Quando mi hanno proposto di recensire il libro finalista del Premio Calvino, Vita e morte della montagna di Bortoluzzi (Edizioni Biblioteca dell'immagine) non avrei mai pensato di restarne folgorata. Anzi, forse non è neppure la parola esatta. A dire il vero il libro ha toccato una nota personale che avevo accantonato, stropicciata tra un impegno e l'altro della vita, ricacciata al suo ruolo di pensiero prima di addormentarsi. Ebbene, questo libro ha avuto la forza di far vibrare quella nota, in quell'angolo nascosto, umido, un angolo che non amo illuminare, che volutamente tengo al buio, perché è emotivamente dispendioso fare luce sul passato.
Scrivendo la recensione (e per chi vorrà leggerla, in fondo metterò il link) ho scritto queste parole: "Ce le ricordiamo sempre troppo tardi, le nostre radici. Quando accade che un dolore squarcia il velo d’inconsapevolezza che tanto ci piaceva e col quale avremo voluto nasconderci ancora per un poco, è in quel momento che ci si accorge, allo stesso modo di come è accaduto a Giacomo Casàl, che il tempo scivola tra le dita come acqua e non si riesce ad arginare questo alluvione, che trascina con sé tutto, anche noi stessi. E succede, anche, che è troppo tardi per rimettere in fila le parole e scegliere quelle giuste, è troppo tardi perché il tempo si è portato via anche le persone e quel che resta è un cumulo di terra. Facciamo a pugni con quella, finché la rabbia non lascia il posto alla fatica".
Ho sentito una specie di rottura quando ho finito di scrivere. Come se avessi liberato una verità che tenevo nascosta da troppo tempo. Vita e morte della montagna è un romanzo sulle radici, sugli abbandoni, sulle cose che non si dicono, su quelle che vorremo pronunciare ma ci manca il coraggio e ce lo ricordiamo dopo anni, quando è troppo tardi. E' anche un romanzo sul tempo che ci strangola e gli effetti che può avere sulle nostre vite.
Ci sono momenti in cui credo di aver scritto parlando del mio dolore che, tuttavia, ricalca quello del protagonista. Siamo simili. Siamo dannatamente simili. Veniamo dai campi, dallo sterco, dal fango e dalla nebbia. Abbiamo abitato case fredde costruite con lo sforzo di uomini ingenui, abbiamo lottato contro la povertà e alla fine ci siamo trovati a fare a pugni con il passato.
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