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C'era una volta è il classico attacco con cui cominciano le fiabe della tradizione. Con “C'era una volta” Gianni Rodari gioca nel suo libriccino A sbagliare le storie e nella Grammatica della fantasia.
Giocare “a sbagliare le storie” diventa una vera e propria serie di esercizi.
“C'era una volta una bambina che si chiamava Cappuccetto Giallo. No, Rosso! Ah, sì, Cappuccetto Rosso. La sua mamma la chiamò e le disse: Senti, Cappuccetto Verde... Ma no, Rosso!”
- G. Rodari, A sbagliare le storie
“Questo lo schema di un vecchio gioco «a sbagliare le storie» che può nascere in ogni casa, in qualsiasi momento. L'ho adoperato anch'io, tanti anni fa, nelle mie Favole al telefono.”
- G. Rodari, Grammatica della fantasia
Il vetusto “C'era una volta” è ormai caduto in disuso – a meno che non se faccia una scelta di stile. Le “nostre” storie ormai non cominciano più con “C'era una volta”. Già le fiabe di Andersen, nell'Ottocento, non cominciavano più in questo modo. Prendiamo, ad esempio, La piccola fiammiferaia:
“Faceva un freddo terribile, nevicava e calava la sera – l'ultima sera dell'anno, per l'appunto, la Sera di San Silvestro. In quel freddo, in quel buio, una povera bambinetta girava per le vie, a capo scoperto, a piedi nudi.”
- Hans Christian Andersen, La piccola fiammiferaia da Tutte le fiabe (ed. Newton I Mammut)
Cambia la maniera di scrivere l'incipit ma la maniera di scrivere storie (e di raccontarle) soggiace pur sempre alla medesima struttura, che rimane sostanzialmente la stessa nel corso del tempo. A dare una forma, sistematizzare questa struttura è l'antropologo russo Vladimir Propp, nel suo Morfologia della fiaba.
Lo schema generale di una fiaba, secondo Propp, è il seguente:
“C'era una volta una bambina che si chiamava Cappuccetto Giallo. No, Rosso! Ah, sì, Cappuccetto Rosso. La sua mamma la chiamò e le disse: Senti, Cappuccetto Verde... Ma no, Rosso!”
- G. Rodari, A sbagliare le storie
“Questo lo schema di un vecchio gioco «a sbagliare le storie» che può nascere in ogni casa, in qualsiasi momento. L'ho adoperato anch'io, tanti anni fa, nelle mie Favole al telefono.”
- G. Rodari, Grammatica della fantasia
Il vetusto “C'era una volta” è ormai caduto in disuso – a meno che non se faccia una scelta di stile. Le “nostre” storie ormai non cominciano più con “C'era una volta”. Già le fiabe di Andersen, nell'Ottocento, non cominciavano più in questo modo. Prendiamo, ad esempio, La piccola fiammiferaia:
“Faceva un freddo terribile, nevicava e calava la sera – l'ultima sera dell'anno, per l'appunto, la Sera di San Silvestro. In quel freddo, in quel buio, una povera bambinetta girava per le vie, a capo scoperto, a piedi nudi.”
- Hans Christian Andersen, La piccola fiammiferaia da Tutte le fiabe (ed. Newton I Mammut)
Cambia la maniera di scrivere l'incipit ma la maniera di scrivere storie (e di raccontarle) soggiace pur sempre alla medesima struttura, che rimane sostanzialmente la stessa nel corso del tempo. A dare una forma, sistematizzare questa struttura è l'antropologo russo Vladimir Propp, nel suo Morfologia della fiaba.
Lo schema generale di una fiaba, secondo Propp, è il seguente:
- Equilibrio iniziale (esordio);
- Rottura dell'equilibrio iniziale (movente o complicazione);
- Peripezie dell'eroe;
- Ristabilimento dell'equilibrio (conclusione).
Di seguito invece, quelle che io e una mia collega abbiamo scelto i occasione di una lezione di scrittura creativa la primavera scorsa in una scuola media locale; potete trovarne altre su questa pagina.
- Allontanamento = l'eroe si allontana.
- Divieto = un taboo che l'eroe non deve infrangere.
- Infrazione del divieto = l'eroe infrange il taboo.
- Investigazione = l'eroe cerca una soluzione.
- Tranello = l'eroe finisce in una trappola.
- All'eroe è imposto un compito difficile.
- Lotta tra eroe e antagonista.
- L'eroe si salva.
- Punizione dell'antagonista.Lieto fine.
Identificare e isolare le funzioni di Propp in un moderno romanzo di narrativa è probabilmente un esercizio complicato e difficile, perché noi rimescoliamo le carte, pieghiamo le regole secondo le nostre esigenze, giochiamo con parole, sperimentiamo, innoviamo; ma proviamo a soffermarci per un momento sulle storie che amiamo, non è forse perché seguono questo schema fondamentale che ci piacciono e che sono riconoscibili come storie?
Valentina Bertani
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Si credo proprio sia lo schema. Se non sai come dirlo, trasformalo in una storia e verrà compreso, forse proprio perché a parlare è lo schema stesso?
RispondiEliminaBellissimi questi articoli.
Grazie Cinzia, anche a nome di Valentina :) condivido quello che hai detto!
RispondiEliminaGrazie e mille, Cinzia. :)
RispondiEliminaAmmetto che non conoscevo le funzioni di Propp.
RispondiEliminaDavvero interessante.
Grazie Valentina ;-)
Contenta che ti sia piaciuto :)
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