mercoledì 30 ottobre 2019

Brandi Milne: pop surrealismo favolistico in mostra alla Dorothy Circus Gallery di Roma

Questo articolo è apparso sul Magazine Wall Street International, Ne pubblichiamo un breve estratto. 

Alone è una parola che possiamo tradurre con l’aggettivo solo e che possiamo estendere al sostantivo solitudine. La solitudine nell’arte di Brandi Milne caratterizza il processo creativo, il momento produttivo, l’attimo in cui l’idea si traduce sulla tela. È una solitudine spirituale ed emotiva che accompagna la creazione delle opere dell’artista stessa. La catarsi artistica avviene dall’interno, prende le mosse dall’animo di Brandi Milne per trovare accoglienza sulla tela. La sua poetica artistica esprime una complessità narrativa dove l’infinito sentire dell’artista entra in conflitto con gli spazi che circoscrivono (apparentemente) le opere stesse. Il perimetro bianco delle tele pone un limite alla profondità dello sguardo di Brandi Milne, al suo bisogno di espressione oltre ogni limite.









lunedì 28 ottobre 2019

Biennale Foto/Industria 2019 Bologna: le mostre promosse da Fondazione Mast

Biennale Foto/Industria 2019: Tecnosfera: l'uomo e il costruire
Dal 24 ottobre al 24 novembre 2019 - 11 MOSTRE / 11 LUOGHI
Musei e Palazzi del Centro Storico di Bologna,
Direzione artistica: Francesco Zanot,
Biennale promossa da Fondazione Mast


Tecnosfera: l'uomo e il costruire è il titolo della quarta edizione della Biennale bolognese dedicata alla fotografia dell’Industria e del Lavoro. Un unicum a livello mondiale per tematica e pluralità degli intenti, la Biennale, promossa dalla Fondazione Mast e aperta a Bologna dal 24 ottobre al 24 novembre 2019, rappresenta una manifestazione itinerante che coinvolge tutto il centro storico del capoluogo emiliano fungendo da catalizzatore. 

LUIGI GHIRRI - Palazzo Bentivoglio Ferrari, Maranello,1985-88 © Eredi di Luigi Ghirri 
La Biennale Foto/Industria 2019 accende i riflettori sul tema del costruire: un‘azione cruciale, intimamente radicata nella natura della specie umana che viene qui esplorata a tutto tondo, dalle sue radici storiche e filosofiche agli inevitabili risvolti scientifici. Dalle città alle industrie, dalle reti energetiche a quelle infrastrutturali, dai sistemi di comunicazione alle reti digitali, la Biennale intende indagare il complesso sistema dinamico del fare che caratterizza la presenza dell’uomo sul pianeta. Una presenza che, secondo il professore di geologia e ingegneria civile della Duke University Peter Haff, si può misurare analizzando la più recente e impattante delle sfere terrestri denominata tecnosfera: "the summed material output of the contemporary human enterprise. It includes active urban, agricultural and marine components, used to sustain energy and material flow for current human life, and a growing residue layer, currently only in small part recycled back into the active component. Preliminary estimates suggest a technosphere mass of approximately 30 trillion tonnes (Tt), which helps support a human biomass that, despite recent growth, is ~5 orders of magnitude smaller" (Scale and diversity of the physical technosphere: A geological perspective in Anthropocene Review - Article first published online: November 28, 2016; Issue published: April 1, 2017). Nello stesso articolo Jan Zalasiewicz, della University of Leicester, parla della tecnosfera come di una metafora di come l'uomo ha ridisegnato il pianeta.

L'edizione 2019 presenta al pubblico 11 mostre dislocate in musei e palazzi del centro storico: 10 di queste allestite in luoghi storici della città e Anthropocene aperta al pubblico al MAST fino al 5 gennaio 2020. Oltre 450 le opere esposte, tra fotografie, proiezioni video e film che trasformano per un mese la città in un osservatorio privilegiato sul lavoro e sull’attività dell’uomo.

La direzione artistica è di Francesco Zanot, curatore, saggista e docente, conosciuto come curatore di Camera – Centro Italiano di Fotografia di Torino dal 2015 al 2017, Zanot ha curato mostre e libri di artisti come Boris Mikhailov (Diary, Walther König, Colonia), Carlo Mollino (L’occhio magico, Silvana Editoriale, Milano), Francesco Jodice (Panorama, Mousse, Milano), Takashi Homma (Widows, Fantombooks, Milano), Erik Kessels (The Many Lives, Aperture, New York), Linda Fregni Nagler (The Hidden Mother, MACK, Londra), Luigi Ghirri (Kodachrome, MACK, Londra). Insieme ad Alec Soth è autore del libro Ping Pong Conversations (Contrasto, Roma). Già direttore del Master in Fotografia di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, ha tenuto conferenze e seminari in istituzioni di tutto il mondo, tra cui la Columbia University a New York, ECAL a Losanna, IUAV a Venezia, Francesco Zanot è anche associate editor della piattaforma curatoriale Fantom dal momento della sua fondazione e ha curato le mostre Give Me Yesterday, e Stefano Graziani: Questioning Pictures alla Fondazione Prada Osservatorio di Milano. 

Gli Artisti e le Mostre


YOSUKE BANDAI, GIAPPONE
A CERTAIN COLLECTOR B
Museo Internazionale e Biblioteca della Musica
Strada Maggiore, 34

YOSUKE BANDAI - Museo della Musica Senza titolom 2016 © Yosuke Bandai. Courtesy of TARO NASU, Tokyo 
I rifiuti sono un inevitabile oggetto di attenzione e dibattito nel contesto della Tecnosfera. Per via della loro natura in gran parte tecnologica e artificiale, minacciano l’umanità con tempi di smaltimento sempre più lunghi: decenni, secoli, a volte addirittura millenni. Il fotografo giapponese li mette al centro del proprio lavoro che costituisce insieme una riflessione estetica e filosofica. Per le sue immagini, egli raccoglie una serie di rifiuti e altri materiali trovati e ne fa una serie di sculture minime e fragili, che durano il tempo di una ripresa fotografica. Il risultato sono immagini insieme attraenti, misteriose e disturbanti, fuori scala, frutto di un attento processo di revisione in cui gli oggetti di partenza, pure rimanendo del tutto riconoscibili, sono completamente trasformati.

LISETTA CARMI, ITALIA
PORTO DI GENOVA
Genus Bononiae - Santa Maria della Vita
Via Clavature, 8

LISETTA CARMI– Santa Maria della Vita Porto di Genova. Lo scarico dei fosfati 1964 © Lisetta Carmi. Courtesy of Martini & Ronchetti, Genova
Lisetta Carmi è senza dubbio tra i fotografi più importanti del Novecento italiano. Nell’ambito di Foto/Industria sono esposti due suoi lavori, entrambi realizzati nel 1964. Il primo è un progetto sul porto di Genova, dove ritrae con la medesima intensità le forme maestose e terrificanti e la fatica degli uomini. Il secondo è una serie sull’Italsider, ugualmente realizzata a Genova, ancora in gran parte inedita e caratterizzata da un evidente slancio sperimentale, per cui astrazione e lavoro sono combinati in una indissolubile quanto potente amalgama. Accompagna la mostra la musica di Luigi Nono, che visita con Lisetta Carmi gli stabilimenti dell’Italsider nel 1964, ne registra i rumori e li pone alla base della sua composizione “La fabbrica illuminata”.

DAVID CLAERBOUT
OLYMPIA
Spazio Carbonesi - Palazzo Zambeccari
Via De’ Carbonesi, 11

Olympia è il più ambizioso e visionario progetto realizzato dall’artista belga David Claerbout. Protagonista è il celebre Olympiastadion di Berlino, noto per avere ospitato le olimpiadi del 1936, progettato dall’architetto Werner March. Secondo il suo progetto originario, lo stadio dovrebbe resistere per mille anni: tale era infatti la durata attesa dai gerarchi per l’intero ciclo del Terzo Reich. Per questo lavoro David Claerbout si è dunque chiesto come dovrebbe apparire l’Olympiastadion tra un millennio, sviluppando un complesso software di computer grafica che simula il degrado dell’architettura in tempo reale in una proiezione di grande formato, fino alla sua totale sparizione.

