mercoledì 26 giugno 2013

Un qualcosa in un giorno d'estate. Emily Dickinson



Un qualcosa in un Giorno d'estate
Mentre lenta i suoi fuochi consuma
Che mi rende solenne.

Un qualcosa in un meriggio d'estate -
Un'intensità - un Azzurro - un profumo -
Che trascende l'estasi.

E ancora in una notte d'estate
Un qualcosa che così radiosamente rapisce
Che batto le mani al vederla -

Poi nascondo il mio viso troppo curioso
Per paura che una tale sottile - luccicante grazia
Fluttui troppo lontana da me -

Le magiche dita non riposano mai -
Il purpureo ruscello nel petto
Incessante logora il suo esiguo letto -

Ancora alza l'Oriente la sua ambrata Bandiera -
Guida sempre il sole lungo la Rupe
La sua Rossa Carovana -

E così mirando - la notte - il mattino
Si conclude la lieta meraviglia -
Ed io incontro, spuntato dalla rugiada
Un altro Giorno d'estate!

Emily Dichinson

domenica 23 giugno 2013

Pensieri d'autore. L'infinito viaggiare.


Viaggiare sentendosi sempre, nello stesso momento, nell'ignoto e a casa, ma sapendo di non avere, di non possedere una casa. Chi viaggia è sempre un randagio, uno straniero, un ospite; dorme in stanze che prima e dopo di lui albergano sconosciuti, non possiede il guanciale su cui posa il capo né il tetto che lo ripara. E così comprende che non si può mai veramente possedere una casa, uno spazio ritagliato nell'infinito dell'universo, ma solo sostarvi, per una notte o per tutta la vita, con rispetto e gratitudine.

Claudio Magris, L'infinito viaggiare

giovedì 20 giugno 2013

In rosso. Umberto Mancini.



Questa recensione è uscita sulla rivista Letteratu.

L'ultimo numero della rivista Artribune riporta la seconda puntata sul futuro della fotografia. Domande, dubbi e confronti tra critici e storici dell'arte, artisti, editor, curatori e fotografi. Guardando all'ultimo lavoro di Umberto Mancini, In Rosso (Edizioni Cromàsia) ho ripensato alle parole di Marco Delogu sulla fotografia come arte veloce, "per facilità produttiva e capacità di critica collettiva" e soprattutto quando afferma che vi è un movimento di fotografi "che riflettono maggiormente sulla propria identità, sul rapporto forte e profondo tra la visione e l'interiorità".
E ho ripensato a queste parole proprio sfogliando, leggendo e riguardando più volte, il libro (che da qui in poi vorrei chiamare racconto) di Umberto Mancini. Le sue fotografie, appunto il suo racconto riguardo la città natale, Napoli, conserva un'inaspettata lentezza visiva, scatti densi, concentrati in particolari del capoluogo campano che si dissociano dagli stereotipi televisivi. 

Letture. Scatole. Viaggi. E tutto ricomincia.


L'unico momento in cui riesco a rallentare i pensieri e a far parlare gli occhi e le mani è verso mezzogiorno, quando il caldo di Roma si concentra sull'asfalto e sale verso l'alto come una lingua di fuoco subdola e minacciosa. Sono le ore più dure ma anche quelle in cui riesco a ritrovarmi, a stare in equilibrio con le mie idee, spinte da un'immaginazione che a volte sembra condannarmi alla solitudine. Chi scrive è sempre, in un qualche modo, solo. O almeno io lo sono. A volte percepisco questa condizione come una condanna, altre come una liberazione. 
Sono giorni di bilanci, scatole e viaggi. E in tutto questo cerco di trovare una collocazione che sia la più naturale possibile e la più incline alla mia indole. 

