Siamo davanti ad un giornalismo evolutivo ed esperienziale. Parliamo di un giornalismo che si nutre dei social media, che arranca tra algoritmi e app, che lotta contro le fake news, che sperimenta tecniche e strumenti per news di qualità.
Le
piattaforme di social networking sono ormai diventate una risorsa indispensabile per la figura del
giornalista. Il loro utilizzo permette sia l'interazione con il lettore sia l'adozione di tecniche per trovare, filtrare e seguire contenuti stimolanti.
Neil Thurman a metà dello scorso anno ha svolto una ricerca sulla base dell'analisi di app e social network partendo dalla tesi secondo la quale il giornalismo può arricchirsi utilizzando questi strumenti per attingere a fonti altrimenti inesplorabili e ad utenti particolarmente attenti e sensibili. Questi ultimi potrebbero diventare sia dei nuovi fruitori di notizie sia parte integrante delle stesse. Dalla ricerca sono emerse anche delle perplessità circa il pericolo di diffusione dei populismi, la salvaguardia della privacy e la possibilità di un'eccessiva dipendenza dai supporti tecnologici tanto da offuscare le capacità critiche del giornalista stesso.
I social media possano sortire l'effetto di catalizzatori dell'attenzione dei lettori assicurando il content sharing nel più breve tempo possibile rispetto a qualsiasi altro medium. Questo ha una duplice conseguenza: da un lato il lettore non è
"incoraggiato" a cercare le notizie altrove rispetto ai luoghi dove sa con certezza che le troverà (basta accedere allo smartphone per avere, a portata di click tra le onde degli algoritmi e i flussi degli aggiornamenti, news anche real-time, geograficamente vicine e non), dall'altro lato, il lettore si sente inglobato, con o senza la sua volontà, in un sistema ciclico di condivisione della notizia, rigenerazione e, in taluni casi, creazione della stessa.
Uno studio pubblicato nel corso del 2017 sul
Journal Computer-Mediated Communication di Homero Gil de Zúñiga, Brian Weeks, Alberto Ardèvol-Abreu spiega quale sia la percezione del lettore nei confronti del
"ritrovamento delle notizie" sui social media:
While news-finds-me perceptions may be a function of using social media as a source of news, it may also be that holding this belief further encourages news exposure within these sites. For example, individuals who hold the news-finds-me perception may believe that social media fulfills their news needs, which might lead them to more consistently turn to social media as a source of news. That is, if people believe the news will find them without actively seeking it, they will likely need to continue to use and rely on social media as a source of news to maintain the perception of being informed. In this way, use of social media for news and news-finds-me perceptions may have a cyclical relationship. Using social media for news enhances the news-finds-me perception, which may subsequently encourage further use of social media as a source of news.
Tuttavia, se questi aspetti possono essere accolti positivamente non possiamo sfuggire alla riflessione (e constatazione) dell'altra faccia della
"libertà espressiva garantita dal web":
Ossia la possibilità di sfuggire ai tradizionali bottlenecks [colli di bottiglia] dell'informazione culturale grazie alla disintermediazione.
Si ritorna allo studio di Neil Thurman dal quale erano emersi forti punti interrogativi nei confronti di un
giornalismo frutto dell'uso dei social media.
Credibilità: se fossimo davanti a una
mappa concettuale questa sarebbe la parola chiave dopo giornalismo e social media.
Quale credibilità dare al giornalismo che attinge dai social media? Quale linea di
demarcazione possiamo porre fra il
giornalismo e le fake news? In tanti si sono posti queste domande, compresi gli stessi giornalisti e le stesse testate giornalistiche, soprattutto dopo fatti di cronaca nera preceduti da tempeste mediatiche (non serve enumerarli).
Giornalismo: a che punto stiamo con le fake news?
Non è solo una questione di fake news o filter bubble, ma di intere strutture sociali esposte alla perdita di controllo nello sviluppo tecnologico, a maggior ragione in un Paese come l’Italia, che non gioca un ruolo di produttore di grandi architetture digitali.
Inoltre:
Secondo una recente indagine Demos-Coop, il 56% degli italiani ha considerato “vera una notizia letta su internet che poi si è rivelata falsa”. Il 23% “ha condiviso in rete contenuti per scoprire successivamente che erano infondati”.
Un dato ancora più inquietante: a credere alle fake news sono più volentieri le persone con titolo di studio medio (42%) o alto (49%) che basso (7%); lo stesso accade con le condivisioni. Le principali vittime (ma anche i complici) delle fake news sono i giovani istruiti, sempre più connessi e attivi anche attraverso gli smartphones (demos-coop, Osservatorio capitale sociale – 57 – I media, internet e le fake news, 18 dicembre 2017).
Il rimedio non è un affannoso arrancare tra social media, algoritmi, aggiornamenti e utilizzo di app a cui cedere, indiscriminatamente, i nostri dati, le nostre risorse intellettive e le nostre energie.
Il rimedio è lo
sviluppo e la contaminazione del pensiero critico per una produzione sana, coerente e ragionata di notizie condivisibili.
Giornalismo e pensiero critico
Per uno sviluppo e una promozione capillare del pensiero critico servono strumenti in grado di penetrare e raggiungere il sistema scolastico.
Il dossier Ocse 2015 su scuola e università segnalava in Italia uno dei punteggi più bassi in termini di lettura e comprensione negli under 35. Parametri allarmanti soprattutto se comparati con quelli di altri stati europei. E
il gap non arretra nel 2016. Il
Dossier Ocse 2017 rileva un basso livello di competenze tra i lavoratori, tra i laureati e neolaureati italiani a dimostrazione del fatto che ne risentono le performance aziendali, manageriali, gli studi e le ricerche.