MATTHIEU GAFSOU
H+
Palazzo Pepoli Campogrande
Via Castiglione, 7

MATTHIEU GAFSOU – Palazzo Pepoli Campogrande 4.5.1 © Matthieu Gafsou / Galerie C / MAPS 

Il Transumanesimo è un movimento che si dà come obiettivo quello di migliorare le performance cognitive, psichiche e fisiche dell’uomo attraverso l’utilizzo della scienza e della tecnologia. Spesso abbreviato con la sigla H+, è il soggetto della mostra del fotografo svizzero Matthieu Gafsou, tra i maggiori talenti emergenti sulla scena internazionale. Il progetto costituisce una vasta ricerca su questo fenomeno, svolta all’interno di istituzioni scientifiche, laboratori e comunità in diversi paesi. A partire dalla capillare diffusione degli smartphone, che costituiscono ormai l’estensione del corpo di miliardi di individui, il lavoro documenta dispositivi e innovazioni che vanno dai supporti medici (pacemaker, protesi, arti cibernetici) agli innesti di microchip, dai cibi sintetici alle strategie anti-invecchiamento. 

LUIGI GHIRRI
PROSPETTIVE INDUSTRIALI
Palazzo Bentivoglio
Via del Borgo San Pietro, 1

Tra i più celebrati artisti italiani del secolo scorso, Luigi Ghirri ha plasmato un intero immaginario fotografico, trasformando gli oggetti della propria quotidianità e l’intero paesaggio circostante in autentici strumenti di riflessione concettuale. Al fianco della ricerca personale, Ghirri ha realizzato importanti nuclei di lavoro per l’architettura, la pubblicità e l’industria. La mostra presenta per la prima volta in maniera estesa il rapporto tra Ghirri e la commissione industriale. Le fotografie realizzate per Ferrari, Costa Crociere, Bulgari e Marazzi, in gran parte inedite, vengono presentate insieme a materiali che raccontano l’intero processo di lavoro di Ghirri, dagli album di provini originali alle cartelle finali, strumenti preziosi per approfondire la carriera di un protagonista assoluto della storia della fotografia. 

DELIO JASSE
ARQUIVO URBANO
Fondazione del Monte - Palazzo Paltroni
Via delle Donzelle, 2


Delio Jasse è tra i giovani fotografi più interessanti del panorama internazionale. Protagonista di numerose mostre personali, ha rappresentato il proprio paese, l’Angola, alla 56esima Biennale di Venezia. All’interno di Foto/Industria, Jasse presenta il suo ultimo lavoro: Arquivo Urbano, una serie dedicata alla capitale dell’Angola, Luanda, città abitata da 8 milioni di persone che dovrebbero duplicare entro un decennio. Realizzate attraverso la sovrapposizione di diverse immagini, le opere di questo progetto rimandano al passato coloniale che si riflette nelle facciate degli edifici e promuovono una complessa riflessione sul futuro, già evidente nello stile moderno delle nuove costruzioni. Jasse guarda al passato e contemporaneamente realizza una sorta di utopia architettonica che rimanda all’incertezza della crescita delle nuove metropoli africane. 

ANDRÉ KERTÉSZ
TIRES / VISCOSE
Fondazione Cassa di Risparmio - Casa Saraceni
Via Luigi Carlo Farini, 15

ANDRÉ KERTÉSZ – Fondazione Carisbo - Casa Saraceni American Viscose Corporation, Marcus Hook, Pennsylvania, 1944 Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque de l’architecture et du patrimoine, diffusion RMN-GP 
Tra i protagonisti della street-photography al fianco di autori come Henri Cartier-Bresson e Robert Frank, l’ungherese André Kertész ottiene la cittadinanza americana nel 1943, potendo così esercitare il mestiere di fotografo negli Stati Uniti. Celebre per le istantanee che esprimono l’irresistibile vitalità della città e delle persone che la popolano, realizza i suoi più importanti lavori su commissione l’anno successivo. Nel pieno della guerra fotografa prima per la celebre rivista ‘Fortune’ la fabbrica di pneumatici Firestone, impegnata a rifornire le truppe al fronte, poi gli stabilimenti della American Viscose Corporation, concentrandosi sul rapporto tra uomo e macchina e sulla ricerca per la produzione di una fibra artificiale. Rarissimi e inediti, questi reportage evidenziano i tratti tipici del lavoro di Kértesz: i dettagli di un filo o di una mano al lavoro sono trattati come preziose nature morte. Mostra prodotta in collaborazione con la Médiathèque de l’architecture et du patrimoine e Diaphane nell’ambito di Usimage 2019 

ARMIN LINKE
PROSPECTING OCEAN
Biblioteca Universitaria di Bologna – BUB
Via Zamboni, 33/35

Videomaker e fotografo italiano di fama internazionale, Armin Linke lavora da molti anni sui temi della trasformazione del territorio e delle forze economiche e politiche che la promuovono. Prospecting Ocean è uno studio, realizzato grazie alla collaborazione di scienziati, tecnici e legali, sullo sfruttamento delle risorse marine e l’amministrazione dei fondali di tutto il mondo. Realizzate con speciali veicoli sottomarini a controllo remoto e altri strumenti tecnologici all’avanguardia, le immagini mostrano ciò che risulta normalmente invisibile, svelando un denso intrico di macchinari e tubazioni per estrarre e distribuire risorse preziose. Il libro del progetto sarà edito da The MIT Press alla fine del 2019. 

ALBERT RENGER-PATZSCH
PAESAGGI DELLA RUHR
Pinacoteca Nazionale
Via delle Belle Arti, 6

Tra il 1927 e il 1935, Albert Renger-Patzsch, tra i più importanti artisti della Nuova Oggettività tedesca, ha realizzato un’ampia serie di fotografie nella regione della Ruhr, ottenendo una dettagliata rappresentazione di uno tra i più archetipici paesaggi industriali europei. Il risultato è l’unico lavoro di Renger-Patzsch che non sia stato realizzato su commissione, un autentico capolavoro della fotografia documentaria e modernista che ha successivamente influenzato numerosi autori, tra cui i coniugi Bernd e Hilla Becher e i maggiori rappresentanti della cosiddetta scuola di Düsseldorf. Ora le 70 fotografie di questa mostra sono più importanti che mai: costituiscono un fondamentale supporto visivo per il dibattito sull’urbanistica, la crescita delle città e la rigenerazione del paesaggio delle zone minerarie. Mostra organizzata con il supporto speciale e la collaborazione scientifica dell’Ann und Jürgen Wilde Foundation, Pinakothek der Moderne, Monaco di Baviera. 

STEPHANIE SYJUCO
SPECTRAL CITY
MaMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna
Via Don Minzoni, 14

STEPHANIE SYJUCO - MAMbo Spectral City, 2018 Video, tecnologia digitale 3D / 3D digital © Stephanie Syjuco. Courtesy of the artist and RYAN LEE Gallery, New York 
Stephanie Syjuco combina nei suoi lavori fotografia, video e nuovi media digitali. Americana di origine filippina, ha esposto in alcuni dei più importanti musei internazionali. “Spectral City” è un video realizzato con immagini scaricate da Google Earth che ricostruisce il percorso compiuto dal ‘cable car’ di San Francisco nel film “A Trip Down Market Street” del 1906, per realizzare il quale i Miles Brothers avevano montato una cinepresa sulla parte anteriore di un ‘cable car’. Pochi giorni dopo le riprese il grande terremoto di San Francisco avrebbe cancellato gran parte degli edifici documentati dalla pellicola. Parallelamente, nel video di Stephanie Syjuco l’algoritmo di Google cancella ogni presenza umana. Completamente deserta, la città appare proprio come dopo un enorme
cataclisma. “Spectral City” è una riflessione sui limiti e le distorsioni della visione delle macchine, sullo spazio pubblico e sul continuo processo di costruzione e ricostruzione della città.

EDWARD BURTYNSKY, JENNIFER BAICHWAL, NICHOLAS DE PENCIER
ANTHROPOCENE
Fondazione MAST
Via Speranza, 42

EDWARD BURTYNSKY Anthropocene

Anthropocene è un progetto artistico che indaga l’indelebile impronta umana sulla Terra attraverso le straordinarie immagini di Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier. Combinando fotografia, cinema, realtà aumentata e ricerca scientifica, i tre artisti danno vita a un’esplorazione multimediale di grande impatto visivo che documenta i cambiamenti determinati dall’attività umana sul pianeta e ne testimonia gli effetti sui processi naturali. Il progetto si basa sulla ricerca del gruppo internazionale di scienziati Anthropocene Working Group impegnato nel raccogliere prove del passaggio dall’attuale epoca geologica – l’Olocene, iniziata circa 11.700 anni fa – all’Antropocene (dal greco anthropos, uomo). La ricerca è volta a dimostrare che gli esseri umani sono diventati la
singola forza più determinante sul pianeta.

