venerdì 29 novembre 2019

Arte Russa: Interview with Andrey Remnev

Questo articolo è apparso sul Magazine Wall Street International, Ne pubblichiamo un breve estratto. 

The Russian painter Andrey Remnev (Yakhroma, 1962) will present at his first Italian show, with the patronage of the Embassy of Russian Federation in Italy, the brand new series The Face of a Natural Force, a collection of 12 mesmerising and visionary oil paintings which will reflect on the relationship between Soul and Nature.

I recently had an opportunity to speak with Andrey Remnev. Undoubtedly inspired by the imagery and geometries of traditional Russian painting, Remnev invites us to master the emblematic visual language of Russian Icons, reinterpreted with a figurative style dense in symbolism in a contemporary key and under the profound influence of his passion for Italian Classical Art.




From the sacred Russian icon to the icons of our time. Your paintings seem to be inspired from Russian sacred art, from which you then delve into forming a precise and recognizable stylistic trait. Your works seem to be a fusion of sacred icons (which idealizes a certain type of themes such as domestic intimacy, wedding and funeral rite, religious environment and ceremonies) and a more profane symbolism. A profanation that, however, is graced by the presence of women. Can we say that this is precisely the cultural and ideological substratum of your art?


My motivation to create a painting is everyday life in the modern world. At the same time the painting techniques are taken from artists of the past. In the fusion of these two principles, my own recognizable style appears. It is the principle of classical tradition. For example, in the Middle Ages the books with samples were widely used, from which the artists took their composition scheme. They could improve and adapt those samples to their specific tasks. This is pretty much how I am working. Everything was invented long ago, you just need to find out how to use it.


Full Interview on WSI Magazine: Between Soul and Nature

giovedì 28 novembre 2019

Andrey Remnev in mostra alla Dorothy Circus Gallery

Questo articolo è apparso sul Magazine Wall Street International, Ne pubblichiamo un breve estratto. 

The Face of a Natural Force
Dal 30 Novembre al 30 Dicembre 2019
Dorothy Circus Gallery
Via dei Pettinari 

Roma

Petit Trianon. Keys of Heaven

Lo stile artistico di Andrey Remnev affonda le radici nel Costruttivismo russo per sviluppare una libertà espressiva che esalta le linee e le forme, la luce e i contrasti.
La contemporaneità di Remnev si congiunge con la tecnica della combinazione di tempera d'uovo e oli, utilizzata soprattutto dai Maestri dell'arte del XIII e del XIV secolo, periodi storici che prediligono le sperimentazioni in campo pittorico amplificando ora l'una o l'altra tecnica e abbozzando, di conseguenza, le basi per una sorta di indagine stilistica ed emotiva. Quanto più una tecnica si rivela nella sua efficacia tanto più sarà veicolo per la trasmissione di emozioni.
Chi volesse approfondire la qualità dell'arte di Andrey Remnev, in mostra alla Dorothy Circus Gallery di Roma dal 30 novembre fino al 30 dicembre del 2019, riuscirebbe a sentire l'eco dell'arte russa sacra che confluisce in una poetica simbolica dove è tangibile la fusione di elementi concreti e spirituali, di forme sacre e profane. Allusività strutturale e suggestione di pensieri: l'arte di Remnev, costantemente attraversata dalla presenza della bellezza femminile, tende a trasmettere un aspetto dell’Arcano profanato.

lunedì 25 novembre 2019

Alla Fiera di Roma la seconda edizione di RO.ME Museum Exhibition

RO.ME Museum Exhibition
Dal 27 novembre al 29 novembre 2019
+39 06.93.62.378
info@romemuseumexhibition.com
Fiera di Roma


Il 27 novembre inaugura presso Fiera di Roma la seconda edizione di RO.ME Museum Exhibition, manifestazione sui musei, sui luoghi e le destinazioni culturali. L’edizione di quest’anno presenta un programma ricco che affronterà tutti gli aspetti legati al patrimonio culturale: musei, destinazioni culturali, mostre itineranti, retailing, finanziamenti e incentivi per la cultura, formazione e professioni, illuminotecnica, conferenze, workshop e incontri B2B. Un evento di tre giorni, dal 27 al 29 novembre, dedicato solo ed esclusivamente al patrimonio culturale. 

Roma è il palcoscenico ideale per accogliere un simposio internazionale ed un marketplace per una audience specializzata di operatori di musei, luoghi e destinazioni culturali. La cultura come un elemento della coesione sociale, del benessere e della cooperazione tra i popoli. La cultura capitale inestimabile e diffuso: patrimonio artistico, paesaggi, tradizioni, know-how e innovazione: ricchezza e bellezza che attraversano i territori senza conoscere confini. RO.ME – Museum Exhibition è la piattaforma internazionale per la comunità professionale di settore, un luogo dove condividere visioni, esperienze, opportunità di business e networking.

