Le parole ci inchiodano alle nostre responsabilità. E' per questo motivo che, talvolta, si commette l'errore di pensare che basta non chiamare le cose con il proprio nome per annullarle. Il processo di annullamento di una cosa presuppone, tuttavia, l'esistenza di quella cosa.
Se annullo, se tento di cancellare qualcosa significa che quella determinata cosa è esistita.
La scrittura ci viene in aiuto. Ferma, sulla carta, le parole cristallizzandole e offrendole all'Altro, a colui che saprà accoglierle, trascenderle e trasfigurarle.
Davide Rondoni deposita nelle nostre mani un lungo racconto, E come il vento edito da Fazi, un viaggio nell'Infinito leopardiano che diventa, pagina dopo pagina, l'Infinito del poeta Rondoni, l'Infinito dell'uomo Rondoni e il nostro personale Infinito.
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E' una responsabilità parlare di Infinito. E' una responsabilità parlarne nei termini in cui lo ha fatto Rondoni. Nessuna asserzione dal sapore accademico, nessuna dissertazione filosofica. Rondoni è di fronte a noi e legge la poesia-magnete di Leopardi. La poesia non cambia nulla nel mondo, apparentemente. Se non la materia più dura e difficile: la nostra vita.
Cosa spinge l’uomo, da sempre e ovunque, a interrogarsi sull’infinito? Leopardi scrive: «dove trova piacere l’anima aborre che sia finito». L’anima aborre... Il punto da cui sorge il problema, come Leopardi indica, è la vita, l’esperienza.
L'Infinito esiste e Rondoni lo colloca in un luogo che chiamerà, per tutto il libro,“non altrove dalla poesia”. In questo senso Rondoni prende per mano il lettore lo accompagna nell'altrove dalla poesia, in questo luogo caro a Leopardi ma anche a Baudelaire, Rimbaud, Keats, Campana, Corso, Luzi, Loi e, come ricorda Rondoni, a tanti di noi che, grandi o minimi poeti, andiamo quasi irrefrenabili. E penso a quelli che hanno vissuto l’immobilità forzata, come Pierluigi Cappello o il fortissimo Joë Bousquet, che in epistolari o lunghe telefonate facevano la loro passeggiata.
...succedono un sacco di cose nel corpo e nel senso di questa poesia. Rondoni ce le mostra, si interroga su ciò che si cela nell'animo del giovane Leopardi. Lui, il genio schivo, potrebbe essere Iena che, dal braccio 6 del carcere di San Vittore, afferma «entrare in carcere apre grandi orizzonti».
L’infinito è in agguato anche laddove lo spazio si fa minimo e la siepe quasi ti serra la bocca, toglie la luce.
L'incontro con l'Infinito leopardiano attraverso le parole di Rondoni prosegue nell'infanzia del poeta di Forlì, in quella Romagna velata da nostalgia attraverso lucidi ma lontani ricordi (il suo dolce naufragio d'infanzia), prosegue nei corridoi dell'università, nelle osterie a bere vino e a parlare con amici di poesia, di parole e di letteratura. L'incontro con l'Infinito leopardiano raccontato da Rondoni prosegue nelle le letture ai ragazzi delle scuole e delle università.
Rondoni insegnante, poeta, filosofo che accoglie la poetica leopardiana e la con-prende. Non cerca di analizzarla, cerca di accoglierla. Si addentra nella sua atmosfera, tra le pieghe delle varie correzioni, scava fin dove ha scavato Leopardi ma ogni volta è una scoperta nuova. Una nuova epifania. Non si conosce mai abbastanza di questa poesia. E forse in questo che risiede l'infinita bellezza?
Quanto gli è costato L’infinito? Quanto è costata questa felicità di scrittura? Lo penso spesso passando le dita su quelle parole prodigiosamente composte...
Diceva: conosco una “specie di felicità” nell’esperienza dello scrivere. Dev’essere la strana felicità del minatore che, tutto lordo e lacero e in crisi di ossigeno, prova a riemergere alla luce «Il poeta è un minatore», dirà anni più tardi un poeta leopardiano nella verticalità della scrittura, Giorgio Caproni.
Il lungo racconto di Rondoni ci culla tra i rimandi biblici insiti nella poetica di Leopardi e le immagini reali (o surreali) che si celano (più o meno argutamente) tra un verso e l'altro.
Il quel naufragio vedo uno sforzo: il tentativo di fermare un ricordo di renderlo parte integrante di un presente che coincide con il proprio Essere, con la propria persona, con quell'intricata matassa di esperienze, incontri, parole, letture, scritture che hanno dato forma alla persona che siamo ora, in questo momento. E' un naufragio dolce che, per quanto devastante possa apparire, vuole offrire un barlume di speranza.
Nota a margine (ma di grande importanza):
Per i duecento anni dalla scrittura di questa poesia, anche su input di un manipolo di folli radunati da me, come i ragazzi e i professori del Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna, gli amici della Fondazione Claudi, e poi poeti e professori sparsi in mezzo mondo, è partita una specie di libera festa per questa poesia, “festa” libera e un po’ anarchica (siamo partiti prima e senza troppi timbri di Centri Studi Leopardiani, Accademie ecc.) che si sta svolgendo in Italia e fuori con mille iniziative diverse, da “corti” prodotti dalla RAI a conferenze e letture, musica, danza, teatro, opere d’arte ecc. Se ne trova notizia sul web. Ovunque questa poesia è amata, mormorata, interpretata. Giovani e meno giovani se ne sono riappropriati, ci hanno messo gli occhi. Il cuore.
#unRicordo: la poesia "L'Infinito" di #GiacomoLeopardi è stata scritta nel 1819.— infinito200 (@InfinitoDue100) 6 novembre 2018
Stiamo festeggiando i #200anni della poesia più bella della #letteraturaitaliana e lo faremo per tutto il 2019! Segui #infinito200 pic.twitter.com/M6mdM93m8v
#Infinito200 a #Imola il #7marzo con l'Accademia Pianistica "Incontri col maestro"!#25Feb pic.twitter.com/DjpKTj1mYG— infinito200 (@InfinitoDue100) 25 febbraio 2019