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Fondazione Mast: Ente non profit internazionale legato al gruppo industriale Coesia e concepito come tramite tra l’impresa e la comunità, la Fondazione MAST nasce nel 2013 con l’intento di condividere con la città la sua missione culturale. Laboratorio multifunzionale in cui sperimentare nuovi modelli di welfare aziendale, il MAST è un luogo aperto alla città, di condivisione e collaborazione che ospita diverse attività. La PhotoGallery con mostre temporanee dedicate alla fotografia industriale e del lavoro, curate da Urs Stahel, è oggi l’unica istituzione al mondo dedicata alle immagini del mondo del lavoro.

Il vedutista settecentesco Bernardo Bellotto e il viaggio in Toscana: la mostra a Lucca

Bernardo Bellotto: 1740 Viaggio in Toscana
a cura di Bożena Anna Kowalczyk
Dal 12 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020
Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti
Complesso monumentale di San Micheletto - Lucca
In accompagnamento alla mostra: catalogo edito da Silvana Editoriale ed Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte a cura di Bożena Anna Kowalczyk

Bernardo Bellotto, Piazza della Signoria, Szépmúvészeti Múzeum di Budapest

La Fondazione Ragghianti di Lucca dedica una grande mostra all’eccelso pittore veneziano Bernardo Bellotto (1722-1780), nipote di Canaletto. L'evento si presenta sia come un'esposizione sia come una mostra di studio, occasione, pertanto, unica per ammirare cinque suoi disegni, sempre di soggetto lucchese, prestati straordinariamente dalla British Library. 

La mostra si inserisce all'interno dell'interessante proposta culturale dell’istituzione lucchese sotto la direzione di Paolo Bolpagni e presieduta da Alberto Fontana.  

L'esposizione, realizzata con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e grazie al supporto di Banco BPM come main partner, vuole illustrare il viaggio di Bernardo Bellotto in Toscana.

Bernardo Bellotto, L'Arno dal Ponte Vecchio fino a Santa Trinità e alla Carraia, Szépmúvészeti Múzeum di Budapest

Dopo la formazione presso lo studio di Canaletto quando quest’ultimo era al culmine della sua fama, alla fine degli anni Trenta del Settecento, Bellotto fa propri i modelli e le tecniche compositive dello zio con una capacità di emulazione tale da ingannare gli stessi contemporanei. Nonostante ciò, è proprio il viaggio in Toscana a risvegliare nel giovane pittore il tratto stilistico personale, accentuando il rigore prospettico e il realismo della rappresentazione, diventando nel tempo uno degli artisti più celebri del vedutismo settecentesco.

I più recenti studi archivistici hanno permesso di datare il viaggio di Bellotto in Toscana al 1740, due anni prima rispetto a quanto si ritenesse, evidenziandone così l’importanza come manifesto della precocità dell’artista, allora diciottenne. La documentazione riscoperta consente anche di vedere in lui il pioniere della pittura di veduta a Firenze e a Lucca, al servizio dell’aristocrazia toscana.

“Una concorrenza di idee coraggiose e brillanti – spiega Bożena Anna Kowalczyk, curatore della mostra, tra i maggiori studiosi di Canaletto e Bellotto – è all’origine del viaggio di Bellotto a Firenze nel 1740. La prima, e fondamentale, è quella architettata dal marchese Andrea Gerini (1692-1766) con il conoscitore e antiquario veneziano Anton Maria Zanetti di Girolamo (1680-1767), suo amico e consigliere, di dare vita al vedutismo fiorentino. La seconda è quella di conferire al nascente vedutismo fiorentino del Settecento la modernità illuminista di Canaletto, invitando a Firenze il suo nipote e allievo Bernardo Bellotto, come maestro di prospettiva e tecnica pittorica, riconoscendone, benché giovanissimo, il genio”.

Il focus di questa mostra è il nucleo di vedute di Lucca, con il dipinto che raffigura piazza San Martino proveniente dalla York City Art Gallery e i cinque disegni di diversi luoghi intorno alla cattedrale e alla chiesa di Santa Maria Forisportam eccezionalmente concessi dalla British Library. Questo gruppo di opere, mai esposte insieme – i disegni, incollati in un album del primo Ottocento già di proprietà del re Giorgio III d’Inghilterra, e poi di Giorgio IV, saranno per la prima volta staccati – fornisce una documentazione straordinaria della città di Lucca nel Settecento.

“I cinque disegni di Lucca e il dipinto Piazza San Martino con la cattedrale del museo di York – afferma il curatore Bożena Anna Kowalczyk – costituiscono l’unica documentazione nota del viaggio di Bellotto nella città toscana. La stretta vicinanza stilistica e tecnica del dipinto di Lucca alle due vedute di Firenze, eseguite con dimensioni simili, rare per l’artista, L’Arno al Tiratoio con il Ponte Vecchio e L’Arno dalla Vaga Loggia, con San Frediano in Cestello, di collezione privata – che si confermano commissionate da Gerini, eseguite dunque nell’estate 1740 –, indica una data del viaggio di poco successiva, a settembre o a ottobre di quell’anno; Piazza San Martino con la cattedrale riprende inoltre, perfezionandola, la composizione prospettica e luministica della Piazza della Signoria, Firenze, nel 1741 registrata nella collezione di Riccardi, amico strettissimo di Gerini”.

Bellotto dunque giunge a Lucca, probabilmente sempre grazie a Zanetti e Gerini e all’intervento di un misterioso collezionista, certamente un personaggio un nobile lucchese di dimensione europea, forse uno degli illuminati sostenitori di Pompeo Batoni, come Francesco Conti, nipote di Stefano – celebre collezionista di Canaletto e Carlevarijs – a contatto con i marchesi Gerini e Riccardi. “Certo è che Bellotto a Lucca lavora da privilegiato – spiega ancora il curatore Bożena Anna Kowalczyk –, un giovane pittore innovativo, all’avanguardia, che descrive la cattedrale e la sua struttura, al centro della curtis aeclesiae della città e, ricercando quattro punti di vista diversi, si muove liberamente tra le stanze dell’arcivescovado, sale persino sul tetto, accede al piano nobile del palazzo Bernardi e s’affaccia alla finestra della chiesa di San Giuseppe. Il solo dipinto eseguito, Piazza San Martino con la cattedrale, rimane in una collezione lucchese almeno fino ai primi anni dell’Ottocento – per apparire solo alla fine del secolo in Inghilterra –, ammirato e copiato da artisti locali, l’unica emblematica veduta della Lucca del Settecento”.

Il dipinto di Lucca risulta quindi l’unica veduta dipinta a Lucca, di straordinaria bellezza e armonia, con una luce argentata che diventerà poi la cifra stilistica dell’artista. Prospetticamente ricorda le opere dello zio Canaletto, ma variano il taglio della composizione, la vivacità del tocco, le figure con le ombre allungate dai netti profili, il cielo con nuvole soffici: Bellotto crea un’atmosfera particolare e unica. Si tratta di un capolavoro assoluto, di cui non si conosce ad oggi il committente ufficiale: il curatore Bożena Anna Kowalczyk auspica dunque che, grazie alla mostra, qualche archivio privato possa fornire nuovi dati per far pienamente luce su questa vicenda.

Il rapporto di Bellotto con la Toscana è anche affettivo: il fratello Michele è un importante tipografo che da Firenze passa poi al servizio del vescovado ad Arezzo; il più giovane, Pietro, viaggia con lui ed è un promettente pittore; la madre Fiorenza, sorella di Canaletto, si trasferisce anche lei ad Arezzo. Accanto alle opere di soggetto lucchese sono inoltre presentate in mostra alcune delle vedute conosciute di Firenze realizzate da Bellotto durante e a seguito della sua visita in Toscana, come Piazza della Signoria, Firenze e L’Arno dal Ponte Vecchio fino a Santa Trinità e alla Carraia, entrambe del 1740, provenienti dal Szépmúvészeti Múzeum di Budapest; L’Arno verso il Ponte Vecchio, Firenze e L’Arno verso il ponte alla Carraia, Firenze, ambedue del 1743-1744, prestate dal Fitzwilliam Museum di Cambridge; e il disegno a penna e inchiostro Capriccio architettonico con un monumento equestre del 1764, dal Victoria & Albert Museum di Londra, che documenta la visita di Bellotto a Livorno. L’autonomia conquistata in questo primo viaggio fuori dalla città natale è alla base dei futuri sviluppi della carriera di Bellotto, al ritorno a Venezia come nei viaggi a Roma e in Italia del nord, e più tardi, a partire dal 1747, nell’Europa centrale.