Settemila metri quadri di area espositiva positiva con stand e corner di musei, istituzioni nazionali e locali, fondazioni, associazioni, regioni, università, aziende, professionisti del settore con l’obiettivo di promuovere mediante incontri, conferenze, approfondimenti specialistici, reti di collaborazione, la promozione, la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio culturale. RO.ME Museum Exhibition offre una occasione di incontro e contatto con i direttori di musei e dei principali luoghi culturali italiani e internazionali, con le Istituzioni e le aziende del settore e favorisce un business matching con una qualificata platea di professionisti, buyer e rappresentanti istituzionali.

sabato 23 novembre 2019

La solitudine del critico. Leggere, riflettere, resistere di Giulio Ferroni per Salerno Editrice

La solitudine del critico.  Leggere, riflettere, resistere di Giulio Ferroni (Salerno Editrice)
Lunedì 25 novembre ore 17:00
Centro Pio Rajna – Villa Altieri 
Viale Manzoni 47, Roma 
Interventi di: Stefano Gallerani Raffaele Manica Giorgio Patrizi.
Sarà presente l’Autore

Il libro offre uno sguardo sintetico ai processi della critica letteraria degli ultimi decenni, interrogando le ragioni della sua marginalizzazione: l’eccesso della produzione letteraria e delle forme della comunicazione, la subordinazione alla linguistica, ai cultural studies, alle neuroscienze, al “pensiero unico” digitale ecc. Ma dalla condizione di crisi e di solitudine, dalla sua stessa insufficienza, la critica può trovare ragioni di resistenza: se sa ascoltare nella letteratura la voce di ciò che manca, il senso della memoria e del destino.

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Giulio Ferroni è storico della letteratura, critico letterario, scrittore. Dal 1982 al 2013 ha insegnato Letteratura italiana alla «Sapienza» di Roma. Ai problemi della scuola ha già dedicato il libro La scuola sospesa.

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Info Libro:
Casa editrice: Salerno Editrice
Collana: Astrolabio, 25
Pagine: 80
Volumi: 1
Misure: 21 x 15 in brossura
In libreria dal 07/11/2019
ISBN: 978-88-6973-435-9

Pop Surrealism: Interview with Brandi Milne

Questo articolo è apparso sul Magazine Wall Street International, Ne pubblichiamo un breve estratto. 


Strongly influenced by the cartoonish world and music, Brandi Milne has experienced a constant artistic evolution throughout her entire career, developing an accurate and unmistakable signature style. Disney, Gumby and Pokey, vintage decorations, the music of Elton John and the writings from Jack Kerouac are only a few of her sources of inspiration. Her colour palette is recognisable by the bold choice of pink, red, green, and intense blue, and her perfectly balanced brushes sometimes seem to deconstruct the otherwise well defined contours of the characters, both physically and spiritually. 

I have recently had the opportunity to speak with Brandi about her art and the inspirations.







Singolare Femminile di Nicoletta Polla-Mattiot: donne ridotte al silenzio che tornano a parlare

25 novembre 1960. A Santo Domingo vengono brutalmente uccise e gettate in un dirupo tre sorelle attiviste del Movimento 14 giugno, Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal. Quell'episodio segnerà la nascita di una ulteriore rivolta dal basso, già violentemente osteggiata dalla politica di Trujillo. 
In Francia il movimento femminista, all'indomani del Maggio francese, segnerà l'inizio di una contestazione che coinvolgerà tutti gli strati della società francese a partire dalla politica per arrivare all'arte e alla critica letteraria diramandosi anche in altri Stati europei. 
Il 25 novembre del 1981 ci fu il primo Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e caraibiche in ricordo e onore delle tre sorelle Mirabal. 
Da quel momento in poi, il 25 novembre è la data simbolo della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e nel 1999 è stata istituzionalizzata anche dall’Onu con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre. 

Eppure qualche cenno storico sembra non bastare a scalfire i troppi silenzi che continuano ad offuscare la violenza fisica e psicologica sulla donna. È compito della scrittura rompere questi silenzi raccontando le storie e facendo chiarezza. 
Il silenzio di molte, troppe donne non fa altro che amplificare il silenzio della collettività, spesso assente, non in ascolto. Se il silenzio diventa l'unica voce in campo, il rischio è quello di consentire, legalizzare e permettere l'oltraggio. 
Laddove la parola inciampa in quelle che Patrizia Romito definisce le facili interpretazioni in termini di follia e passione, il rischio continua ad essere la legittimazione delle violenze. 



