Ho iniziato a muovere i primi passi in letteratura sul Ferroni. Per chi ha una formazione liceale sa che il Ferroni è qualcosa di imprescindibile dal sapere gnoseologico dello studente, i tomi accompagnano la vita dello studente, la guidano verso un uso libero e critico, appunto, dell'intelletto. Questo dovrebbe essere, in linea generale, il percorso razionalmente pensato dai professori. Per chi lo vive, il cammino non è per niente in discesa. Per quanto mi riguarda ho letto per anni nomi di critici e scrittori, legati da un rapporto ambivalente di amore odio che pensavo potesse nascondere dietrologie difficilmente comprensibili.
Per molto tempo è stato così. Poi qualcosa è cambiato. O forse la trasformazione è avvenuta dentro di me. Ad ogni modo rimpiango gli anni trascorsi sulle "sudate carte", a tracciare con la penna una storia letteraria e sociale dettata tanto da chi scrive i libri quanto da chi li recensisce (pensate se Capuana non fosse stato un giornalista del Corriere della Sera e non avesse recensito Zola, probabilmente il suo Giacinta si sarebbe presentato in altre vesti narrative e, probabilmente, sarebbe mancata la dedica a Zola). Un nome tra tutti i critici rimbalzava tra le pagine del Ferroni: Walter Benjamin. Una figura imponente, un critico che ha saputo imporre la sua voce attraverso lo studio e l'indagine. Un sapere scientifico quello di Walter Benjamin, una ricerca estenuante, capillare, appassionata che ha sondato nella soggettività artistica per far emergere il raziocinio e la verità.
E questo acquista ancora più valore alla luce della ricostruzione del lavoro critico su Baudelaire edito da Neri Pozza per opera di Giorgio Agamben, Barbara Chitussi e Clemens-Carl Härle. Sono passata dall'altra parte. Ero la studentessa che leggeva di Benjamin e di Baudelaire, ora sono la professoressa che li spiega cercando di arrivare al cuore degli studenti. E non voglio vestire i panni della prof giovane animata da tanto entusiasmo da apparire la caricatura di un faticoso Scamarcio nel film Il rosso e il blu, di un insegnante diviso fra i romanzi di successo e la cattedra (Alessandro D'Avenia), tanto meno la caricatura di me stessa. E' solo che spiegare/tramandare ciò che si ama porta inevitabilmente a riflettere sul rapporto con l'oggetto amato.
La poetica di Baudelaire ha una forza immaginifica che vive di strati allucinati, di desolazione e stupore, di una bellezza evanescente e di una perfezione formale estreme. L'esperienza artistica di Baudelaire ripercorre il parnassianesimo distaccandosene, tuttavia, nella fuga, forsennata e disperata, da quel presente corrotto dalla borghesia e infarcito di buone speranze per verso il progresso. Ma non per Baudelaire, il poeta della lirica moderna, colui che si rifugiava nei "paradisi artificiali".
La solitudine del decadente. I mali della civiltà moderna. La fuga dagli stessi. La ricerca di Benjamin, più di due anni di studi e altrettanti dedicati ai fenomeni culturali a cavallo tra Otto e Novecento, è andata in questa direzione lasciando un'eredità possente, quella stessa eredità alla quale Neri Pozza ha (ri)dato la luce.