Sono inoltre esposti anche altri magnifici dipinti di Luca Carlevarijs, altro vedutista tra i primi pittori veneziani collezionati dal nobile mercante Stefano Conti (1654-1739), di Giuseppe Zocchi (1717-1767), pittore di casa Gerini di cui in mostra è esposto il ritratto di Gerini e Zanetti, e di alcuni anonimi ma talentuosi artisti che, a Lucca, eseguirono copie dell’eccezionale veduta di piazza San Martino realizzata da Bellotto, a testimonianza della ricaduta che la presenza fondamentale di quest’opera ebbe in città.

Altro manufatto di grande valore e interesse per i visitatori è la camera ottica in legno, vetro e specchio usata da Canaletto e concessa in prestito dal Museo Correr di Venezia. Il viaggio di Bellotto fu, come abbiamo visto, patrocinato dal conoscitore e antiquario veneziano Anton Maria Zanetti di Girolamo, in stretto contatto con i più importanti collezionisti toscani. Bellotto ebbe peraltro occasione di vedere a Lucca quattro magnifiche vedute di Venezia di suo zio Canaletto, commissionate nel 1725 da Stefano Conti. Questa fitta rete di relazioni artistiche, che assicurò il successo del giovane pittore, è illustrata in mostra da una serie di documenti originali dell’epoca: libri, lettere, ricevute di pagamento per commissioni di opere, provenienti dalla Biblioteca Statale di Lucca. Per avere uno sguardo contemporaneo sul celebre quadro di Bellotto su piazza San Martino sono stati chiamati due giovani fotografi selezionati grazie alla collaborazione con il Photolux Festival di Lucca (16 novembre - 8 dicembre 2019): Jakob Ganslmeier (Monaco di Baviera, 1990) e Jacopo Valentini (Modena, 1990), ospitati “in residenza” estiva alla Fondazione Ragghianti. Alla fine del percorso della mostra sono esposti i loro lavori, realizzati negli stessi luoghi che Bellotto vide nel 1740. 

L’allestimento della mostra, raccolto e prezioso, con una sala nei toni del blu di Prussia dove ammirare la splendida opera di Bellotto e i disegni della British Library, è firmato dalla nota architetta veneziana Daniela Ferretti.

Accompagna la mostra un catalogo pubblicato da Silvana Editoriale ed Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte, a cura di Bożena Anna Kowalczyk, con saggi sull’artista e sulla sua produzione in Toscana, nuove e inedite ricerche storiche e archivistiche svolte per questa esposizione, nonché i risultati delle analisi più innovative riguardanti la tecnica e i procedimenti utilizzati da Bellotto per la realizzazione dei suoi dipinti e disegni, qui per la prima volta confrontati.

venerdì 25 ottobre 2019

Il cuore non si vede di Chiara Valerio, Einaudi Editore

Il cuore non si vede, l'ultimo libro di Chiara Valerio edito da Einaudi, si presenta come un romanzo immersivo, iperrealistico, compatto, fatto di emozioni e pensieri, di attese e meditazioni interiori. Il cuore non si vede è il racconto di una fuga tanto impossibile da realizzare quanto surreale da concepire anche idealmente. 


Andrea Dileva si sveglia una mattina senza cuore: non c'è battito. Sta forse morendo? E' l'inizio di una malattia? Lo chiedo alle donne della sua vita: Laura, Carla, persino Angelica, intraprendente dottoressa, la quale gli spiega, scientificamente, che il suo cuore non ha mai smesso di battere. 

Eppure Andrea Dileva si accorge che qualcosa è cambiato. Se le risposte non arrivano dalla scienza allora deve cercare da altre parti. Se non arrivano dalle persone che tentano di amarlo allora deve interpellare qualcun altro. Ma chi, se non se stesso?

Le riflessioni vengono affidate a frammenti di iperrealismo che lasciano il posto, ben presto, ad attimi di grande impatto emozionale: è in questi momenti che Andrea Dileva riesce a far luce sul suo problema: non c'è alcuna carenza fisica. Quello che Andrea fatica a comprendere è che brandelli del suo cuore sono sparsi in giro per il mondo, passati di mano in mano, di sguardo in sguardo. Solo riconoscendoli potrà ritrovare se stesso e riunirsi con quella parte del suo io (corporeo e spirituale) che teme sia sparito dalla sua vista.

Il cuore non si vede è il racconto di un percorso di pena e redenzione, un racconto che riprende poeticamente, sublimando e attualizzando, le lezioni kafkiane. 

Botero a Palazzo Pallavicini: sinuosità barocche in mostra a Bologna

Botero
Dal 12 ottobre 2019 al 26 gennaio 2020
a cura di Francesca Bogliolo
Palazzo Pallavicini 
Via San Felice, 24
Bologna


Fino al 26 gennaio 2020 sarà possibile ammirare le opere di Fernando Botero a Palazzo Pallavicini a Bologna. La mostra, promossa dal Gruppo Pallavicini, è curata da Francesca Bogliolo in collaborazione con l’Artista.
Il corpus della mostra è costituito da 50 opere uniche mai viste prima nel capoluogo emiliano, comprendenti una serie di disegni realizzati a tecnica mista e un pregiato insieme di acquerelli a colori su tela. 

L’esposizione, articolata in sette sezioni, rispetta i temi cari all’artista e pone la sua attenzione all’occhio poetico che questi è capace di posare sul mondo, regalando una bellezza fatta di volumi abbondanti, colori avvolgenti e iconografie originali. Un visionario inno all’esistenza che approfondisce il disegno inteso come fondamento della forma, primario e imprescindibile strumento di bellezza. 

Tra i soggetti selezionati compaiono personaggi legati alla tauromachia e al circo, silenti ed equilibrate nature morte, delicati nudi, personalità religiose, individui colti nella propria quotidianità: una rassegna visiva che tiene conto dell’intensa ricerca visiva di Botero, tesa all’affermazione del suo caratteristico linguaggio. Tra le opere esposte si nascondono i segreti della vita, celati sotto presenze dai volumi corpulenti, persone o oggetti in attesa di un movimento casuale o volontario. In perfetto equilibrio tra ironia e nostalgia, atmosfere oniriche e realtà fiabesca, classicità italiana e cultura sudamericana, l’arte di Botero risulta creatrice e portatrice di uno stile figurativo e personale, capace senza indugio anche in questa occasione di coinvolgere e affascinare chi guarda. 

Libertà creativa e monumentalità rappresentano il fil rouge dell’esposizione, il cui allestimento è stato progettato con l’Accademia di Belle Arti di Bologna diretta dal Prof. Enrico Fornaroli e realizzato in collaborazione con il Biennio specialistico in Scenografia e allestimenti degli spazi espositivi e museali grazie al Prof. Enrico Aceti, alla Prof.ssa Rosanna Fioravanti, al Prof. Michele Chiari e al Dott. Erasmo Masetti insieme agli studenti Alessandro Barbera, Larissa Candido Bergamaschi, Cecilia Giovine, Ester Grigoli, Sarah Menichini, Bianca Piacentini, Rossella Pisani, Elena Romagnani e Tatiana Sànchez Sandoval.

Katy Couprie. Dizionario folle del corpo in mostra a Palazzo delle Esposizioni

Katy Couprie. Dizionario folle del corpo 
Dal 22 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020 
A cura di Laboratorio d’arte del Palazzo delle Esposizioni
Spazio fontana di Palazzo delle Esposizioni 
Via Nazionale, 194 - 00184 
Roma






Una mostra - laboratorio che si ispira all'omonimo libro dell’artista francese Katy Couprie (Editions Thierry Magnier, 2012). In dialogo con la mostra al piano nobile Sublimi anatomie e con la mostra La meccanica dei mostri. Da Carlo Rambaldi a Makinarium, nello Spazio Fontana un vocabolario visivo che racconta il corpo umano in tutti i suoi aspetti mescolando l’anatomia con la poesia,  le azioni con le emozioni, i modi di dire con le citazioni letterarie.
Premiato al Salon du livre jeunesse di Montreuil e alla Bologna Children’s Book Fair, il progetto di Katy Couprie nasce da una passione innata per il corpo e dall’incontro con le collezioni dell’Istituto di Anatomia umana dell’Università di Bologna. Una sintesi sorprendente di parole e immagini che unisce l’arte e la scienza con uno sguardo inedito.

