Nel Cristo di Delacroix del 1853 è vivido il dolore fisico e la sofferenza della carne ma non vi è la santificazione di questo dolore, non vi è l'eroismo del sacrificio, non l'esplosione della bontà celeste, che trapela pur nell'angoscia suprema. Questo si leggeva ne “Il” Fuggilozio: Giornale di amena letteratura contemporanea. Già queste parole, dovrebbero farci riflettere sull'intensità dell'opera e sul mutamento di prospettiva del Cristo in Croce rispetto alle opere dei secoli precedenti che abbiamo visto negli altri articoli.
Non a caso Delacroix è l'anticipatore del male di vivere che molti artisti vivranno nel ventesimo secolo: il dualismo tra bene e male, tra felicità e infelicità, tra dolcezza e dolore. La sua pittura è permeata da questi sentimenti che si intrecciano e si avvinghiano per dare vita a delle opere senza tempo.
Dagli echi pittorici rinascimentali, Delacroix prende distacco ben presto per dare vita, sulla tela, al groviglio di emozioni che lo caratterizzerà annoverandolo tra gli artisti più importanti del diciannovesimo secolo.
Nessun commento:
Posta un commento