Gli anni: l'autobiografia impersonale di Annie Ernaux
C'è qualcosa nella scrittura di questa donna che tocca delle corde profondissime, un substrato che credevo di aver rimosso, di aver sepolto e, invece, ecco che emerge, granitico, imponente. E' come affondare in un abisso profondo, nessuna possibilità di riemergere se non dopo aver visto, o rivisto, il fondo. E così, anche questa lettura di Annie Ernaux, Gli anni, traduzione sempre della piccola casa editrice romana, mi riporta con forza, con quanta violenza, a quel rimosso.
Vorrei provare a dire qualcosa di questo libro senza che il rimosso laceri le mie parole prima ancora che possano arrivare su questo foglio digitale. Ci provo, non garantisco. Per farlo cerco di partire da una frase di Ernaux a proposito della stesura del libro Gli anni. Ebbene, lei dice di averlo iniziato nel 1985 scrivendo l'incipit «e poi ho descritto alcune scene come la donna accovacciata che urina, l'uomo che passa sul marciapiede e altre piccole scene. Ho rinunciato, poi ho scattato alcune foto che ho descritto. Poi sono tornata all'idea che tutte le parole scompariranno. In fondo è immaginare che un giorno la mia esistenza, tutta l'esistenza scompaia e noi non saremo altro che un nome perso in una generazione lontana. Quindi queste sequenze spiegano il motivo del libro: voglio tornare indietro nel tempo, cioè farlo iniziare negli anni '40. Senza che io lo sapessi, con queste enumerazioni di immagini, espressioni, parole, ho comunicato il contenuto e il metodo del libro: viaggiare indietro nel tempo grazie ai ricordi».
Annie Ernaux racconta la sua storia e insieme la storia di intere generazioni, di chi l'ha preceduta e di chi è venuto dopo di lei. La narrazione è spontanea, una purezza che segue il flusso dei ricordi e in questo continuo rimembrare si assume la responsabilità delle immagini che sceglierà di salvare dall'oblio. «Non si tratta solo di salvare la mia esistenza, si tratta di salvare il tempo in cui eravamo tutti, è l'idea della scrittura che salva».
Questa idea la capisco, la comprendo. È la stessa idea che mi ha trasmesso la mia insegnante di letteratura francese ed è anche quella che, negli anni a venire, ho sentito con forza mentre scrivevo cercando di salvare i ricordi.
Rammento le parole di Virginia Woolf a proposito dei ricordi, il fardello che il passato le ha lasciato in eredità. È attraverso la scrittura che veniamo al mondo e con noi la nostra memoria, ciò che siamo stati e l'ambiente che ci ha consegnato al mondo. Annie Ernaux spiega questo momento con grande lucidità, riferendosi a ciò che accade al bambino che vive la prima fase della sua vita all'interno della cerchia familiare. «Il mondo dell'infante, quello dal quale ognuno di noi proviene, è quello che ti allena, principalmente, attraverso il corpo». Quello che accade nei primi anni della vita del bambino, le emozioni, le sensazioni, tutto ciò che andrà a formare la sua persona «resta molto radicato, sepolto. La scrittura riporta al mondo questa prima relazione».
Qualcosa di simile viene teorizzato anche da Pierre Bourdieu, a cui Ernaux si rifa spesso: «Il mondo natale è infatti soprattutto il mondo materno» e aggiunge «è senza dubbio nel cibo che troveremo il segno più forte e il più inalterabile del primitivo apprendimento, quello dei sapori primordiali e dei cibi originali».
«Come socializziamo quando arriviamo nel mondo? Come si apprende ciò che è accaduto prima della nostra nascita? Mi sono tornate in mente le tavole festive, quelle domenicali e ho notato l'interminabile lentezza dei pasti festivi… Il pasto festivo come momento privilegiato in cui il bambino si ritrova nel mondo della famiglia e nella storia. Questa è l'immagine che mi è venuta, con la sensazione del cibo sui tavoli, ma anche l'atmosfera, le canzoni (in passato si cantava molto a fine pasto) e le conversazioni. È stato attraverso le conversazioni a tavola che la storia dei miei genitori e dei miei nonni mi è stata trasmessa. La tavola è un luogo di trasmissione della memoria storica, della memoria familiare con persone che non conoscevamo, che sono morte, questo ricordo vago e lontano di persone che non conosceremo mai ma che sono parte della famiglia. Allo stesso tempo, poiché le due memorie vanno di pari passo, accediamo al mondo sociale a cui non sappiamo ancora di appartenere, nel mio caso era il mondo contadino. Nel pasto, la lingua, uno stile di vita e un ricordo, è tutto ciò che accade al bambino».
«Ne Gli anni, il primo pasto di festa è molto lungo perché spiego tutti gli aspetti del venire al mondo. Riceviamo il nostro posto nel mondo, cioè in una famiglia, in uno spazio sociale, in un'epoca». I pasti in famiglia assumono una forma eucaristica diventando momenti vissuti in memoria di una o più persone che non fanno più parte del clan famigliare. La memoria rivive e passa attraverso le parole elargite durante quei pasti e che restituiscono, ai presenti così come agli assenti, il loro posto all'interno del nucleo.
Abdicando all'io, Ernaux ci consegna un quadro privato della vita sua famigliare nel quale individuo le mie origini contadine, tracce di un passato appartenente a un altro tempo quando il vino inondava la tavola delle feste e a fine pasto il fumo delle sigarette aleggiava per tutta la cucina. Una sola portata, il più delle volte selvaggina cacciata da mio nonno e sbattuta orgogliosamente sul piano di legno ancora sanguinante, mia nonna pronta a pulire, spennare e cuocere per un'intera giornata prima di servire fumante per il pranzo della domenica.
Gli Anni è un romanzo autobiografico e nel contempo un racconto della storia delle generazioni dal dopoguerra ai primi anni duemila. La narrazione è spontanea, segue il flusso dei ricordi e in questo continuo rimembrare Annie si assume la responsabilità delle immagini che sceglierà di salvare dall'oblio.
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