In mostra le raffinate tavole originali realizzate sperimentando tecniche differenti. Incisioni, disegni e fotografie raccontano organi, muscoli, ossa ma anche risate, lacrime e acrobazie per restituire al corpo la sua interezza e complessità, interiore ed esteriore.
La sezione operativa della mostra permette a piccoli e grandi visitatori di “riflettere”, mettere in gioco il proprio corpo guardandosi dentro  e costruire il proprio abecedario anatomico.

Accompagna l’esposizione l’edizione italiana del Dizionario pubblicata grazie alla collaborazione tra Palazzo delle Esposizioni e la casa editrice Fatatrac, con la traduzione di Ilaria Piperno.

Katy Couprie - diplomata a l’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs di Parigi, frequenta l’Art Institute di Chicago. Pittrice, autrice, illustratrice e fotografa, è un’artista a tutto tondo che trova nell’incisione  il suo mezzo di espressione privilegiato. Nei suoi numerosi libri, albi illustrati e imagiers offre punti di vista inediti e interpretazioni originali della realtà.

Mostra promossa da
Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale
Azienda Speciale Palaexpo

giovedì 24 ottobre 2019

La meccanica dei mostri. Da Carlo Rambaldi a Makinarium a Palazzo delle Esposizioni

La meccanica dei mostri. Da Carlo Rambaldi a Makinarium 
Dal 22 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020 
a cura di Claudio Libero Pisano
Palazzo delle Esposizioni
Via Nazionale, 194 - 00184 
Roma

A Palazzo delle Esposizioni prosegue il percorso iniziato con Sublimi Anatomie che ha come fil rouge l’osservazione scientifica o immaginifica, realistica o simbolica, del corpo umano. 

Apre al pubblico la mostra La meccanica dei mostri. Da Carlo Rambaldi a Makinarium a cura di Claudio Libero Pisano.
Carlo Rambaldi (1925-2012) è l’uomo degli effetti speciali, colui che ne ha trasformato il ruolo stesso: da elementi di contesto a protagonisti dei film. Le sue creature sono divenute un mondo riconosciuto e amato, molti film sono identificati con esse, ET, King Kong, Alien sono solo alcuni. Ma già prima di Hollywood, Rambaldi era uno dei maggiori esponenti degli effetti speciali in tutto il cinema di genere. Suoi sono i soldati alieni nel film cult Barbarella di Roger Vadim con una giovanissima Jane Fonda. Sua è la paternità del Pinocchio di Luigi Comencini, realizzato in meccatronica e che garantiva alla marionetta movimenti a distanza mai visti per quell’epoca.


Dopo aver lavorato con i maggiori registi italiani - Lucio Fulci, Lamberto Bava, Pupi Avati, Dario Argento - nella metà degli anni ‘70 si trasferisce negli Stati Uniti, dove collaborerà con i maggiori registi dello Star System Hollywoodiano, Steven Spielberg, Ridley Scott, Oliver Stone, Andrzej Zulawki, David Linch. Negli anni americani vincerà ben tre premi Oscar. 

La tradizione artigianale italiana legata alla capacità ingegneristica hanno reso Carlo Rambaldi il maggior esponente della meccatronica negli effetti speciali nel Cinema, e la capacità tecnica di rendere realistico qualsiasi personaggio una sua nota distintiva. Con lui gli effetti speciali hanno finito di essere solo trucco scenico e sono diventati parte integrante della narrazione filmica.

La mostra racconta la storia di Rambaldi indissolubilmente legata a quella del Cinema mondiale. Sono stati ritrovati tutti i materiali, le annotazioni e le diverse versioni delle sue creature più note. Per l’occasione saranno mostrati al pubblico i bozzetti che hanno portato alla versione definitiva di ET, gli studi su King Kong e molto altro, come i progetti tecnici sulle movimentazioni dei diversi personaggi.

La mostra documenta anche le generazioni successive a Rambaldi e, come queste, dopo gli anni del boom del digitale, siano tornate alla meccatronica associata al digitale.

Il gruppo Makinarium, tra i più importanti al mondo di questo settore, ha restaurato le opere di Rambaldi in mostra (tra le quali il monumentale drago e la pulce del film Il racconto dei racconti di Matteo Garrone) e una sezione documenta il loro lavoro nel cinema oggi. Esiste una continuità tra il maestro ferrarese e le tecniche usate oggi per gli effetti speciali. Le tecniche costruttive di alcuni mostri della factory Makinariun hanno incredibili similitudini con le creature che hanno caratterizzato il cinema negli anni Settanta e Ottanta.

Quello che la mostra vuole documentare è la continuità di un’eccellenza del nostro paese che oggi coniuga in modo virtuoso le proprie capacità artigianali con le più sofisticate tecniche del digitale. Nel periodo espositivo saranno organizzati eventi collaterali fra cui talk con esperti del settore e la rassegna cinematografica L’inventore di illusioni dedicata alla filmografia di Rambaldi, che permette la riscoperta, oltre ai film più noti e che lo hanno portato a vincere ben tre premi Oscar, di collaborazioni eccezionali con i più grandi maestri del nostro cinema, quali Fellini, Pasolini, Ferreri, Argento.

La rassegna, curata dal Palazzo delle Esposizioni in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale, presenterà la maggior parte dei titoli in programma nel formato
originale, la pellicola 35 mm.

Mostra promossa da
Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale
Azienda Speciale Palaexpo

Georges Simenon, Il Mediterraneo in barca edito da Adelphi

“Con  le  parole  un  uomo  può  rendere  felice  l'altro  o  spingerlo  alla  disperazione”. Freud prestava molta attenzione alla comunicazione verbale nel rapporto tra analista e paziente. Come potrebbe non essere altrimenti? Calvino era giunto a una conclusione simile circa la comunicazione verbale, affermando  il  valore  di “lasciar  parlare  le  cose  attraverso  le  parole”.  Simenon  parlava di parole che hanno il peso della materia, parole che hanno tre dimensioni. Sono proprio le parole scelte dal padre di Maigret che ci trascinano nel bacino del Mediterraneo, come onde si frangono contro i nostri ricordi portandoci lontano, a bordo di una goletta.

Siamo nel 1934, Georges Simenon sale a bordo di una goletta di fabbricazione italiana e solca il Mare Nostrum. Ascolta il vento, osserva il giovane capitano e i marinai, abbraccia storie di vite che si snodano tra pescherecci e porti, tra cabine e bordelli. Nasce Il Mediterraneo in barca, edito da Adelphi (traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Laura Vanorio con una nota di Matteo Codignola). La scrittura abbandona la facilità letteraria delle pagine di Maigret. Lo stile diaristico, a tratti documentaristico, scivola con lentezza nel piacere della narrazione dove le immagini metaforiche ricordano alcune pagine dei suoi romanzi più travolgenti, La camera azzurra, Tre camere a Manhattan, Il passeggero del Polarlys, per citarne alcuni (tutti editi da Adelphi).


Con Il passeggero del Polarlys, Simenon aveva già raccontato di una sua esperienza marittima: a bordo di un cargo costiero, il Polarlys (nome dell’aurora boreale in norvegese) nel 1929 si era avventurato lungo i canali del nord della Francia e da quell'esperienza era nata una vicenda struggente dai contorni noir. 

Con Il Mediterraneo in barca ritmo e poesia si incontrano sulla pagina nuda e il resoconto del viaggio nel Mediterraneo, da Porquerolles alla Tunisia passando dall’Elba, Messina, Siracusa, Malta a bordo di una goletta, diventa un esperimento narrativo che mostra, non solo un'altra faccia di Simenon (lontano dal rassicurante Maigret), ma soprattutto la sua forte e inevitabile inclinazione al racconto delle vite minute, degli incontri casuali, dei particolari emotivi che scorge negli sguardi, che intravede nei gesti distratti. E' proprio questa sua sensibilità che spinge a saziarci delle sue pagine mai appagati poiché le sue storie, riprendendo Freud, possono renderci felici o spingerci alla disperazione. 

martedì 22 ottobre 2019

Questo matrimonio non s'ha da fare - Crisi di famiglia e genitorialità: l'ultimo libro di Mattia Morretta per Viator

E' possibile dissezionare un amore? Se guardiamo alla letteratura, da Italo Svevo a Heinrich Mann passando per Nabokov e Buzzati, possiamo rispondere che di un amore si può fare "una dissezione quasi anatomica" (appropriandosi, così, delle parole di Montale): ogni amore è un condensato di interpretazioni e riscritture, l'incanto sospeso tra passione e ragione permette di scoprire l'universo emozionale che si cela dietro ogni rapporto. La scoperta, tuttavia, presuppone una certa dose di tenacia unita al coraggio. E' solo allora che si può dire di entrare in contatto con se stessi e con il proprio sentire. Di conseguenza con l'Altro.