È in questo contesto che si inserisce il libro di Nicoletta Polla-Mattiot, Singolare femminile. Perché le donne devono fare silenzio (Mimesis Edizioni). Un viaggio nel tacere femminile, scelto e imposto, cercato e subito, e nelle donne che lo incarnano: eroine letterarie, personaggi reali o d’immaginazione, archetipi in cui risuona il destino comune e pur tuttavia l’esperienza singolare femminile. Tacita, Penelope, la Mite, le Sirene, Difred, Maria sono i nomi di migliaia di madri, figlie, spose, esistenze anonime ridotte al silenzio.

Un libro che vuole ridare voce alle donne.

Singolare femminile verrà presentato lunedì 25 novembre alle 19.00 allo Spazio Fornasetti di Milano durante l'incontro Un dialogo attorno al silenzio delle donne a cui prenderanno parte Nicoletta Polla-Mattiot, Raffaella Calandra e Stefano Raimondi. Seguiranno le letture di Marta Comerio. 


mercoledì 20 novembre 2019

Almost Tales in mostra alla Afnakafna Gallery di Roma

Almost Tales 
a cura di Ixie Darkonn e Luca Raffaelli
Fino al 07 dicembre 2019 
Afnakafna Gallery
via della Fontana 19-20
Roma



Un viaggio in un mondo onirico dove la fisicità sembra aver smarrito i connotati e la materialità sembra dissolversi a favore di una dimensione surreale. Almost Tales è la collettiva in mostra fino al 7 dicembre alla Afnakafna Gallery di Roma, un percorso di suggestioni, un'esposizione che mette in luce la comunanza d'intenti e i legami poetici tra differenti artisti, illustratori e fumettisti.  

Come si legge nel comunicato stampa, la “Quasi Fiaba” è in realtà una “Fiaba Ovunque” di chi crede, per chi crede. La Fiaba della nostra vita che, pagina per pagina, riempiamo con le nostre stesse mani. Oltre 60 le opere esposte dei migliori artisti di fama internazionale: Adam Oehlers, Ana Juan, Antonello Silverini, Bambi Kramer, Barbara Canepa & Anna Merli, Carita Lupattelli, Daniele Raineri, Federica Manfredi, Ivana Flores, Kristian Adam, Lelio Bonaccorso, Lucio Villani, Marta Cavicchioni, Mateo Dineen, Mauro Sgarbi, Nicoletta Ceccoli, Roger Olmos, Selena Leardini, Sergio Staino e con dr. Seuss, Patrick McDonnell, Silver.

Tra gli artisti che partecipano alla collettiva, ricordiamo la presenza in Galleria di Bambi Kramer, nella serata di mercoledì 4 dicembre. Poliedrica e inarrestabile artista romana, Bambi Kramer spazia dal restauro dei beni culturali alla laurea in psicologia clinica. Le sue opere d'arte rappresentano un percorso narrativo che affonda nell'inconscio per riemergere come flusso ininterrotto di immagini, alla maniera joyciana. Fulgide passioni oniriche che trovano la propria collocazione ora sulla tela ora sulla nuda pagina bianca. La produzione di Bambi Kramer comprende quadri, poster, libri e progetti editoriali. Le sue opere sono state esposte in gallerie internazionali e festival (Crack di Roma, Fanzinothèque di Poitiers, Ratatà di Macerata, Bilbolbul Off di Bologna, Novo Doba di Belgrado, Altcom di Malmoe, Carnaval de las Artes di Barranquilla) e al museo CentroCentro del Palacio de Cibeles a Madrid. I suoi lavori sono stati pubblicati per Einaudi Stile Libero (La rabbia), La Cinquième Couche (Metakatz), Fortepressa (Trude Rabbit, Ragdolls Parade), Le Dernier Cri, La Chienne ed altri. 

Afnakafna Gallery fino al 7 dicembre si trasformerà in un tempio in cui sarà possibile trascendere la realtà per trovare o tentare nuove strade percorribili, osservare con occhi diversi il quotidiano, la fiaba della nostra vita. 

Nicoletta Ceccoli

Roger Olmos

venerdì 15 novembre 2019

Al via TheArtChapter, la fiera del libro d’arte a Milano

TheArtChapter
a cura di Boîte Editions
Dal 15 al 17 novembre 2019
BASE Milano


Quando l’arte incontra l’editoria. Edizioni numerate a tiratura limitate, oggetti preziosi che racchiudo il sapere artistico e narrativo. Opere dentro le opere. Inizia oggi la  fiera curata da Boîte Editions e dedicata al libro d’arte che sarà ospitata, fino al 17 novembre, presso BASE Milano.