Bilanci. Sto chiudendo tutto ciò che ancora ho in sospeso qui a Roma e mi sto preparando, socialmente e intimamente, al trasloco. In questo frangente mi è capitato di leggere libri come In rosso di Umberto Mancini (Edizioni Cromàsia). E' un racconto fotografico di Napoli, un viaggio tra le vie strette, i quadri, i panni stesi, i luoghi e i volti delle persone che la vivono, la sentono, la plasmano ogni giorno. Lontano dai luoghi comuni, da quello che la televisione, come ha sottolineato Simona Guerra nella prefazione, tenta di ricordarci ogni giorno. E mi hanno colpito soprattutto le motivazioni dell'autore che stanno alla base di questo racconto: qualcosa di etereo, inconsapevole ma al contempo ragionato e ricercato ha spinto Mancini a nutrire il suo progetto con foto che, alla base, recano una traccia evidente, che balza all'occhio dell'osservatore e dipinge il progetto di una nota personale e, proprio per questo, gustosa. Ho ammirato il linguaggio diaristico morbido coinvolgente che Mancini ha usato per parlare della propria città. Mi sono chiesta come avrei fatto, al posto suo, a raccontare la mia città senza cadere nella retorica (con Roma questo rischio forse è ancor più facile. Basta un errore e si scivola nella cartolina più bieca, nel ritratto visto e rivisto di una Roma fatta per turisti). Ma questo lo scoprirò tra pochissimi giorni.


Scatole. Sono al quinto trasloco dal 2009, dire che è tempo di fermarsi. Quindi per qualche anno ce ne staremo buoni in una città a misura d'uomo, calda e fredda al punto giusto, di una dolcezza umida, in una casa grande e confortevole in cui ogni stanza verrà modellata dalle nostre esigenze e da quelle di nostro figlio. Fare scatole. Disfare. Sembra un modo per seminare vita per poi raccoglierla. E mi scopro a sorridere mentre ripongo delle fotografie in un album, mentre rispolvero dei libri dimenticati, mentre apro la scatola dei ricordi di Luca. 

Viaggi. L'estate è anche il periodo dei viaggi. Ognuno viaggia a modo suo e per i più svariati motivi. C'è chi continua a fare il pendolare sognando le ferie di metà agosto, c'è chi parte per il mare perché giugno è il mese ideale per i bambini e chi, invece, ha casa al mare e si fa lunghi fine settimana tra mura bagnate di sole, che sanno di acqua marina e bucato. E poi ci siamo noi che lasciamo il raccordo, prendiamo l'autostrada, andiamo in una città nuova, in una casa nuova, la sistemiamo, organizziamo gli spazi, chiamiamo idraulici e imbianchini, smontiamo e rimontiamo. Sono viaggi anche questi. Viaggi che ne contemplano altri, storie che andranno a creare altre storie. E tutto ricomincia. 


Un video. Una musica. Foster The People. Pumped Up Kicks


mercoledì 12 giugno 2013

Atti mancati di Matteo Marchesini (Voland Edizioni)


Questa recensione è uscita sulla rivista Letteratu


A volte bisogna ammetterlo. Ci sono libri che sconvolgono. Atti mancati di Matteo Marchesini (Voland) è uno di questi. Colpa di una scrittura cruda ammantata da un meccanismo a metà tra perfezione e smarrimento, tra vacuità emotiva e intense rievocazioni. A guidare le redini del discorso è Marco, trentenne colto, bolognese, vissuto al riparo dalle esperienze, dalle emozioni che avrebbero potuto scuotere la sua vita. Infila la sua abilità letteraria tra un articolo e l’altro, scrive senza trasporto, mentre le sue giornate trascorrono all'ombra di una eccessiva ritualità cerimoniosa.

A scuotere il suo fittizio equilibrio sarà Lucia, la donna che cinque anni prima lo ha lasciato senza alcuna apparente ragione, mentre la perdita di quell’amore coincideva con il lutto di Ernesto, amico di entrambi, compagno di studi. Lucia, la sua magrezza innaturale, il suo abbigliamento sempre inadatto per le occasioni, ma soprattutto le sue richieste, quel continuo rimestare nella Bologna universitaria, i ricordi di loro insieme al bar da Azio, diventato un’anonima tavola calda, il bisogno di rivedere i volti di un tempo, quell’attaccamento fanatico, attoriale, alla Bologna d’antan gettano Marco in uno stato continuo di imbarazzo e rabbia.

