a mantenere la tua posizione, perchè causi danni all'azienda, che si "accorge" dell'anomalia e ti rimuove.
    E poi l'anzianità molte volte vuol dire proprio competenza, esperienza, costanza e in molti casi, anzi nella maggior parte dei casi, credo sia corretto pensare che un "senior" è meritocraticamente migliore di un "junior", al di là delle attitudini personali e delle apparenze. IL junior non deve dimostrare solo di essere "bravo", ma di avere tanti altri aspetti in più (costanza, sicurezza, equilibrio, ecc.) tutte qualità che fanno da contorno alla professionalità di una persona e che probabilmente il senior già possiede, altrimenti non sarebbe riuscito per tanti anni a mantenere il suo posto e ad andare avanti in un settore (quello del privato) che non può permettersi sprechi, meno che mai in questo periodo.

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  2. Si Nicco, concordo con quanto dici ma, come tu stesso hai affermato, parli di aziende private, quindi parli del tuo vissuto personale. Nelle scuole (e in dieci anni ne ho girate molte tra nord Italia e Centro) il personale docente è spesso frustrato, svilito, poco stimolato e tutto ciò ricade, inevitabilmente, sugli alunni che l'unica sfortuna che hanno è quella di essere capitati con un insegnante come quello appena descritto. Come spiegavo nell'articolo io ho avuto la fortuna di lavorare accanto a persone di grande cultura e umanità tuttavia ho anche assistito a scene di vita scolastica che lasciavano poco spazio all'immaginazione, episodi che rivelavano una forte mancanza di professionalità e anche di intelligenza nel gestire svariate situazione.
    Per questo il merito è importante. Essere assunti non solo per gli anni di esperienza ma anche per il percorso professionale che esula dal settore dell'istruzione e della formazione, essere assunti perché vengono riconosciute delle potenzialità che, forse, un collega con cinque o dieci anni in più di "sola" esperienza non ha credo sia già un passo avanti verso la carriera meritocratica.
    In questo senso ho inteso le parole di Gianluca Barbera e ho ritenuto necessario riportarle nell'articolo.

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