TheArtChapter è la mostra-mercato del libro d’arte nel cuore del capoluogo lombardo nello spazio dedicato alla creatività e promozione culturale, che si inserisce appieno nella cornice di BookCity Milano. 

Boîte Editions è un'associazione culturale non profit attiva sul territorio milanese che si dedica a libri d’artista a tiratura limitata e progetti curatoriali in forma editoriale.

Gli editori che prendono parte alla manifestazione sono stati selezionati in ambito nazionale e internazionale. E' consultabile sul sito dedicato alla manifestazione TheArtChapter l'elenco completo e aggiornato.

TheArtChapter: il programma 


Venerdì 17 ore 18.00
Il libro come opera d’arte: tradizione e innovazione
incontro con Federica Boragina e Giulia Brivio (Boîte) e Jan Steinbach (Edcat.net)

Sabato 18 ore 11.30 
Chiara Pergola presenta Atto Unico

Sabato 18 ore 17.00 
Editrice Quinlan 
Liuba, Performance objects
Book signing con l’artista e introduzione di Luca Panaro

Sabato 18 ore 17.30 – Cesura Publish
Marco Valli & Anna Adamo, Bakeca

Sabato 18 ore 18.00 
Editrice Quinlan 
Angelo Pietro Desole, La fotografia industriale in Italia

Sabato 18 ore 18.45 
Editrice Quinlan 
Roberto Maggiori, Nino Migliori. Settant’anni di fotografia e arti visive

Domenica 19 ore 15.00
Cesura Publish 
Luca Baioni, Demons from the old black, serpents and silence

Domenica 19 ore 17.00 Editrice Quinlan 
Daniele Lisi e Ilaria Montanari di Silverbook Produzioni presentano Oltre i luoghi

Domenica 19 ore 18.00 Editrice Quinlan 
Sabino Maria Frassà presenta Sul confine, on the edge

Domenica 19 ore 19.00 Traslochi emotivi 
Traslochi Emotivi presenta PAGe (numero 12 creato con Noa Shiff)

Informazioni

Opening venerdì 17 ore 18.00
Venerdì 17: 18.00-21.00 
Sabato 18: 10.30- 21.00 
Domenica 19: 10.30- 20.00
Ingresso libero

BookCity Milano 2019: le iniziative da non perdere per questa edizione

BOOKCITY MILANO 2019 
Dal 13 al 17 novembre 2019
Milano


E' partita la festa partecipata dei libri, degli autori, dei lettori e dell'editoria. L’ottava edizione di BOOKCITY MILANO, manifestazione dedicata al libro, alla lettura e dislocata in diversi spazi della città metropolitana, che fin dalla prima edizione ha registrato una straordinaria partecipazione di pubblico, è promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e dall'Associazione BOOKCITY MILANO, costituita da Fondazione Corriere della Sera, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondazione Umberto e Elisabetta Mauri e Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. BookCity Milano è sostenuto da Intesa Sanpaolo (main partner), da Esselunga (premium partner), da Fondazione Cariplo e da Regione Lombardia. Partecipano inoltre SEA – Società Esercizi Aeroportuali, Borsa Italiana, Treccani Cultura, ATM, Burgo Group, Enel, Pirelli, Federazione Carta e Grafica, Fondazione AEM, Gruppo San Donato, Arclinea, V-Zug, Volvo, Flou, Lavazza Flagship Store, Intesa Sanpaolo Assicura, Rotolito, Messaggerie Libri, Action Aid (Charity partner), Bird&Bird, Campari. 

BookCity Milano è realizzato sotto gli auspici del Centro per il Libro e la Lettura, in collaborazione con AIE (Associazione Italiana Editori), AIB (Associazione Italiana Biblioteche), ALI (Associazione Librai Italiani) e LIM (Librerie Indipendenti Milano). BOOKCITY MILANO coinvolge l’intera filiera del libro: editori grandi e piccoli, librai, bibliotecari, autori, traduttori, grafici, illustratori, blogger, studenti, professori, lettori occasionali o forti, di ogni età, così come chi alla lettura è stato sinora estraneo. 

La manifestazione conferma il suo carattere di manifestazione aperta, diffusa, inclusiva, presente in tutto il territorio urbano e metropolitano, largamente partecipata. Confermata la presenza di più di 3000 autori in più di 1500 eventi gratuiti, più di 1400 classi di scuole, 400 volontari e 250 sedi. Oltre al Castello Sforzesco, che rimane il cuore di tutti gli eventi, teatri, musei, scuole, università, palazzi storici, librerie, circoli e associazioni culturali, carceri e ospedali, spazi pubblici ma anche case private e negozi, nei diversi quartieri della città, ospiteranno incontri, dialoghi, spettacoli, mostre, eventi le cui caratteristiche sono affidate alle scelte di chi ospita ed è ospitato. 

