venerdì 26 aprile 2019

Mauro Covacich, Di chi è questo cuore

Tra le pieghe del libro di Mauro Covacich, Di chi è questo cuore (La Nave di Teseo), inserito tra i dodici candidati al Premio Strega, si legge una storia di cuori desolati, di persone fragili che vagano in una Roma abbandonata. Un flusso di pensieri, quello dell'autore che si confonde con il narratore, che vuole essere lo specchio di un quotidiano mal di vivere che accresce la distanza, l'incomunicabilità, la diffidenza tra il narratore stesso e le persone che lo circondano.


Amabile podista, il narratore si trova ben presto alle prese con una complicazione cardiaca che non accenna ad arrestarsi. E' questo il momento in cui dovrà fare conti con nuove abitudini, nuovi impegni quotidiani e, talvolta, nuovi volti alcuni dei quali andranno a popolare le sue fantasie mentre altri saranno il pretesto per una più ampia e approfondita analisi sull'animo umano.

L'animo umano è il crogiolo entro il quale i sentimenti si dipanano andando a definire l'individuo: "diventare individui richiede uno sforzo spesso insostenibile, significa rispondere a un appello. Non a caso veniamo al mondo con un nome, che è già lì, pronto ad aspettarci". Eppure il nome non ha origine da un personale inconscio e incontrollato impulso, ma è incline alle volontà di soggetti terzi. Nell'animo abbiamo l'immagine nitida e pura di noi stessi: per chi riesce a guadarsi può vedere anche il proprio cuore andando oltre l'indagine anatomica. E quindi di chi è questo cuore?

Il gesto estremo, che si tinge di solipsismo, che rinnega la bellezza, che va controcorrente, che può risultare narcisistico, è quello di colui che riesce a cogliere se stesso dalla massa informe e senza paura tenta di guardarsi dentro, di scorgere (per capire), in fondo al marasma emotivo e al di là delle consuetudini sociali, di chi è realmente il suo cuore.

Su Twitter viene raccontato così...











domenica 21 aprile 2019

L'ostereierbaum di Volker Kraft


Anche la Pasqua laica ha le sue tradizioni. Lo sapevi che esistono gli alberi di Pasqua? L'albero di Pasqua più famoso risale al 1945 in Germania. Questi alberi e la tradizione che rappresentano vengono conosciuti ostereierbaum o osterbaum. 
Gli alberi di Pasqua sono realizzati appendendo uova decorate sui rami invernali spogli, sia nei giardini, sia su rami staccati dagli alberi e portati in casa. Decorate con tanti colori brillanti e appese con nastri colorati, le uova possono essere di plastica, di legno o vere (svuotate e poi dipinte).
Come detto pocanzi, l'ostereierbaum più famoso del mondo si trovava in Germania, precisamente nella città di Saalfed e risale al 1945. Volker Kraft è l'artefice di questa meravigliosa opera che replicò dopo aver visto alcune uova appese ad un albero poco distante da casa sua. Con costanza e dedizione, Volker Kraft, in un albero del suo giardino, a partire dal 1965, e per tutti gli anni a venire, appese uova colorate. Nel 2009 si contarono oltre 10.000 uova. 
La meravigliosa creazione di Volker Kraft è stata donata nel 2016. 

Easter Greeting

I migliori auguri di Pasqua raccontati dalle cartoline storiche provenienti da tutto il mondo. Una collezione autentica e prestigiosa che i musei conservano con grande cura. 

Auguri di Pasqua: cartolina conservata presso The Strong National Museum of Play
Mr and Mrs COCK-A-DOODLE-DOO. Sketch for Easter Card Jenny Nyström 1909 Nationalmuseum Sweden


Easter Card di Tuck's Post Card

Easter Card di Tuck's Post Card

Greeting card:With Loving Easter Greeting1885-1915  The Strong National Museum of Play


sabato 20 aprile 2019

Golgotha, Edvard Munch


Il 1900 si apre con un'opera che non smetterà di far sentire la sua forza anche nei decenni a venire: Golgotha di Edvard Munch. Il Crocifisso di Munch esprime una poetica differente da quella a cui eravamo abituati nel secoli precedenti: solitudine ma anche estraneità, nessun potere salvifico ma solo una figura che si erge su una "folla angosciata, anonima e oppressa da un cielo plumbeo". E' una dialettica che si insinua tra i due secoli e denota una fragilità psicologica che sarà la stessa che porterà all'emergere dell'alienazione e dello smarrimento topoi tipici del ventesimo secolo. 
Si avverte quel senso di angoscia già presente in una delle sue opere precedenti, L'urlo... interminabile che attraversava la natura. 

