C'è una sorta di timore reverenziale quando mi accosto all'arte astratta di Kandinsky, le parole vacillano e la lucidità cede il passo alle emozioni. Mi sembra quasi di sporcare il ricordo di uno degli artisti più sfuggenti del Novecento. Poi, se mi fermo e faccio un lungo respiro, mi tornano in mente gli studi fatti, le mostre dedicate a questo grande artista, i cataloghi con quelle immagini stampate su carta lucida e le descrizioni così dannatamente ordinate. Eppure Kandinsky mi rimanda a tutto meno che all'ordine, mi rimanda a tutto meno che alla perfezione. Kandinsky è rivoluzione, è libertà. Kandinsky è futuro.
Le sue tele profumano di una spiritualità artistica che rompe gli argini dell'arte figurativa liberandola da vecchie catene e donandole una libertà contenutistica del tutto innovativa per l'epoca. E' una sorta di grammatica quella che viene delineata dal pensiero di Kandinsky, che confluisce nello Spirituale dell'arte (Piper, 1912), un saggio, un reportage artistico, un dossier dedicato alle linee guida sulla pittura. E' un processo spirituale quello che porta l'artista Kandinsky all'esplorazione di un linguaggio nuovo che parte dalle zone più recondite del nostro io per approdare alla realtà esteriore. Gli artisti per eccellenza nei quali Kandinsky ricerca questo linguaggio sono Cézanne, Matisse e Picasso.
La spiritualità artistica prende forma, per la prima volta, nelle opere che vedono la luce nei primi due decenni del Novecento. E saranno proprio questi quadri i protagonisti della mostra, Kandinsky dalla Russia all'Europa, in corso a Palazzo Blu a Pisa fino al 3 febbraio 2013, un modo per ripercorrere la vita artistica e il pensiero interiore di un "rivoluzionario della visione".
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