BookCity Milano ha avuto inizio in libreria, l’8 novembre: le librerie milanesi hanno anticipato l’inizio di #BCM19 con una serie di eventi e incontri con l’autore, dove i librai sono stati chiamati a raccontare il programma della manifestazione e hanno dato consigli insoliti e “personalizzati” per navigare il ricco programma di #BCM19.

Ad inaugurare BookCity Milano è stato lo spettacolo del 13 novembre, presso il Teatro Dal Verme, dal titolo “Convivenze” con Fernando Aramburu, Paolo Giordano, Michela Marzano, Simone Savogin, condotto da Marino Sinibaldi. Ha fatto seguito Michela Marzano con un intervento sul tema delle convivenze e i versi di Simone Savogin. 

Domenica 17 Novembre presso il Teatro Dell’Arte “Goethe/Schubert/Beethoven. Parole e Musica” concerto de LaFil – Filarmonica di Milano dirige Marco Seco - letture di Anna Nogara. Alla nuova orchestra filarmonica di Milano il compito di chiudere il programma di #BCM19. Diretta da Marco Seco, eseguirà tre Lieder di Schubert orchestrati da diversi musicisti e la Sinfonia n.2 di L.V. Beethoven. Ad arricchire il concerto, l’attrice Anna Nogara leggerà brani di “Un concerto di 120 professori” tratto dall’Adalgisa di Carlo Emilio Gadda e la traduzione in italiano dei testi prima dell’esecuzione di ogni Lieder. 

A caratterizzare #BCM2019 è in primo luogo la ricca e autorevole presenza di autori stranieri, a cominciare dai due Premi Nobel, Wole Soyinka (per il focus Afriche) e Svjatlana Aleksievič (per l’undicesima Conferenza Mondiale Science for Peace). In questi giorni si possono ascoltare, tra gli altri, anche André Aciman, Jaynie Anderson, Amitav Gohsh, Eric Ghysels, Robert Harris, Rob Iliffe, Xia Jia, Pierre Jourde, Etdgar Keret, Gilles Kepel, Mirt Komel, Amin Maalouf (che riceverà la Rosa d'Autunno della Milanesiana), Katherine Mengardon, Sam J. Miller, Hans Modrow, Bart Moeyaert, Cees Nooteboom, Anne Ørstatvik, Dieter Schickling, Helga Schneider, Slobodan Šnajder, Patrick Svensson, Stuart Turton, Tim Weaver. 

Grande attenzione dalla stampa europea ha già suscitato il Friendship Tour, che celebrerà la prima tappa proprio a Milano (prima di toccare Madrid, Berlino e Parigi), con quattro grandi autori britannici come Lee Child, Ken Follett, Kate Mosse e Jojo Moyes che discutono la Brexit. 

Il Focus Afriche conferma la vocazione internazionale della manifestazione. Per la prima volta, BookCity presenta un focus tematico, dedicato alle Afriche, con oltre 100 eventi (concentrati soprattutto all'ISPI, in collaborazione con il festival Pistoia-Dialoghi sull'uomo, al MUDEC, a Casa Emergency e a Cascina Casottello). La scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie riceverà il Premio Speciale Afriche, a testimonianza della stima che BookCity nutre per la sua opera. Accanto a lei e a Wole Soyinka, ci saranno tra gli altri Djamila Amzan e Ali Bécheur Mohammed Bennis, Youssef Fadel, Abderrahmane Krimat, Léonora Miano. 

Dopo il gemellaggio con Dublino celebrato lo scorso anno, prosegue il percorso di Milano UNESCO Creative City per la Letteratura: città ospite quest'anno è Barcellona, la cui scena letteraria ed editoriale sarà rappresentata da Valeria Bergalli, Josep Maria Esquirol, Ildefonso Falcones, Marina Garcés, Jorge Herralde, Eduardo Mendoza, Tina Vallés, Carlos Zanón. In collaborazione con Istituto Cervantes e Vueling. 


