Poeta a New York di Federico Garcia Lorca.
Questo articolo è uscito sulla rivista Letteratu.
Quando ho preso in mano, durante l’università, le poesie di Lorca ho provato, da subito, un trasporto che stentavo a riconoscere e ad ammettere a me stessa. Di fronte al verso liberato dal pomposo giudizio della metrica classica e condotto verso le allucinazioni fantasmagoriche del surrealismo e le rocambolesche vicissitudini che videro il poeta protagonista nel viaggio dall’America latina alla grande mela passando per Parigi e Roma, non potevo non riconoscere la freschezza di una scrittura, stagliata sulla pagina tersa, incrinata talvolta da un dolore sotterraneo, accolto e allontanato, abbracciato e detestato dal poeta stesso, un’inquietudine, una sorta di ricerca fanatica di ciò che, di fatto, Lorca non riuscì mai a possedere.
E’ il possesso che mi ha meravigliato, quel possesso difeso fino alla morte, quel bisogno di sentirsi parte di qualcosa e che, invece, ha portato Lorca a riconoscere (erroneamente) un fallimento superiore, il disagio di una diversità che va oltre la comprensione stessa.
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