Lucia non è la stessa. Nel fisico, negli occhi, nel comportamento. C’è qualcosa di diverso e Marco lo scopre nel modo più crudele possibile: trova Lucia accasciata nel bagno di casa sua, ha vomitato ed è in stato di semicoscienza, forse ha sbattuto la testa o qualche altra parte del corpo contro i sanitari. I pezzi di un mosaico che Marco non voleva guardare tornano, di colpo, al loro posto. E le parole sono forti, vengono scagliate da una distanza inaspettata, lunga cinque anni, che precede, anche se di poco, l’incidente di Ernesto. Da quel momento ogni richiesta di Lucia viene eseguita da Marco con ostinata rassegnazione come se, per la prima volta, si fosse trovato a fare i conti con un passato dal quale è sempre mancato. Perché è la mancanza, così prepotente nel titolo e longitudinalmente presente nel romanzo, a caratterizzare Marco.

E lui lo sa. È consapevole del debito che ha nei confronti di Lucia, di come ha lasciato che la loro storia andasse alla deriva, spolpando il sentimento e prendendo quel tanto che bastava per considerarsi felice. E’ consapevole anche di tutti quei gesti che ha sempre voluto fare ma dai quali è fuggito. E’ cosciente dell’appiattimento della sua vita, di quanto ha levigato i contatti umani, raschiando fino in fondo ed estraendo solo ciò di cui aveva bisogno. Marco si è costruito una vita più che viverla, ha artefatto la sua stessa natura ma ora, attraverso i ricordi che Lucia gli impone, si ritrova a fare i conti con quell’io che tenta, invano, di finire il Romanzo Mancante.

Puoi leggere questa recensione sulla rivista Letteratu 

lunedì 10 giugno 2013

Materiali riciclabili per un design sostenibile

Non so se queste sedie siano comode, ma da provare sì! Realizzate dalla designer Annie Evelyn, le sedie imbottite sono costruite attraverso l'utilizzo di materiali duri che, tuttavia, grazie al peso del corpo vengono schiacciati creando quindi "morbide" poltroncine. 




sabato 8 giugno 2013

giovedì 6 giugno 2013

Poeta a New York di Federico Garcia Lorca.



Questo articolo è uscito sulla rivista Letteratu.

Quando ho preso in mano, durante l’università, le poesie di Lorca ho provato, da subito, un trasporto che stentavo a riconoscere e ad ammettere a me stessa. Di fronte al verso liberato dal pomposo giudizio della metrica classica e condotto verso le allucinazioni fantasmagoriche del surrealismo e le rocambolesche vicissitudini che videro il poeta protagonista nel viaggio dall’America latina alla grande mela passando per Parigi e Roma, non potevo non riconoscere la freschezza di una scrittura, stagliata sulla pagina tersa, incrinata talvolta da un dolore sotterraneo, accolto e allontanato, abbracciato e detestato dal poeta stesso, un’inquietudine, una sorta di ricerca fanatica di ciò che, di fatto, Lorca non riuscì mai a possedere.
E’ il possesso che mi ha meravigliato, quel possesso difeso fino alla morte, quel bisogno di sentirsi parte di qualcosa e che, invece, ha portato Lorca a riconoscere (erroneamente) un fallimento superiore, il disagio di una diversità che va oltre la comprensione stessa.

martedì 4 giugno 2013

Banksy. Slave Labour all'asta.


Mentre le polemiche non fanno che dimostrare il valore (non solo economico) dell'ormai celebre opera di Banksy sul lavoro minorile riportata qui sotto, Slave Labour, (pare sia stato messo all'asta con un prezzo di partenza di 900 mila sterline!), vorrei condividere alcune delle sue opere pubblicate su Tumblr dalle quali emerge la sottile ironia insita nella sua arte nonché la caricaturale visione del mondo. 







domenica 2 giugno 2013

Copertina d'autore. Marguerite Duras.

La solitudine reale del corpo diventa quella, inviolabile, dello scritto. 
Marguerite Duras