Gli appuntamenti di BookCity Milano sono ad ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, salvo dove diversamente indicato. Il programma è consultabile sul sito www.bookcitymilano.it
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giovedì 14 novembre 2019

Questo matrimonio non s'ha da fare - Crisi di famiglia e genitorialità: dialoghi con Mattia Morretta

«Dalla cenere io rinvengo
Con le mie rosse chiome
E mangio uomini come aria di vento.»
Lady Lazarus e altre poesie (Mondadori, 1998), trad. it. G. Giudici

Una voce autentica, poetica e profonda che attraversa lo spazio e il tempo: pochi versi magnetici che incantano e ammaliano, che attingono alla materia inafferrabile dell'Uomo. Eppure la Plath ci prova, sonda l'inesplorabile, si spinge oltre i confini. La forza della sua comunicazione ci inchioda alla pagina. La stessa forza evocativa, la stessa capacità di metterci con le spalle al muro, la ritroviamo nell'ultimo libro di Mattia Morretta, Questo matrimonio non s'ha da fare - Crisi di famiglia e genitorialità, (Gruppo editoriale Viator) che ci riconsegna una più profonda significazione di amore, di genitorialità, di matrimonio, di coppia e di famiglia. E lo fa con una tenacia comunicativa che travolge e coinvolge, trasformando il lettore in un soggetto attivo.


Ho avuto il piacere di intervistare l'autore, addentrandomi nei temi trattati nel libro.

Partiamo dal tema dei matrimoni per interesse che stanno alla base di quella che lei chiama, nel primo capitolo, "la strategia diplomatica" dei letti combinati che ha raggiunto l'apice nel XVI secolo. Usi e costumi della società che si riflettono nell'arte. "L'apoteosi artistica del tema" è rappresentata da La Camera degli Sposi del Mantegna nel Palazzo Ducale di Mantova. La storia ci insegna che poco è cambiato: lei stesso nel primo capitolo fa un interessante excursus antropologico e sociologico sulle dinamiche matrimoniali che non sempre percorrono gli stessi binari delle emozioni. Se oggi non assistiamo, con la frequenza di un tempo, ai matrimoni combinati, assistiamo ugualmente a delle unioni che sono ben lontane dall'aver sancito il Sogno d'Amore. Cambiano i tempi, restano i vincoli. Ma non sono proprio questi vincoli che portano a quell'inevitabile infelicità di cui parla Buzzati ne Le notti difficili? La stessa infelicità che, nel contemporaneo, viene riempita solo in apparenza dal rumore della comunità social? Che cosa resta, dunque, dopo aver chiuso gli occhi, "fingendo di non vedere/non sapere" per consolidare e salvaguardare il matrimonio?