Cristo in croce di Delacroix


Nel Cristo di Delacroix del 1853 è vivido il dolore fisico e la sofferenza della carne ma non vi è la santificazione di questo dolore, non vi è l'eroismo del sacrificio, non l'esplosione della bontà celeste, che trapela pur nell'angoscia suprema. Questo si leggeva ne “Il” Fuggilozio: Giornale di amena letteratura contemporanea. Già queste parole, dovrebbero farci riflettere sull'intensità dell'opera e sul mutamento di prospettiva del Cristo in Croce rispetto alle opere dei secoli precedenti che abbiamo visto negli altri articoli.
Non a caso Delacroix è l'anticipatore del male di vivere che molti artisti vivranno nel ventesimo secolo: il dualismo tra bene e male, tra felicità e infelicità, tra dolcezza e dolore. La sua pittura è permeata da questi sentimenti che si intrecciano e si avvinghiano per dare vita a delle opere senza tempo.  
Dagli echi pittorici rinascimentali, Delacroix prende distacco ben presto per dare vita, sulla tela, al groviglio di emozioni che lo caratterizzerà annoverandolo tra gli artisti più importanti del diciannovesimo secolo. 

Cristo in Croce di Antonie Van Dyck


A proposito del Cristo in Croce di Antonie Van Dyck (olio di tela) datato 1623, Donatella Mattioli nel 1977 in occasione della mostra "Rubens a Mantova" scriveva: "Durante il suo viaggio in Italia, nel novembre del 1623, anche Van Dyck fu ospite della corte gonzaghesca ed in questa occasione pare abbia eseguito un ritratto del duca Ferdinando Gonzaga (1587-1626), meritandosi come ricompensa un prezioso collare d'oro. Questo dipinto, sino ad ora inedito, si è sempre tramandato nella famiglia D'Arco come opera di Anton Van Dyck ed in effetti presenta straordinarie analogie con il Cristo in croce del Palazzo Reale di Genova (probabilmente eseguito attorno al 1622/23) e con quello della pala di S. Michele di Rapallo dei quali ripete la potente carica emozionale. Benché l'audace slancio verticale della figura ed il raffinato panneggio del perizoma rivelino un'eccezionale maestria tecnica, gli inconsueti giochi cromatici del corpo di Cristo lasciano ancora qualche perplessità che potrebbe comunque essere fugata da un accurato esame tecnico della tela."

La Crocifissione Mond o Gavari di Raffaello


La Crocifissione Mond o Gavari è un dipinto a olio su tavola realizzato da Raffaello Sanzio, databile al 1502-1503 e conservato presso la National Gallery di Londra. 
La Crocifissione è stata dipinta su commissione di Domenico de’Gavari per la chiesa di San Domenico, a Città di Castello. 
In quest'opera si nota ancora qualche influenza della pittura umbra specialmente del Perugino e del Pinturicchio. Proprio per queste similitudini figurative il Vasari riconduce l'opera alla mano di Pietro Perugino: "le figure sono rappresentate in una posa di contemplazione, l’inconfondibile rappresentazione del paesaggio naturale e anche la presenza dei due angeli in modo simmetrico e con i tradizionali nastri mossi dal vento. Nonostante tutti questi richiami al Perugino, il Sanzio si distingue particolarmente per l’innovativa posizione dei Santi presso la croce, che trasmette un senso di profondità e poi anche la rappresentazione di Cristo che sembra tendere verso sinistra e che lascia presagire una migliore veduta a sinistra da parte dello spettatore" (Dario Mastromattei in Arteworld.it).
Interessante è anche l'utilizzo dei colori. Come sottolinea Matromattei: "cromie scure si alternano a quelle chiare, ponendo sfumature scure in primo piano e dando la possibilità di risaltare ai personaggi con delle vesti sgargianti e allo stesso modo anche il paesaggio in secondo piano, pregno di colori molto leggeri, sembra essere una veduta di un piccolo paradiso terrestre".
L'opera è firmata alla base della croce.

