Poesie di Sylvia Plath. Ricordi di una poetessa e Donna


E' stato un verso tatuato sul braccio di una ragazza ad avvicinarmi alla poesia di Sylvia Plath.
Durante l'adolescenza ero troppo distratta per precipitare nella lirica palpitante della Plath ma ero, al contempo, una sognatrice troppo grande per non inciampare, prima o poi, tra le sue poesie. E se durante il liceo il professore d'inglese mi regalò momenti meravigliosi grazie ai versi della Plath, quell'energia espressiva, quella profonda coscienza di sé, quello spasmodico e logorante bisogno di affondare le mani nel dolore, quel rimestare nella sofferenza per ricavare altra sofferenza, vennero a me qualche anno dopo, grazie a un tatuaggio di una ragazza.

Tuttavia dopo anni di letture altalenanti, a tratti incostanti, spesso tardive, mi sembra ancora di non conoscere abbastanza questa Donna che aveva scritto con la mente ricca e il cuore gonfio.
Era lei che citava, nei suoi articoli di giornale e nelle sue lettere, De Chirico, Gauguin, Goya, Klee, Picasso ed era sempre lei che parlava di "disperato amore del vivere", rubando le parole a Giovanni Giudici. Era lei a correre sul binario parallelo a quello della morte, in un costante ossimoro che toglie il respiro anche a chi la legge.
Ed io, ignara della limpida profondità dei suoi versi, mi ero accostata alla poetica di Sylvia Plath con la baldanzosa pretesa di carpirne il significato, di riuscire a far combaciare le rime con i pensieri, di riempirmi la bocca con parole troppo grandi per la mia portata e tutto questo per il solo fatto che ammiravo, esteticamente, la ragazza che si era fatta tatuare sul braccio un verso di Sylvia Plath.

Non credo che la ragazza tatuata l'abbia mai capito.
Anzi credo proprio che non se ne sia neppure resa conto.
E questa è la storia, bizzarra se volete, di come Sylvia Plath mi abbia affascinata.   


L’aspirante

Prima di tutto ce li hai i requisiti?
Ce l’hai?
Un occhio di vetro, denti finti o una gruccia.
Un tirante o un uncino,
Seni di gomma, inguine di gomma,

Rattoppi o qualcosa che manca? Ah
No? E allora che mai possiamo darti?
Smetti di piangere
Apri la mano.
Vuota? Vuota. Ma ecco una mano

Che la riempie, disposta
A porgere tazze di tè e sgominare emicranie,
E a fare ogni cosa che gli dirai,
La vorresti sposare?
E’ garantita,

Ti tapperà gli occhi alla fine della vita
E del dolore,
                                                                                                                                                              Con quel sale ci rinnoviamo le scorte.
Vedo che sei nuda come un verme –

Un po’ rigido e nero, ma niente male,
Lo vorresti sposare?

E’ impensabile, in frantumabile, abile
Contro il fuoco e imbombardabile
Credi a me, ti ci farai sotterrare.

E adesso, scusa, hai vuota la testa
Ho la cosa che fa per te.
Su, su, carina, esci fuori dal guscio.
Ecco, ti piace questa?
Nuda per cominciare come una pagina bianca.

Ma in venticinque anni d’argento,
D’oro in cinquanta, potrà diventare,
Una bambola viva, sotto ogni aspetto.
Sa cucire, sa cucinare,
Sa parlare, parlare, parlare.

E funziona, non ha una magagna,
Qua c’è un buco, che è una manna.
Qua un occhio, una vera visione.
Ragazzo mio, è l’ultima occasione.
La vorresti sposare, sposare, sposare?



Lettera d'amore

Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov'ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po' col piede, no-
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio, 
di comprendere l'azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri 
nel bianco iato dell'inverno-
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l'aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt'intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d'uccello e gli steli delle piante
Non m'ingannai. Ti riconobbi all'istante.
Albero e pietra scintillavano, senz’ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per l’aria nella mia veste d'anima

pura come una lastra di ghiaccio. E' un dono.



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Per approfondimenti: 

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