“Ti vedo meglio al buio / l’amore è un prisma che supera il violetto”, scrive Emily Dickinson nel suo consueto stile obliquo. Reale e immaginario sono dimensioni del vivere che non vanno mai confuse e fatte coincidere, farsi guidare dai sogni a occhi aperti nella veglia produce sovente molti danni a differenza di quelli a occhi chiusi durante il sonno. Nel libro rilevo che l’epoca romantica ha cantato l’amore appassionato quale emblema di emancipazione dalle ipocrisie e convenzioni, tanto che sino a metà del Novecento gli amanti erano testimoni dei sentimenti non piegati alle logiche istituzionali ed economiche, in contrasto con l’addomesticamento borghese dei sentimenti teso a conservare l’ordine costituito e i patrimoni. Le figure tipiche del romanticismo (Romeo e Giulietta, Paolo e Francesca, i moderni protagonisti di Titanic) immortalano amori tra giovani o giovanissimi, contrastati dal prossimo (il che rafforza la tensione unitiva) e brevi, la morte giunge propizia nel momento del culmine dell’intesa fusionale. Tutta un’altra storia la durata, la quotidianità, il “per sempre”, che parla di un’affettività calmierata e ammaestrata (Penelope non è emblema di amore, bensì di fedeltà). Mrs Giles Oliver, nell’ultimo romanzo di Virginia Woolf Tra un atto e l’altro, rimasto allo stadio di manoscritto, pettinandosi al mattino nella camera matrimoniale vede nella specchiera nel proprio sguardo il riflesso dell’innamoramento per un uomo col quale si è incontrata due o tre volte: “l’amore segreto era negli occhi, l’amore esposto sulla toeletta”, tra le scatole d’argento, la spazzola per capelli, gli spazzolini che richiamano l’affetto per il padre dei suoi figli, “scivolando nel cliché comodamente servito dai romanzi”. 
Ciò che in un dato contesto storico aveva valenza liberatoria e persino civile (per una minoranza di forti o l’élite intellettuale), nella attuale massificazione è un falso ideologico, quando non un onirismo che sfocia nell’incubo. Dico, infatti, che “love è diventato uno psicofarmaco da banco auto-somministrato, una droga o un cordiale a basso prezzo, per le masse di piccoli e grandi consumatori che si accontentano di acquistarne confezioni usa e getta”. Così tante mani sul petto e cuoricini ovunque, tanto amore dichiarato e sbandierato sugli schermi sociali, e così poca affettività nelle interazioni minute e nei luoghi di aggregazione. Ecco perché invito a sorvolare l’area del disastro per rendersi conto dello sfaldamento dei nuclei famigliari, le cause giudiziarie onerose e traumatizzanti, i legami patologici e criminali, il mercato dell’infanzia, e via elencando i sintomi di ciò che è definito in termini sociologici “collasso sociale”
Per inciso, il reato di induzione al matrimonio ovviamente riguarda le giovani di altre etnie e religioni costrette a sposarsi, visto che per noi la forzatura e la pressione a sistemare la faccenda sono venute meno, almeno sui grandi numeri e nelle forme note sino a qualche decennio fa. Non si fa abbastanza attenzione al fatto che la libertà nella sfera amorosa comporta degli oneri, non è puro sollievo da imposizioni esterne. Se si è liberi di far di testa propria, non si può accusare nessuno degli sbagli e dei fallimenti relazionali, l’intera colpa grava sui singoli e li schiaccia, tanto che in caso di compromissione o conflittualità si tende a proseguire a testa bassa per vergogna e disperazione, fomentando l’infelicità e la morbosità (chi è causa del suo mal pianga se stesso, se l’è voluta). Una volta si sopportavano frustrazioni domestiche per gli altri o per altro (religione, tradizioni culturali, funzioni da espletare, figli minori, quieto vivere, interessi finanziari), perciò si reggeva di più e ci si poteva ritagliare una parte di identità separata (non sono proprio io, non sono interamente dentro il ruolo). Ora siamo noi origine e causa della qualità dei rapporti, una responsabilità pesante che i più non sanno e non possono assumere proficuamente. Per questo sostengo che nei secoli precedenti si era accuratamente cercato di scongiurare la privatizzazione dei legami e la loro autoreferenzialità. I vincoli istituzionali costituivano il debito verso la collettività, un’operazione di rappresentanza che consentiva spazi e tempi di trasgressione, le maschere si potevano togliere anche se per poco, oppure accettando di incorrere nella riprovazione e nella condanna, quindi si realizzava una selezione dei caratteri più determinati e/o delle passioni più intense. 
Ora ci resta solo il rimpianto degli affetti semplici, non sofisticati e non commerciabili dell’era precedente al consumismo e all’edonismo di massa, il fare l’amore in una dimensione davvero privata, un’intimità che consentiva di sentirsi in comunicazione a dispetto dei dazi del mondo, un piacere stra-ordinario (non ordinario) e un sentimento “vero” (atteso e vissuto per tale) cui abbandonarsi con fiducia. Naturalezza e privatezza sono definitivamente archiviate, il “voler bene” personalizzato è impossibile (un bene perduto), la favola bella che ieri ci illuse. Quando è normativo godere e patire in modi definiti e prescritti si ha inversione del processo ed espropriazione di immaginazione, agibilità, soddisfazione intime. 

Nel secondo capitolo lei associa il matrimonio ad un'azienda tanto che, cito, "il matrimonio necessita di una mentalità imprenditoriale (...) nella quale sesso e sentimento sono risorse tra le altre e non le principali". E' una frase molto forte, che pone l'accento su qualcosa che, solitamente, si cerca o si tenta di non vedere. Eppure non sembra essere così distante da quanto affermava Jean Claude Kaufmann: "L’amore è l’esatto contrario della scelta. Rappresenta il rifiuto di valutazioni di tipo scientifico, il rifiuto di guardare in faccia la realtà per poter vedere soltanto il lato positivo delle cose". Come si sposa questa affermazione di Kaufmann con il suo pensiero?