La Crocifissione di Antonello Da Messina


La Crocifissione di Antonello Da Messina è un'opera realizzata intorno al 1475 e attualmente conservata presso il Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa.
L'artista siciliano rinascimentale Antonello da Messina dipinse l'opera esaltando il concetto simbolico di morte e redenzione. La figura di Cristo appesa alla croce si posiziona centralmente rispetto a tutto il pannello. Accanto a lui abbiamo Gesta e Dismas, meglio conosciuti come il Cattivo Ladrone e il Ladro Penitente. Dismas compare nel Vangelo di Nicodemo (apocrifo del IV secolo) del malfattore crocifisso alla destra di Gesù. Il Vangelo arabo dell'infanzia, un testo apocrifo del VI secolo, chiama invece il buon ladrone Tito, mentre nella tradizione della Chiesa ortodossa russa, il nome del buon ladrone è Rach.
In questa rappresentazione della Crocifissione di Gesù, la terra è ricoperta di teschi e ossa. La Madre è in preda al dolore mentre Giovanni si inginocchia e guarda in alto verso Cristo. 
Secondo alcuni, fu sepolto sul Calvario, la collina su cui Cristo morì. Poiché Adamo ed Eva non potevano resistere alla tentazione del serpente, il peccato è entrato nel mondo. Con la sua morte sulla croce, Cristo pone fine al peccato. I serpenti che si snodano tra i teschi simboleggiano il male assoluto, mentre il gufo si riferisce ai peccatori che si allontanano dalla "vera fede".  
In un primo momento si è ipotizzato che il paesaggio sullo sfondo richiamasse le terre dell’Italia Settentrionale, in particolare il Veneto, una scelta che si rileverà maggiormente nell’opera successiva della “Crocifissione di Londra” sempre del 1475 (conservata presso la National Gallery di Londra). Nel 2010 attraverso una serie di studi di sovrapposizione si è rilevato che lo sfondo del dipinto potrebbe raffigurare lo scorcio dello stretto di Messina con la valle del torrente Camaro.
Il pittore ha firmato la propria opera scrivendo il nome su un pezzo d carta che compare in basso a sinistra, comprensivo di datazione. 

La Crocifissione di Jacopo Bellini


La Crocifissione di Jacopo Bellini fa parte di un originario polittico, insieme all'Adorazione dei Magi e alla Discesa di Cristo al Limbo. Attualmente queste due opere si trovano rispettivamente presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara e il Museo Civico di Padova. 
La paternità dell'opera è stata inizialmente affidata al polittico un tempo nella cappella privata del celebre Gattamelata nella basilica del Santo di Padova, firmato nel 1460 da Jacopo Bellini con entrambi i figli. Successivamente viene ricostruita la provenienza dell'opera, collocandola nel territorio veneziano con datazione 1450 circa.
Anche in questo caso, come nelle opere viste precedentemente, il Crocifisso è in posizione centrale, espressione di solitudine e abbandono; alla sua destra Maria sviene tra le pie donne, accanto San Longino inginocchiato che riconosce il Salvatore, San Giovanni rapito dal dolore mentre una schiera di soldati popolano il fondo. 

La Crocifissione di Jacobello del Fiore


Leggi la scheda dell'opera sul sito del Museo
Quest'opera raffigurante la Crocifissione è stata recentemente attribuita a Jacobello del Fiore, uno dei principali pittori di Venezia nei primi decenni del XV secolo. Realizzata in tempera e oro su pannello di legno, è attualmente custodita presso il Toledo Museum of Art, nell'Ohio, Stati Uniti d'America.
Famoso per la ricchezza cromatica, Jacobello del Fiore raffigura un numero cospicuo di persone che si stringono attorno al Cristo in Croce. Quest'ultimo, in posizione centrale e visivamente rialzata esprime solitudine e sofferenza. Intorno a lui ci sono figure simbolo della storia della crocifissione: Maria Maddalena si inginocchia ai piedi della croce, in piedi alla sua sinistra c'è San Giovanni Evangelista, la Madonna è in preda al dolore, sostenuta dalle pie donne. A cavallo, mani in preghiera di riconoscimento, c'è il soldato romano Longino, con in mano la lancia con cui ha trafitto il costato di Cristo. Alla destra della croce c'è Stephaton che offrì crudelmente una spugna imbevuta di aceto quando Cristo chiese dell'acqua. Seduto su un cavallo bianco, gesticolando con una mazza, il centurione ordina di spezzare le gambe di Cristo (un ordine che alla fine non viene eseguito). 
La ricchezza cromatica dei rossi colorazione di Jacobello del Fiore in coppia con le arance, i rosa con la lavanda, i verdi pallidi con il blu chiaro - prefigura le realizzazioni del tardo Rinascimento veneziano.

