Tu chiamale se vuoi emozioni: sulla scrittura e sugli scrittori
Sbagliare strada e incrociare una piacevole lettura, soffermarvisi, leggerla, approfondirla e fare riflessioni. Tra i ruoli di Internet quello che amo di più è proprio la sua natura intrinseca di condurmi anche dove non credevo che fosse possibile addentrarsi. Ed è così che mi sono imbattuta nella lettura di Tu, scrittore, secondo appuntamento facente parte del progetto Scrivere nel 2013 nato dall'idea di Daniele Imperi su Penna Blu. Nel suddetto articolo si parla di scrittura e si parla soprattutto degli scrittori, di come si sentono e di come si vedono, se si riconoscono come tali, se ne provano gioia sfruttando le tecnologie che Internet mette a disposizione oppure se cercano di fuggire, rinnegando la loro vera natura.
Per quanto mi riguarda mi sono avvicinata alla scrittura leggendo. La baby sitter di mia cugina (all'epoca avevo otto anni ma ho un ricordo vivido di questa ragazza con la borsa piena di libri e la matita sempre in mano) ci portava in biblioteca. Lei studiava lettere e voleva fare l'insegnante. Abitando in un paese di campagna, di gente che studia ce n'è ben poca, le librerie non esistevano (ancora oggi manca una libreria) e i libri erano visti come qualcosa di cui si poteva fare a meno dal momento che erano tutti molto devoti al lavoro manuale. Eppure questa ragazza cambiò la mia visione della vita. Lo trovavo divertente prendere libri in prestito, sprofondare sulla poltrona di casa e immergermi in quelle storie fantastiche. Dopo un paio d'anni avevo letto tutta la sezione di libri per ragazzi. E quindi spostai la mia attenzione sulla sala per adulti iniziando da Eco, del quale ovviamente non capii una parola, troppo diverso lo stile rispetto a quello che leggevo prima per non parlare delle storie. Insomma ho fatto un passo indietro e ho chiesto consiglio alla bibliotecaria.
Dopo qualche anno mi sono trovata con una penna in mano a scrivere una storia immaginaria. E se devo dirla tutta non c'è stata sofferenza o sforzo ma piacere. Scrivere mi dava un piacere e una soddisfazione immensi, mi immedesimavo nei personaggi che animavano la storia e vivevo le loro vite. E se per caso un giorno non riuscivo a prendere in mano il libro, il mio libro, mi sentivo in colpa, come se stessi abbandonando i personaggi. Certo non era molto facile spiegare a mia madre (separata, mentalità chiusa, fumatrice incallita e instancabile lavoratrice...) quello che stavo facendo. Provai a farlo ma fu una delusione. Accadeva quindi che spesso trovavo gente attorno nel bel mezzo di un litigio tra i due principali personaggi e mi toccava lasciarli perdere per un paio d'ore perchè era ora di cena o per chissà quale altro impegno. Io li ho sempre amati, i miei personaggi, e loro mi ripagavano dandomi tante soddisfazioni.
A quel libro ne sono seguiti altri, anche racconti, alcuni di questi brevi. Crescendo ho iniziato ad abbandonare il fantasy e a inventare qualcosa di diverso. Era una lingua nuova quella che stavo scrivendo, ma ancora non lo sapevo. Scrivevo e basta per il puro piacere di scrivere, cercavo una continuità quando sentivo che la storia la richiedeva, aspettavo che i personaggi mi indicassero la strada, che fossero loro a dirmi in quale direzione si stava andando. Non progettavo nulla. Avevo anche un diario dove amavo appuntarmi frasi lette e, per me, emotivamente profonde oppure titoli di libri, a volte disegnavo senza capire bene cosa stessi facendo,. Era più che altro un intreccio di linee.
Verso i vent'anni divenne chiaro che stava prendendo forma un libro di racconti sulla mia infanzia. Di nuovo il piacere della scrittura, la grande soddisfazione di poter demolire case, urlare la rabbia repressa, stringere amicizie e inziare nuovi amori senza che la mia vita reale venisse sfiorata. Era un terremoto che avveniva sulla carta, una magia che mai avrei potuto sperimentare. Con il tempo (settimane, mesi) quei racconti hanno preso forma, avevano uno stile mio, nella storia c'ero e non c'ero, ma conoscevo tutti i personaggi e loro conoscevano me. A quel punto però sentii l'esigenza di far leggere la mia storia, il mio libro. E nella mia testa iniziò a girare l'idea che avrebbe potuto anche essere pubblicato. L'idea si rafforzò, a qualcuno piacque la mia storia e da qui un premio, poi una pubblicazione, qualche racconto sparso per la rete, qualche collaborazione.
In mezzo al libro pubblicato, al premio vinto, ai racconti in antologie, ai lavori per redazioni e case editrici c'è la mia vita nella quale cerco di coniugare i ruoli che ho scelto (mi riferisco al mio essere mamma, moglie, insegnante) con le mie passioni l'arte e la cultura, il giornalismo. Tra le passioni e i ruoli che ho scelto c'è anche spazio per me come scrittrice, una scrittrice che ha pubblicato e che vuole continuare a farlo, una scrittrice che ha sempre scritto di ciò che ama e che per questo ha ricevuto critiche, alcune anche molto costruttive, una scrittrice che ha la fortuna di essere letta da persone di cui si fida (e la fiducia è una cosa seria quando si tratta di scrittura e di lavoro sulle proprie opere), una scrittrice e basta, un po' maldestra, un po' me e un po' i personaggi che scrivo, un po' sognatrice, molto lettrice. Sono io, in tutte le mie sfumature.
Complimenti per la pubblicazione - ho visto diverse recensioni anche su giornali importanti - e grazie per la condivisione delle tue riflessioni sulla scrittura :)
RispondiEliminaRipeto grazie a te per lo spunto. Spero che si sia capito quello che tu definisci la "figura di scrittore"
RispondiEliminaMolto belle le tue riflessioni.
RispondiEliminaMi piace tantissimo il punto in cui parli della babysitter e delle visite in biblioteca, della tua scoperta dei libri e della scrittura.
Grazie Valentina. E' stata una parentesi felice nella mia... diciamo movimentata (eufemismo) infanzia. I libri mi hanno proprio salvato
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