Questo articolo è uscito sul blog Sul Romanzo.
Fin dalla prima infanzia, Shirin Neshat ha conosciuto l’Occidente attraverso la visione fiabesca rielaborata del padre. Adora lo Shah, ne fa il suo stile di vita, ma l’idea dell’Occidente tramandatole dal padre non l’abbandona, al contrario si concretizza sempre più quando- nel 1974 da Qazvin a pochi chilometri da Teheran, viene mandata dalla famiglia negli Stati Uniti dove completerà gli studi all’Università di Berkeley. Cinque anni dopo, il fermento culturale californiano cederà il posto a una scelta necessaria, una forma di esilio forzato, per poter sfuggire alla rivoluzione del ’79. E così che la sua vita all’estero assume sfumature differenti da come se l’era immagina e quel mito favolistico dell’Occidente si trasforma in una deludente gabbia dorata.
Il bisogno di raccontare è un richiamo atavico, che sembra attaccato alla pelle e alle ossa di Shirin Neshat. Il racconto è insito nella mente, si esprime attraverso il suo corpo prima ancora che attraverso la sua produzione artistica. Da sempre Shirin Neshat è impegnata nella rappresentazione cinematografica e letteraria del suo Paese: raccontare la storia del mondo islamico, con un linguaggio intimo e profondo, scavando nei silenzi delle donne, nei loro sguardi velati, nel corpo bistrattato che solo di recente sta conoscendo la resurrezione dalle macerie della rivoluzione islamica.
Continua la lettura: “Il libro dei re”, l’opera di Ferdowsi, riscritta e rappresentata da Shirin Neshat
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