Questa recensione è uscita sulla rivista Letteratu
A volte bisogna ammetterlo. Ci sono libri che sconvolgono. Atti mancati di Matteo Marchesini (Voland) è uno di questi. Colpa di una scrittura cruda ammantata da un meccanismo a metà tra perfezione e smarrimento, tra vacuità emotiva e intense rievocazioni. A guidare le redini del discorso è Marco, trentenne colto, bolognese, vissuto al riparo dalle esperienze, dalle emozioni che avrebbero potuto scuotere la sua vita. Infila la sua abilità letteraria tra un articolo e l’altro, scrive senza trasporto, mentre le sue giornate trascorrono all'ombra di una eccessiva ritualità cerimoniosa.
A scuotere il suo fittizio equilibrio sarà Lucia, la donna che cinque anni prima lo ha lasciato senza alcuna apparente ragione, mentre la perdita di quell’amore coincideva con il lutto di Ernesto, amico di entrambi, compagno di studi. Lucia, la sua magrezza innaturale, il suo abbigliamento sempre inadatto per le occasioni, ma soprattutto le sue richieste, quel continuo rimestare nella Bologna universitaria, i ricordi di loro insieme al bar da Azio, diventato un’anonima tavola calda, il bisogno di rivedere i volti di un tempo, quell’attaccamento fanatico, attoriale, alla Bologna d’antan gettano Marco in uno stato continuo di imbarazzo e rabbia.
Lucia non è la stessa. Nel fisico, negli occhi, nel comportamento. C’è qualcosa di diverso e Marco lo scopre nel modo più crudele possibile: trova Lucia accasciata nel bagno di casa sua, ha vomitato ed è in stato di semicoscienza, forse ha sbattuto la testa o qualche altra parte del corpo contro i sanitari. I pezzi di un mosaico che Marco non voleva guardare tornano, di colpo, al loro posto. E le parole sono forti, vengono scagliate da una distanza inaspettata, lunga cinque anni, che precede, anche se di poco, l’incidente di Ernesto. Da quel momento ogni richiesta di Lucia viene eseguita da Marco con ostinata rassegnazione come se, per la prima volta, si fosse trovato a fare i conti con un passato dal quale è sempre mancato. Perché è la mancanza, così prepotente nel titolo e longitudinalmente presente nel romanzo, a caratterizzare Marco.
E lui lo sa. È consapevole del debito che ha nei confronti di Lucia, di come ha lasciato che la loro storia andasse alla deriva, spolpando il sentimento e prendendo quel tanto che bastava per considerarsi felice. E’ consapevole anche di tutti quei gesti che ha sempre voluto fare ma dai quali è fuggito. E’ cosciente dell’appiattimento della sua vita, di quanto ha levigato i contatti umani, raschiando fino in fondo ed estraendo solo ciò di cui aveva bisogno. Marco si è costruito una vita più che viverla, ha artefatto la sua stessa natura ma ora, attraverso i ricordi che Lucia gli impone, si ritrova a fare i conti con quell’io che tenta, invano, di finire il Romanzo Mancante.
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A scuotere il suo fittizio equilibrio sarà Lucia, la donna che cinque anni prima lo ha lasciato senza alcuna apparente ragione, mentre la perdita di quell’amore coincideva con il lutto di Ernesto, amico di entrambi, compagno di studi. Lucia, la sua magrezza innaturale, il suo abbigliamento sempre inadatto per le occasioni, ma soprattutto le sue richieste, quel continuo rimestare nella Bologna universitaria, i ricordi di loro insieme al bar da Azio, diventato un’anonima tavola calda, il bisogno di rivedere i volti di un tempo, quell’attaccamento fanatico, attoriale, alla Bologna d’antan gettano Marco in uno stato continuo di imbarazzo e rabbia.
Lucia non è la stessa. Nel fisico, negli occhi, nel comportamento. C’è qualcosa di diverso e Marco lo scopre nel modo più crudele possibile: trova Lucia accasciata nel bagno di casa sua, ha vomitato ed è in stato di semicoscienza, forse ha sbattuto la testa o qualche altra parte del corpo contro i sanitari. I pezzi di un mosaico che Marco non voleva guardare tornano, di colpo, al loro posto. E le parole sono forti, vengono scagliate da una distanza inaspettata, lunga cinque anni, che precede, anche se di poco, l’incidente di Ernesto. Da quel momento ogni richiesta di Lucia viene eseguita da Marco con ostinata rassegnazione come se, per la prima volta, si fosse trovato a fare i conti con un passato dal quale è sempre mancato. Perché è la mancanza, così prepotente nel titolo e longitudinalmente presente nel romanzo, a caratterizzare Marco.
E lui lo sa. È consapevole del debito che ha nei confronti di Lucia, di come ha lasciato che la loro storia andasse alla deriva, spolpando il sentimento e prendendo quel tanto che bastava per considerarsi felice. E’ consapevole anche di tutti quei gesti che ha sempre voluto fare ma dai quali è fuggito. E’ cosciente dell’appiattimento della sua vita, di quanto ha levigato i contatti umani, raschiando fino in fondo ed estraendo solo ciò di cui aveva bisogno. Marco si è costruito una vita più che viverla, ha artefatto la sua stessa natura ma ora, attraverso i ricordi che Lucia gli impone, si ritrova a fare i conti con quell’io che tenta, invano, di finire il Romanzo Mancante.
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