La Crocifissione di Rogier van der Weyden


Insieme a Jan van Eyck, Rogier van der Weyden ha dominato la pittura dei Paesi Bassi a Bruxelles nella prima metà del XV secolo, lavorando sia per la corte borgognona che per il patriziato urbano. Sappiamo che nel 1450 intraprese un pellegrinaggio a Roma. 
La tecnica pittorica viene, tuttavia, acquisita prima di questo viaggio in Italia, che nel secolo successivo avrebbe stabilito lo standard per la formazione artistica. 
Oggi questa scena della crocifissione si sviluppa su un altare alato, ma probabilmente era in origine un pannello unico, con la "cornice" dipinta su di esso. Non molto tempo dopo la sua creazione, tuttavia, il lavoro fu segato in tre parti, rendendo i ritratti di Santa Maria Maddalena e di Santa Veronica le ali di un trittico. Date le sue condizioni originali, rende ancora più significativa l'innovazione artistica di Rogier van der Weyden: per la prima volta unisce tutti i partecipanti di fronte a un paesaggio continuo, in cui appare una Gerusalemme idealizzata L'orizzonte. Il realismo di un tale spazio unificato non era mai stato tentato in precedenti lavori. Sconosciuti oggi, i mecenati sono separati solo da una fessura notevole nel terreno dal soggetto centrale della contemplazione religiosa, un concetto così progressivo da essere inizialmente attenuato nei dipinti del periodo che seguì. Per lungo tempo, i donatori, accompagnati dai loro santi protettori, furono raffigurati sulle ali dell'altare. E c'è anche una seconda innovazione: il perizoma di Cristo, che sembra soffiare nella brezza. Divenne un motivo frequentemente impiegato nella pittura olandese e tedesca. 

Cäcilia Bischoff, 
Capolavori della Pinacoteca. Una breve guida al Kunsthistorisches Museum
Vienna 2010

sabato 13 aprile 2019

Jeff Buckley - Hallelujah (Official Video)


Well I heard there was a secret chord
That David played and it pleased the Lord
But you don't really care for music, do you?
Well it goes like this:
The fourth, the fifth, the minor fall and the major lift
The baffled king composing Hallelujah

Hallelujah, Hallelujah, Hallelujah, Hallelujah...

Well your faith was strong but you needed proof
You saw her bathing on the roof
Her beauty and the moonlight overthrew ya
She tied you toher kitchen chair
She broke your throne and she cut your hair
And from your lips she drew the Hallelujah


Jeff Buckley - Hallelujah 


venerdì 12 aprile 2019

L'età straniera di Marina Mander, Marsilio Editori

L'età straniera di Marina Mander (Marsilio), tra i dodici candidati al Premio Strega, racconta una storia sommersa dai non detti e dai silenzi inespressi. Una storia in bilico, tra la paura di conoscersi e il senso di estraneità.
Guarda la scheda libro sul sito dell'editore
Una scrittura cruda e asciutta, per molti aspetti visiva. Le parole della Mander impattano con le nostre sensazioni: veniamo travolti dal dolore di Leo, un ragazzo che soffre per la perdita del padre suicidatosi in mare perché la vita era troppo o forse era lui ad essere troppo per la vita. Un dolore pesante per un adolescente che, nel frattempo, vede il suo corpo cambiare e assiste al rapporto con le ragazze farsi sempre più maturo ma non concludente, come lui vorrebbe. Leo è uno studente brillante pur non trascorrendo molto tempo sui libri. Ossessionato dal sesso e da Kurt Cobain, Leo preferisce perdersi nei suoi pensieri mentre vaga per una Milano solitaria.
Attraverso le parole di Leo conosciamo la madre, affetta da buonismo, che tenta, invano, di colmare i propri vuoti emotivi aiutando, disperatamente, il prossimo (che si paleserà di lì a poco in Florin). Accanto a lei c'è il compagno tassista, dalle mani grassottelle e senza peli come le caviglie di un neonato. Potrebbe essere una famiglia come tante, in un quartiere come tanti in una delle tante città italiane.
Tra ricordi, aneddoti e immagini surreali, entra in scena Florin, il ragazzino rumeno dal passato torbido, obbligato dal padre a prostituirsi: un'innocenza mai totalmente assaporata. Anche Florin è un personaggio in bilico che approda nella vita di Leo, nella sua famiglia inconsistente dove gli adulti sembrano essere più preoccupati di mettersi a posto la coscienza che non a salvaguardare il bene dei propri figli, naturali o adottivi che siano.
Lo sguardo disilluso di Leo tratteggia i famigliari con sagacia: tra pennellate di cinismo ed espressioni contrite, Leo ci accompagna in una storia umana dove le ascese, le decadenze, i rimpianti e le trasformazioni lo porteranno in un viaggio di profonda conoscenza di se stesso, affrontando quell'io nascosto e recondito che tutti noi ci portiamo dentro e che, talvolta, stentiamo a riconoscere.