Del rapporto con l'Altro e dei legami d'amore Mattia Morretta, psichiatra, psicoterapeuta e sessuologo, ne ha fatto il tema centrale del suo ultimo libro, Questo matrimonio non s'ha da fare - Crisi di famiglia e genitorialità, edito da Gruppo editoriale Viator a giugno del 2019. Un'opera che sfugge a molte classificazioni tradizionali: un romanzo potrebbero dire alcuni, con tutti i limiti che la definizione di "romanzo" applicata ad un prodotto letterario come quello sopra citato comporta e che ritengo debbano essere scoperte dal lettore (ogni lettore noterà differenti livelli di lettura e molteplici chiavi di interpretazione). Un saggio si potrebbe obiettare, se non fosse per le innumerevoli e piacevoli immersioni nell'universo narrativo e letterario che si intrecciano alla materia psicologica e psicoanalitica. 
Questo matrimonio non s'ha da fare si presenta come un libro dalle risorse inesauribili: ogni capitolo potrebbe essere sviluppato in modo indipendente prendendo vita e trovando una nuova collocazione rispetto all'opera dalla quale ha avuto origine. 

Cosa succede, dunque, se andiamo a dissezionare un amore? Quale significato ultimo possiamo cogliere nei legami sentimentali, negli incontri tra coppie etero oppure omo che sfociano, poi, in rapporti duraturi? La durata di un legame d'amore è direttamente o inversamente proporzionale ai sentimenti che legano due persone? Si può parlare, oggi, di "famiglia" nello stesso modo in cui se ne parlava fino agli anni Settanta? 
Dalla "fisiologia e patologia del matrimonio" Morretta passa all'analisi acuta, sagace, lucida e condita da un pizzico di immancabile ironia, dei matrimoni d'amore e d'interesse dove la frase della Mitchell tratta da Via col vento occupa una posizione di preminenza rispetto a tutto il capitolo: "Ho amato qualche cosa costruita da me". 
Capitolo dopo capitolo, l'opera di staglia sull'immaginario del lettore, rompendo ogni preconcetto circa la famiglia, l'amore, il matrimonio: un'osservazione approfondita dei legami diventati vincoli inconsistenti "leggeri e deresponsabilizzanti". Alla lente d'ingrandimento non sfugge l'analisi delle figure genitoriali (ricordiamo il sottotitolo del libro: Crisi di famiglia e genitorialità) che perdono il loro ruolo di guida emotiva e carismatica e al loro fallimento si associa l'impoverimento della rete sociale “sicché si ha a che fare con viaggiatori solitari o in tandem con eventuali figli trascinati a ruota a mo’ di trolley” (a questo proposito si pone l'accento sui capitoli centrali: Pari e dispari o separati in casa, Scene da un matrimonio e aria di famiglia, L'esame di idoneità genitoriale).

Come rivolvere il problema? Si può, pertanto, parlare di amore che sa dire il suo nome? Tra rimandi letterari antichi e sconfinamenti novecenteschi Morretta disegna una strada percorribile attingendo alla dimensione dell’immaginario antropologico (mitologia inclusa) e valorizzando al massimo l’asse
ereditario umano, nelle varie espressioni di genitorialità spirituale, perché “se alla natura interessa avere eredi materiali, la civiltà ha bisogno di figli culturali”. 

venerdì 18 ottobre 2019

Sublimi Anatomie: la rivelazione del sublime nel corpo umano tra passato e presente

Sublimi Anatomie
Dal 22 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020 
A cura di: Andrea Carlino, Philippe Comar, Anna Luppi, Vincenzo Napolano, Laura Perrone
Palazzo delle Esposizioni
Via Nazionale, 194 - 00184 
Roma



Il 22 ottobre verranno inaugurate tre mostre centrate sull’osservazione scientifica o immaginifica, realistica o simbolica, del corpo umano. 
Il Palazzo delle Esposizioni offrirà quindi ai suoi visitatori un percorso fatto di opere e suggestioni diverse, ma con numerosi e significativi punti di convergenza. 

Il percorso inizierà con Sublimi Anatomie a cura di Andrea Carlino, Philippe Comar, Anna Luppi, Vincenzo Napolano e Laura Perrone. Una mostra sulla rivelazione del sublime nel corpo umano, tra passato e presente e all’incrocio tra pratiche artistiche e imprese scientifiche. Una storia secolare e spettacolare dell’osservazione del corpo che coinvolge in primo luogo i sensi – innanzitutto la vista e il tatto, ma anche strumenti e tecnologie. 

Palazzo delle Esposizioni accoglierà opere, manufatti e documenti di straordinaria importanza storica che, tra arte e scienza, raccontano l'evoluzione dell’anatomia umana in dialogo serrato con la ricerca artistica contemporanea sulla fisicità irriducibile del corpo umano in un tempo dominato dall’immagine virtuale. 

Partendo dalla suggestione del teatro anatomico, la rotonda di Palazzo delle Esposizioni si trasformerà in uno spazio dedicato al dibattito sulla visione e la costruzione dell’immagine del corpo, ma anche in un atelier di disegno dal vero e in una vera e propria scena per la performance. Sostituendo ai cadaveri dei modelli viventi, questo dispositivo diventerà, nell’economia dello spazio della mostra e per tutta la sua durata, uno strumento destinato a suscitare dinamiche di attivazione dell’occhio, della mano e del corpo tutto. 

Le sei sale che dal teatro s’irradiano, restituiranno la storia dell’osservazione del corpo con una selezione di oggetti e documenti di grande valore storico, scientifico e artistico, come i preziosi manichini anatomici ottocenteschi realizzati in cartapesta da Louis Thomas Jerome Auzoux, le tavole anatomiche stampate in quadricromia da Jacques-Fabien Gautier-Dagoty o le ceroplastiche di Filippo Pacini. Il percorso incrocerà la storia dell’anatomia con la ricerca artistica contemporanea, esibendo opere di artisti come Dennis Oppenheim, Yvonne Rainer, Ketty La Rocca, Gary Hill, Giuseppe Penone, Marisa Merz, Gastone Novelli, Berlinde De Bruyckere, Chen Zhen, e Ed Atkins.


Promossa da: Roma Capitale - Assessorato alla Crescita culturale; Azienda Speciale Palaexpo Organizzata da: Azienda Speciale Palaexpo 

giovedì 17 ottobre 2019

Della materia spirituale dell’arte: la mostra al MAXXI fino a marzo 2020

Della materia spirituale dell’arte 
a cura di Bartolomeo Pietromarchi 
Dal 17 ottobre 2019 all' 8 marzo 2020 
www.maxxi.art 
#spiritualealMAXXI 



JOHN ARMLEDER | MATILDE CASSANI | FRANCESCO CLEMENTE | ENZO CUCCHI | ELISABETTA DI MAGGIO | JIMMIE DURHAM | HARIS EPAMINONDA | HASSAN KHAN | KIMSOOJA | ABDOULAYE KONATÉ | VICTOR MAN | SHIRIN NESHAT | YOKO ONO | MICHAL ROVNER | REMO SALVADORI | TOMÁS SARACENO | SEAN SCULLY | JEREMY SHAW | NAMSAL SIEDLECKI 

con prestiti da: Musei Vaticani | Museo Nazionale Romano | Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia | Musei Capitolini 

dedicata a Lea Mattarella 

Che cosa significa, oggi, parlare di spirituale? Quale è lo spazio della spiritualità in un mondo dominato da una cultura digitale e tecnologica e da una mentalità ultra deterministica? Esiste ancora un’esigenza spirituale alla base delle istanze dell’arte? 

Per riflettere su questi e altri interrogativi il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo riunisce alcuni tra i più importanti protagonisti della scena artistica dei nostri tempi nella grande collettiva della materia spirituale dell’arte, fortemente voluta dalla Presidente della Fondazione MAXXI Giovanna Melandri e curata da Bartolomeo Pietromarchi

Della materia spirituale dell’arte è un progetto che indaga il tema dello spirituale attraverso lo sguardo dell’arte contemporanea e, al contempo, della storia arcaica di Roma. In un allestimento che offre possibilità multiple di percorso sono esposti i lavori di diciannove artisti, nomi di spicco del panorama internazionale, provenienti da culture e con background differenti. 