Come possiamo produrre giornalismo di qualità in questo contesto culturale?
Sembra essere una guerra impari, quella tra giornalismo e fake news, tra verità e manipolazione, tra individuo pensante e "mandria".
Scuola e università sono le istituzioni in cui si può (e si deve) partire da una
didattica per competenze in grado di preparare bambini, adolescenti e giovani nella risoluzione di molteplici problemi attraverso verifiche empiriche delle ipotesi, controllo, organizzazione e classificazione dei fattori. Tutto ciò si riassume nell'
esercizio del pensiero critico.
La grande sfida del sistema scolastico italiano consiste nel preparare le future generazioni ad un ecosistema lavorativo complesso dove il singolo individuo può realizzarsi intraprendendo non un lavoro specifico ma una carriera trasversale che tocca più settori professionali i quali, nella maggior parte dei casi, saranno in continuo divenire. E' interessante, in questo contesto, uno studio del dipartimento del lavoro americano secondo il quale più della metà dei bambini che frequentano la scuola primaria svolgeranno in futuro una professione che, ad oggi, non esiste.
Progetti: lo sviluppo del pensiero critico per un giornalismo di qualità
Lo
sviluppo del pensiero critico è l'obiettivo dell’
Osservatorio Permanente Giovani-Editori (Opge):
sviluppare il pensiero critico attraverso esercizi, specialmente a scuola, che servano a distinguere i contenuti credibili dalle fake news. Fanno parte del progetto i direttori dei quotidiani più prestigiosi degli Usa: Dean Baquet ( New York Times ), Gerard Baker ( Wall Street Journal) e Davan Maharaj ( Los Angeles Times).
A questo proposito nel dibattito di ieri tra il giornalista Paolo Bustaffa e il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, ospite del centro Cardinal Ferrari di Como, quest'ultimo
afferma che:
Solo cittadini critici e responsabili sono in grado di combattere l’onda delle fake news. È un’operazione lunga e difficile. Noi come Corriere ad esempio partecipiamo da tempo al progetto del quotidiano in classe, che invita gli studenti a maturare una coscienza critica della notizia e della sua filiera. Il triangolo famiglia-scuola-mondo dell’informazione ci deve portare a esigere la stessa qualità della carta sul web. Vedi l’esperimento che al Corriere stiamo facendo con Milena Gabanelli: notizie video basate su dati concreti e su numeri, per affrontare il cuore di un problema. Informazione rapida ma con tanta profondità. Questo è sapersi adeguare al mondo. L’importante è non mettersi in cattedra e non dare lezioni. Il mondo cambia. Oggi le notizie arrivano di continuo da tanti fonti diverse; il giornale deve essere un’isola di riferimento dove poter trovare una chiave di lettura del mondo.
Un altro progetto per lo sviluppo del pensiero critico, nato nell'ottica di una connessione delle giovani generazioni con l'era attuale dell’industry 4.0 e dell’internet of things, è
TEDxYouth@Bologna 2018. Evento e concorso al tempo stesso, TEDxYouth@Bologna darà voce alle idee degli studenti delle scuole superiori italiane che si esibiranno, a metà febbraio, in talk di max 18 minuti a partire dal tema
“Il nostro orizzonte è il mondo” all’interno di macro-aree, dalla sfera umanistica a quella scientifica e tecnologia, passando per le idee imprenditoriali, le start-up e lo sport.
Da segnalare anche
School of Media, progetto nato dall’associazione di promozione sociale
Il Refuso, editore della testata
Giornalisti Nell’erba, cofinanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento della Gioventù, e dalla Regione Lazio in partnership con il Comune di Frascati e in collaborazione con DVI99.
School of Media è la scuola di giornalismo che attraverso
"poche chiacchiere e molto esercizio" insegnerà gratuitamente a 120 giovani del Lazio a
"scrivere, a leggere ed informarsi, a fare riprese video, a montare e calibrare l’audio, a costruire un sito web, a buttar giù grafiche e infografiche, a usare correttamente - ed efficacemente - i social network".
E
sul futuro della professione giornalistica segnaliamo invece il
master in giornalismi & comunicazione corporate: “Dal Brand Journalism alle Digital PR, quando il Giornalismo Sposa l’Impresa” di DataMediaHub, in collaborazione con Associazione Stampa Romana e AGI come media partner:
Se dunque l’industria dell’informazione non pare allo stato attuale aver ritrovato la luce e gli sbocchi professionali sono di conseguenza estremamente ridotti, se non nulli, con tagli occupazionali che purtroppo proseguiranno anche nel 2018, questo non significa che la professione giornalistica non abbia un futuro, anzi. L’evoluzione continua che ha interessato il settore della comunicazione negli ultimi anni e la grande rivoluzione avvenuta nel panorama dei media si è caratterizzata anche per l’esplosione di branded content e più in generale di quello che viene raccolto nella definizione di brand journalism.
Concludendo...
Prima di iniziare a scrivere ho letto queste parole di Ryszard Kapuściński:
La nostra professione è una lotta costante tra il nostro sogno, la nostra volontà di essere del tutto indipendenti e le situazioni reali in cui ci troviamo, che ci costringono invece ad essere dipendenti da interessi, punti di vista, aspettative dei nostri editori… In generale si tratta di una professione che richiede una continua lotta e un costante stato di allerta.
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