A colpi di Tweet...







mercoledì 10 aprile 2019

Voglio proporle un abbraccio...

Voglio proporle un abbraccio, uno forte, duraturo, fino a che tutto ci faccia male. Alla fine sarà meglio che mi dolga il corpo per volerla, e non che mi faccia male l’anima per la sua mancanza.

Julio Cortázar

Gustav Vigeland, Man and Woman – Nasjonalmuseet – Collection

lunedì 8 aprile 2019

Carmen Korn, E' tempo di ricominciare (Fazi): il secondo capitolo della trilogia Jahrhundert

Carmen Korn con E' tempo di ricominciare, una delle novità in libreria per Fazi Editore, torna con il secondo appassionante capitolo della trilogia “Jahrhundert” dedicato alla vita, alla rinascita e alla riscoperta di quattro Donne in una Germania ancora preda degli incubi della seconda guerra mondiale.

In questo secondo libro della trilogia iniziata con Figlie di una nuova era, è interessante notare come la ricostruzione economica di molte città tedesche, quali ad esempio Amburgo, sia sinonimo di ricostruzione di un proprio equilibrio spirituale. Mettere insieme i cocci per riedificare: è questo il fil rouge nell'avvincente storia raccontata dalla Korn.

Una scrittura empatica, quella della Korn, che dipinge, con dovizia di particolari, le vite delle quattro protagoniste che abbiamo già incontrato nel primo capitolo della trilogia. In questo secondo volume i ricordi vengono rievocati attraverso dialoghi vibranti. La Korn trasfigura le emozioni delle quattro protagoniste, in un gioco di specchi tra passato e presente. Il futuro è un anelito difficile da afferrare.

Leggi la scheda libro sul sito dell'editore

Su Twitter la lettura condivisa guidata da @CasaLettori di Maria Anna Patti in collaborazione con @Robinson_Rep, viene riassunta con la scelta di alcuni tra i tantissimi tweet:
























domenica 7 aprile 2019

Neruda, Non t’amo come se fossi rosa di sale

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio 
o freccia di garofani che propagano il fuoco: 
t’amo come si amano certe cose oscure, 
segretamente, entro l’ombra e l’anima. 
T’amo come la pianta che non fiorisce e reca 
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori; 
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo 
il concentrato aroma che ascese dalla terra. 
T’amo senza sapere come, né quando né da dove, 
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio: 
così ti amo perché non so amare altrimenti 
che così, in questo modo in cui non sono e non sei, 
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia, 
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.


P. Neruda, Non t’amo come se fossi rosa di sale
in Cento sonetti d’amore, sonetto XVII
tr. it. di G. Bellini, Passigli, 
Firenze 1996

sabato 6 aprile 2019

Massimo Recalcati, Mantieni il bacio: Il Figlio

L’esistenza innocente del figlio non ci chiede di trasmettergli beni, averi, rendite. Non servono, scrive Mariangela Gualtieri, “giardini del mio regno”. Bastano anche “baracche e spine” e “polveri pesanti” o “ira”. Quello che occorre trasmettere al figlio è il sentimento stesso della vita, è il sentimento dello “splendore” del mondo. Se, infatti, lo sguardo di un genitore è vuoto, sarà assai più difficile per un figlio vedere lo splendore del mondo. Il sentimento della vita che tutela lo splendore del mondo può trasmettersi solo nella forma della testimonianza che i genitori possono dare di sentire ancora quel sentimento, di amare qualcosa, di “provare pietà”. Questo serve più di ogni altra cosa alla vita del figlio. Sapere che esiste lo “splendore” del mondo in ogni cosa. Basta solo questo, sussurra la poetessa, “nient’altro”.