Le opere di John Armleder, Matilde Cassani, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Elisabetta Di Maggio, Jimmie Durham, Haris Epaminonda, Hassan Khan, Kimsooja, Abdoulaye Konaté, Victor Man, Shirin Neshat, Yoko Ono, Michal Rovner, Remo Salvadori, Tomás Saraceno, Sean Scully, Jeremy Shaw e Namsal Siedlecki, realizzate per la maggior parte nell’ultimo biennio e ripensate appositamente per gli spazi del MAXXI, sono esposte a fianco di diciassette straordinari reperti archeologici etruschi, romani e di produzione laziale, provenienti da quattro tra i principali musei della città: Musei Vaticani, Museo Nazionale Romano, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e Musei Capitolini. 

I reperti risalgono a un periodo compreso tra l’VIII sec a.C. e la fine del IV sec d.C., ovvero dalle origini di Roma sino al momento in cui il Cristianesimo diventa religione di Stato, e sono quindi rappresentativi del percorso che conduce dal mondo arcaico a quello premoderno, dalla dimensione collettiva del sacro in era pagana all’affermarsi di una dimensione più individuale dello spirituale in età post classica. 

“La domanda sull‘Essere, sull’espansione spirituale dell’uomo, ha definito la ricerca artistica da sempre - dice Giovanna Melandri -. L'arte è talvolta capace di cogliere la nostra tensione ad andare oltre l’illusione delle forme e della materia (Maya). Come scriveva Schopenhauer, l’arte può miracolosamente elevarsi sopra la vita e contemplarla, trascendendola. Ho voluto moltissimo questo progetto, che nasce dalla mie chiacchierate con Lea Mattarella, ed è dedicato a lei. Non è stato facile definirne il profilo e i confini, ma sono certa che questa mostra contribuirà ancora di più ad ampliare il perimetro della ricerca, artistica e ideale, del “laboratorio” MAXXI. Sono convinta che la domanda aperta sulla natura spirituale della persona, al di là di ogni dogma religioso, sia una domanda che chiede urgentemente di essere posta all’uomo contemporaneo. Ringrazio i Musei Vaticani, il Museo Nazionale Romano, il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e i Musei Capitolini che hanno condiviso con noi questo progetto”. 

“La compresenza e la relazione tra elementi contrapposti è molto evidente - afferma Bartolomeo Pietromarchi, Direttore MAXXI Arte - e la sua messa in risalto è la forza dell’intero progetto. È proprio questa impossibile composizione tra corpo e anima, tra materia e spirito a essere la più fedele rappresentazione della nostra essenza. Con ‘materia spirituale dell’arte’, intendo ciò che fa leva su tale dicotomia, tra una dimensione materiale legata all’esperienza personale e un’esigenza di ritrovare pratiche e significati che elevino lo spirito al di sopra di essa.” 

La Galleria 4 dedicata a della materia spirituale dell’arte accoglie il visitatore con un allestimento espositivo fatto di visioni laterali e muri totemici che permette un gioco di rimandi tra le opere d’arte e i manufatti archeologici e favorisce così un dialogo continuo tra la sensibilità antica e quella contemporanea. 

Diverse le installazioni in mostra, tra cui quelle di Matilde Cassani (un drappo di tessuto, come una soglia che introduce nello spazio del sacro), Enzo Cucchi (artista al quale il MAXXI dedica al contempo un Focus della Collezione Arte in Sala Gian Ferrari, 17 ottobre 2019-gennaio 2020) Jimmie Durham, Haris Epaminonda, Remo Salvadori, Namsal Siedlecki, realizzate o ripensate appositamente per questo progetto. Il percorso si apre e va a chiudersi con le installazioni sonore di Hassan Khan (una composizione per battito di mani) e di Kimsooja (che diffonde gli echi di un canto tibetano), superate le quali si accede al grande spazio centrale che vede emergere la presenza di grandi opere bidimensionali tra cui quelle di John Armleder, Francesco Clemente, Abdoulaye Konaté, Victor Man, Sean Scully, in stretta relazione con gli oggetti antichi (la coppia di Pavoni dei Musei Vaticani, il Fegato dello Scasato di Villa Giulia, lo Scarabeo alato dei Musei Capitolini, la Collana con Chrismon e la Statua Leontocefala, entrambe del Museo Nazionale Romano, la Gemma della dea Roma dei Musei Capitolini – Fondazione Santarelli). Fotografia (le mani di donne iraniane nel gesto di offrire versi di poeti della tradizione farsi di Shirin Neshat) e video (Michal Rovner, Jeremy Shaw) dialogano con le installazioni immersive di Elisabetta Di Maggio (che ricrea con i francobolli il pavimento cosmatesco della Basilica di San Marco) di Tomás Saraceno (che trasforma il fluttuare della seta di ragno in vibrazioni sonore), per finire con un’importante opera di arte partecipativa di Yoko Ono. 

Il progetto della materia spirituale dell’arte prevede la realizzazione di un catalogo edito da Quodlibet, la cui pubblicazione è pensata per l’autunno di quest’anno, che raccoglierà i contributi testuali di Andrea Carandini, Padre Paolo Benanti, Stefano Catucci, Raffaella Frascarelli e Riccardo Venturi. L’apparato critico presente nel libro è inoltre alla base del pensiero curatoriale-espositivo della mostra, il cui percorso visivo-fotografico sarà a cura di Agostino Osio (Alto Piano studio, Milano). 

Ad affiancare il progetto di mostra, un corposo Public Program vedrà il susseguirsi di talk con gli artisti (Sean Scully, 17 ottobre 2019 – Jimmie Durham, 17 dicembre 2019); lectio magistralis (Massimo Cacciari, 25 ottobre 2019 – Corrado Augias, 21 gennaio 2020 – Massimo Recalcati, 7 marzo 2020 ); la proieizione del film The Answer. A true story, dedicato a Paramahansa Yogananda, filosofo, mistico, yogi indiano (13 novembre 2019); la performance musicale di Pejman Tadayon Ensemble (30 novembre 2019) e la lezione performance del Maestro Krishna Das sull’antica filosofia vedica (4 dicembre 2019); l’incontro con l’archeologo Andrea Carandini in dialogo con Bartolomeo Pietromarchi (23 gennaio 2020). 

In occasione della mostra della materia spirituale dell'arte il MAXXI propone tre film, parte della programmazione ufficiale della XIV° edizione della Festa del Cinema di Roma, per approfondire il tema dello spirituale attraverso lo sguardo di tre grandi registi: Dersu Uzala. Il piccolo uomo delle grandi pianure, 1975, di Akira Kurosawa (18 ottobre ore 16.30); The Tree of life, 2012, di Terrence Malick (22 ottobre ore 16.00); Lo Scafandro e la Farfalla, 2007, di Julian Schnabel (25 ottobre ore 17.00). 

Ingresso con biglietto o accredito della Festa del Cinema di Roma www.romacinemafest.org

Invernomuto Prima delle Sabbie: il duo artistico in mostra alla Galleria Nazionale di Roma

Invernomuto Prima delle Sabbie 
a cura di Massimo Mininni 
Dal 15 ottobre 2019 al 12 gennaio 2020
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Roma 


Prima delle sabbie. Il secondo appuntamento di Connection Gallery, progetto della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea a cura di Massimo Mininni, vede la partecipazione di Invernomuto, duo artistico formato da Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi. 

Dopo il lavoro di Andrea Mastrovito (autore dell’intervento Very Bad Things, esposto da giugno a settembre 2019, a cura di Ilaria Bernardi che ha posto l'accento sul femminile nell’arte, indagando il complesso rapporto della donna con l’uomo e con il potere) il ciclo espositivo in tre tappe avviato a giugno prosegue nell’intenzione di dare spazio al lavoro di giovani artisti, selezionati per la loro capacità di accordare la propria espressione creativa al museo e alle sue peculiarità attraverso la creazione di un’opera site-specific. 

Il Mediterraneo è da tempo il campo d’indagine di Invernomuto e l’intervento alla Galleria dal titolo Prima delle Sabbie ne rappresenta un nuovo punto di arrivo, pienamente contestualizzato all’interno del museo. L’opera restituisce una narrazione del Mediterraneo del tutto inedita, nel momento in cui gli viene assegnata una prospettiva per cui da estesa superficie marina diventa un soggetto “proteiforme”, un fiume a più foci, dove non sono più rintracciabili le coordinate del Nord e del Sud ma il mare è in reciproca comunicazione con il territorio: l’installazione di Invernomuto coinvolge l’opera Fiume con foce tripla (1967) di Pino Pascali, una presenza importante nella collezione della Galleria. 

