Ricostruendo la poetica di Vittorio Sereni mi accorgo che sto procedendo a ritroso. Sono partita con Strumenti Umani, lacerante umanità di versi sospesi tra dolore personale e tragicità collettiva per passare poi a Diario d'Algeria in cui la sofferenza si fa ancora più dura e la parola viene scarnificata da un dolore che non conosce eguali. Nel corso del terzo appuntamento dedicato a Sereni voglio invece guardare a Frontiera, la prima raccolta poetica che raccoglie, in germe, gli incontri illustri, la formazione e le esperienza culturali che hanno contribuito a plasmare l'anima di un giovane uomo.
Frontiera risente degli strascichi ermetici anche se non abbraccia del tutto tale poetica al contrario sembra, per certi aspetti, prenderne le distanze lasciando spazio a un realismo acerbo ma comunque inserito nel quotidiano e affidandosi alla poetica degli oggetti montaliana. Concentrata attorno al paesaggio della sua infanzia, Frontiera presenta un'eleganza formale tendente al frammentismo che ne fa un unicum nella produzione del poeta e scrittore luinese.
Il titolo allude alla linea che separa l’Italia fascista dall’Europa democratica. Il paesaggio è continuamente minacciato e messo in contrapposizione con il resto dell'Europa vista come terra neutra.
Il bisogno di aderire alla realtà sarà nodo cruciale in Diario d'Algeria e diverrà simbolicamente e allegoricamente essenziale in Strumenti Umani.
Le mani
Queste tue mani a difesa di te:
mi fanno sera sul viso.
Quando lente le schiudi, là davanti
la città è quell'arco di fuoco.
Sul sonno futuro
saranno persiane rigate di sole
e avrò perso per sempre
quel sapore di terra e di vento
quando le riprenderai.
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