Massimo Recalcati, Mantieni il bacio (Feltrinelli)


venerdì 5 aprile 2019

Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso

L’altro che io amo e che mi affascina è atopos. Io non posso classificarlo, poiché egli è precisamente l’Unico, l’Immagine irripetibile che corrisponde miracolosamente alla specialità del mio desiderio.

R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso


martedì 2 aprile 2019

Quella metà di noi di Paola Cereda (Giulio Perrone Editore)

Ci sono romanzi che aprono una breccia, inaspettata, nel vuoto quotidiano, romanzi nei quali è facile riconoscersi, che tendono la mano al nodo emotivo celato da qualche parte dentro di noi e che non osiamo chiamare con il proprio nome. Si tratta di romanzi potenti, che si inseriscono nella cultura collettiva di un Paese. Quella metà di noi di Paola Cereda (Giulio Perrone Editore), tra i dodici candidati al Premio Strega, è uno di questi.


La scrittura della Cereda ci accompagna nella vita di Matilde, Laura, Dora, Emanuela, e nella vita dell'ingegnere Dutto, attraverso il quale possiamo fare la conoscenza di un'altra donna, Beatriz. Il punto di vista femminile viene sapientemente raccontato, limato e affinato per aprirsi ad una storia sconfinata dove l'esistenza di ogni personaggio diventa motivo di rivelazione dei più intimi segreti.
Tra le pagine della vita di Matilde si nascondo segreti che non dovrebbero essere rivelati. Attraverso i suoi silenzi e i suoi non detti scopriamo che "abbiamo tante vite quante sono le persone che incrociamo e alle quali concediamo la possibilità di determinare un cambio di direzione o una svolta". Matilde ha concesso all'uomo che non è suo marito di cambiare la rotta della sua esistenza in un'età in cui si pensa che sia tutto finito. L'amore, il lavoro, le passioni.
A distanza di molti anni dalla morte del marito, darsi un'altra possibilità per Matilde ha significato fare i conti con una situazione imprevista. L'uomo che non è suo marito ha giocato con i suoi sentimenti abusando della sua generosità anche economica? Con le spalle al muro e una valanga di debiti da saldare, Matilde, già in pensione da tempo, è costretta a trovarsi un lavoro come badante.
E' qui che conosciamo l'ingegnere Dutto, il corpo infermo e la mente che fa capolino tra un passato di rimpianti e un presente nel quale non si riconosce. La moglie Laura, con i suoi malcelati segreti, si destreggia, senza successo, tra una vita di insoddisfazioni circondandosi di persone che possano aiutarla a sostenere il peso di un'esistenza di cui farebbe volentieri a meno. Dora, la sua valida aiutante, è la domestica romena, incastrata in una vita fatta di pesanti rinunce.
Per lungo tempo questa sarà la famiglia di Matilde, un angolo di mondo nel quale lei ha una collocazione definita. Emanuela, la figlia di Matilde, che ha rinnegato le sue umili origini e, di riflesso, quelle della madre, non perde occasione per ricordare a Matilde i suoi doveri di madre e nonna, pretendendo aiuti economici che Matilde non le può dare. Tu esisti per soddisfare i miei bisogni, per vivere una vita secondaria. È a questo che servono le madri.

Pagina dopo pagina, seguendo Matilde che ogni giorno da Barriera si sposta al centro di Torino per raggiungere la casa dove lavora come badante, ci domandiamo se non siano i segreti a raccontare la Verità su di noi, sulla nostra esistenza. Quanto coraggio (e quanto tempo) ci vuole per ammettere, con noi stessi, che forse è arrivato il momento di prendere in mano la situazione e di rimettere le cose a posto? A volte non basta una vita.

Quella metà di noi, a colpi di tweet







lunedì 1 aprile 2019

La scultura è discendenza, anima moderna di una sostanza antica spirituale

La scultura è discendenza, è l’anima moderna concettuale di una sostanza antica e spirituale, è il centro che assicura ogni frammento contro la dispersione totale.

Michelangelo Pistoletto

Matteo Pugliese