L’elemento dell’acqua, che non può non richiamare 32 metri quadrati di mare circa sempre di Pascali, si unisce agli effetti cromatici del lavoro di light design, ad immagini, suoni e dettagli che ricompongono un ambiente geografico apparentemente familiare ma in realtà turbato da dinamiche che aspettano di essere del tutto rivelate nella loro problematicità. 

Dalla rilettura del Mediterraneo, luogo da sempre connaturato a scambi e incontri, ma ormai sempre più spesso turbato da tensioni e contrasti, il campo di osservazione si allarga a comprendere anche il Deserto, immensità speculare a quella del mare. Proprio il deserto e i fiumi sono i soggetti ricorrenti del corredo di immagini di epoche diverse che si sommano in un lavoro di collage, ad accrescere la rete di significati dell’installazione. 

Il titolo della mostra è un chiaro riferimento al brano e all’album L’Egitto Prima delle sabbie composti da Franco Battiato nel 1978, presenti nell’installazione in un originale riadattamento di Invernomuto, ma anche al pensiero di Georges Gourdjieff, mistico, filosofo e scrittore (in particolare, Incontri con uomini straordinari, Adelphi 1977) da cui Battiato è stato sua volta fortemente ispirato. 

Esiste, per Gourdgieff, l’“Egitto pre-sabbia” come luogo di un’antica civiltà anteriore a quella egizia e depositaria di un’ancestrale ed essenziale sapienza, dove la sabbia è la metafora di un modo di vivere degli uomini in connessione tra loro e con l’universo che è stato sepolto dal tempo ed è - quasi - inattingibile nella nostra moderna e tecnologica società. 

Lo spazio in cui la Galleria accoglie l’esposizione, la Connection Gallery che collega due settori del museo, diventa un elemento fondamentale dell’installazione, ancor più a livello simbolico oltre che spaziale. 

L’aspetto modulare dell’opera di Pascali è parte di una composizione che coniuga scultura, luce, suono e collage in un gioco di rimandi e dissonanze che evidenzia la consapevolezza con cui Invernomuto si muove nel passaggio da un medium ad un altro. L’insieme dei numerosi elementi multidisciplinari che formano l’installazione ne suggeriscono una visione performativa, tratto distintivo del lavoro del duo artistico. 

La mostra è accompagnata dall’edizione di un giornale catalogo, con testi di Massimo Mininni e Peter Benson Miller, che verrà pubblicato nei giorni successivi all’inaugurazione per accogliere il corredo fotografico completo dell’installazione. 

Per la preziosa collaborazione a questo progetto, si ringraziano: la Fondazione Museo Pino Pascali, che ha sostenuto il restauro dell’opera Fiume con foce tripla con il coordinamento di Rodolfo Corrias; l’American Academy in Rome; Francesca Pennone e Antonella Berruti di Pinksummer Gallery, Genova; il Centro Recupero Fauna Selvatica Lipu Roma. 

Gli artisti 

L’immagine in movimento e il suono sono i mezzi di ricerca privilegiati dal duo composto da Simone Bertuzzi (Piacenza 1983) e Simone Trabucchi (Piacenza 1982), nel contesto di una pratica altrimenti definita dall’utilizzo tanto disperso quanto preciso di media differenti. Invernomuto indaga universi sottoculturali muovendosi attraverso pratiche diverse in cui l’idioma vernacolare è parte di un percorso di avvicinamento e affezione alle culture orali e alle mitologie contemporanee, osservate con uno sguardo che non disdegna di esserne contaminato. All’interno di questo processo svolge un ruolo fondamentale la dichiarata inautenticità dei materiali utilizzati, che sottolinea il carattere fittizio e kitsch delle mistificazioni a cui si ispirano. Entrambi gli artisti sviluppano linee di ricerca individuali con i progetti musicali Palm Wine e STILL. 

Attualmente stanno sviluppando il progetto Black Med, lanciato a Manifesta 12 (Palermo) e parte del performance programme della 58a edizione della Biennale di Venezia, a cura di Ralph Rugoff. Nel 2019 presentano le mostre personali a MED T-1000, Pinksummer, Genova (aprile), Leto Gallery, Varsavia (aprile), a NN Contemporary Art, Northampton (giugno) e alla Galleria Nazionale di Roma (ottobre). Da aprile a luglio 2019 sono in residenza all’American Academy di Roma (Cy Twombly Italian Fellows in Visual Arts) e da ottobre a novembre presso Alserkal Foundation, Dubai. 

Il loro lavoro è stato inoltre esposto a TATE (Londra), Manifesta 12 (Palermo), Kunsthalle Wien (Vienna), Nuit Blanche 2017 (Parigi), MAXXI (Roma), Museion (Bolzano), Unsound Festival (Cracovia), Kunstverein München (Monaco), Bozar (Bruxelles), FAR° (Nyon), Centre d’Art Contemporain (Ginevra), Bétonsalon (Parigi), Live Arts Week V (Bologna), Istituto Italiano di Cultura (Addis Abeba), Nettie Horn Gallery (Londra), American Academy in Rome (Roma), PAC Padiglione d’Arte Contemporanea (Milano), Vleeshal (Middelburg), Fondation Ricard (Parigi), Black Star Film Festival (Philadelphia), Centre Pompidou (Parigi), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino), Hangar Bicocca (Milano), Netmage 07/09 (Bologna), Premio Furla (Bologna), No Fun Fest 2009 (New York), Biennale Architettura 11 (Venezia), Viafarini (Milano), Fair_Play (Lugano), Domus Circular (Milano). 

Invernomuto è rappresentato da Pinksummer Gallery, Genova. 

Robert Morris, Monumentum 2015 - 2018 inmostra alla Galleria Nazionale di Roma

Monumentum. Robert Morris 2015 - 2018 
a cura di Saretto Cincinelli 
Dal 15 ottobre 2019 al 12 gennaio 2020 
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea 
Roma


A distanza di circa 40 anni dalla prima mostra personale di Robert Morris tenutasi nel 1980, a cura di Ida Panicelli e dedicata alla scultura minimal, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea celebra un artista fondamentale per la storia dell’arte contemporanea, maestro del Minimalismo americano di cui è stato uno dei fondatori, della Process Art e della Land Art, per citare solamente alcune grandi correnti che hanno rappresentato tappe di una ricerca incredibilmente prolifica e multidirezionale durata una sessantina di anni. 

Monumentum. Robert Morris 2015 - 2018 a cura di Saretto Cincinelli è la prima mostra che viene dedicata all’artista dopo la sua morte, avvenuta nel novembre del 2018, ed espone una serie di opere realizzate da Morris negli ultimi anni della sua attività e mai esposte prima in Europa. Sono sculture che richiamano figure umane appartenenti alle due serie MOLTINGSEXOSKELETONSSHROUDS, realizzate in tela belga bagnata in una particolare resina e apposta su modelli per ottenerne la forma, e Boustrophedons, in fibra di carbonio, esposte rispettivamente nel 2015 e nel 2017 alla Galleria Castelli di New York. 

L’inedita relazione spaziale tra i due nuclei esposti in questa occasione alla Galleria Nazionale nasce da un progetto concordato con lo stesso Morris prima della sua scomparsa. I recenti gruppi scultorei di Morris testimoniano il crescente interesse dell’artista per la figura umana e per l’opera dei maestri del passato, segnando una svolta anche nel suo vocabolario formale che sembra affrancarsi definitivamente dal senso di ordine e astrazione tipiche di una parte dell’avanguardia americana per orientarsi verso elementi più marcatamente barocchi e allegorici. 

In questa esposizione, oltre ai richiami a Donatello risuonano espliciti anche quelli a Rodin, ai tardi disegni di Francisco Goya, alle statue piangenti dello scultore gotico Carl Sluter. Utilizzando materiali associati alla pittura, come il lino belga e la vernice, per formare sudari di figure scultoree, Morris crea notevoli tensioni: tra l’apparente presenza delle figure e la loro assenza, tra l’idea di scultura come un’arte eminentemente spaziale e quella dei gruppi di figure interagenti tra loro che rivela un trattamento quasi pittorico e, infine, tra lo spettatore e la sua percezione di ogni singola scena. 

La mostra è realizzata in collaborazione con la Galleria Castelli di New York.