È soprattutto in gioventù che si è “afferrati” dalla passione amorosa, poiché ciascuno deve versare un tributo all’Eros, in quantità differenti in base a sensibilità, temperamento, dotazione costituzionale, “il peccato d’amore” che norme religiose e civili tentavano in passato di prevenire o subito riparare. Perché c’è un cuore che ha ragione e che controbilancia il pensiero logico, e un cuore che porta fuori strada o da nessuna parte, vincolando a “padroni” e “autorità”, in base allo schema parentale per cui i ruoli sono, anche contemporaneamente o alternativamente, quelli del grande che manipola e controlla o il piccolo che si affida e dipende. Su un piatto della bilancia l’amore è ostacolo a occupazioni utili e rimpicciolimento dei pensieri (amore indegno), sull’altro piatto sprone e conforto a ben operare (amore degno che innalza, migliora e addolcisce). “La parola amore esiste” era il titolo di un film di successo degli anni Novanta del secolo scorso, il che va inteso alla lettera ed invece è di solito frainteso dando per scontato che sia l’amore a esistere. Sono il vocabolo e il linguaggio amoroso ad avere effetto e attivare l’infatuazione e la credulità, il vero e proprio incantesimo (significato di carmen). Chi crede nell’amore si sente bene emotivamente (per attivazione chimica di dati centri nervosi) e pure migliore (nobile o puro), ignorando la malattia, la possessione e la schiavitù, anzi vede e sente nell’amare (affezionarsi) un’espressione di libertà, un credito contro i debiti, un piacere rispetto ai doveri (casa, famiglia, lavoro, compiti sociali). Dice Ovidio che il cuore crede felice tutto ciò che spera e crede vero sempre ciò che teme. Dobbiamo aver presente che siamo pre-disposti, e non tutti in egual modo, ma non capaci di affettività o in grado di spendere beneficamente la variabile e limitata dotazione affettiva. Conta che sia in gioco un aggrappamento o un attaccamento, se il legame sia rigido o elastico. 
Lo scrittore Jan McEwan ha dato della Sindrome di de Clérambault (che prende il nome dall’autore che l’ha descritta nel 1942), frequente nelle donne, una versione al maschile nel romanzo inquietante L’amore fatale (1997), avanzando dubbi sull’esistenza di un amore “ragionevole”, non “estremo” e soprattutto “autentico”. Molti studiosi parlano di “sconfinamenti patologici dell’amore”, che si sovrappongono all’esperienza amorosa normale. D’altronde, si dichiara con compiacimento di far pazzie o morire/far morire per amore, la fantasia di commettere un “delitto d’amore”, uccidendo e poi uccidendosi è più comune di quanto si creda, e non riguarda solo i casi di cronaca nera. Quando si parla di “movente passionale” non si indica l’affettività, se mai il ri-sentimento, cioè il rovescio del sentimento, sempre compresente e con la stessa matrice impulsiva, viscerale e irrazionale. L’aveva intuito Platone che nel Fedro paragona l’anima a una biga trainata da due cavalli, uno bianco, che tende verso l’alto, e uno nero, che tira verso il basso. 
L’amore e la sessualità sono sempre almeno una imprudenza, quando non un rischio certo. Siamo indifesi di fronte agli assalti delle emozioni e dei sentimenti chiamati impropriamente “amorosi”, oggi più che mai perché nessuno ci mette in guardia. In particolare siamo vulnerabili in momenti critici e di passaggio dal punto di vista sia fisico sia psichico o morale: “Ognuno ha il cuore aperto, vedete, quando ha superato un forte dolore o sta ritrovando la salute” dice saggiamente la signora Smith dal suo letto di malattia in Persuasione di Jane Austen (1818). E con identiche parole si esprime Justinus Kerner in In der Nacht: “e d’amore / alle ferite un troppo aperto cuore” (1857). Non per nulla Emily Dickinson, sottolineando la somiglianza con la cognata Susan Gilbert nella freddezza di fronte alle galanterie maschili, diceva con orgoglio: “Penso di avere un cuore duro, di pietra”. 

Il matrimonio, dunque, come impresa famigliare a tutti gli effetti all'interno della quale la donna ha (o dovrebbe avere) un ruolo mansueto, docile e arrendevole al punto giusto, equilibrato e disponibile. La donna funge da psicofarmaco per i malesseri fisici e spirituali del marito e compagno di vita. In questo modo la donna idealizza non solo la figura del marito stesso ma anche l'idea di Amore (ecco che si inserisce la frase della Mitchell tratta da Via col vento: "Ho amato qualche cosa costruita da me"): sono queste le donne "perennemente in amore e che amano troppo cioè fanno dell'attaccamento una affezione nel senso medico". Marie-France Hirigoyen ha dedicato un lungo e dettagliato saggio alle donne che non riescono a sfuggire, per le più svariate motivazioni spesso ravvisabili nel rapporto tossico con i genitori, a matrimoni oscurati dalle molestie morali e dalle violenze perverse. Che cosa può dire al riguardo e quale peso può avere un tipo di relazione così squilibrata nella contemporaneità?

L’accoppiamento è il gran teatro del mondo, un vero ballo in maschera, perché gli uomini civilizzati sono in sostanza animali in costume. Le sceneggiate familistiche dei politici del Nord-America durante le campagne elettorali sono un libro aperto, sul palcoscenico i vincitori con moglie e figli al seguito per sottolineare solidità e normalità dell’esistenza personale, finché non vengono a galla le macchie e le nefandezze umane troppo umane. Il sistema di manipolazione del consenso soddisfa la domanda di illusioni amorose a buon mercato con prodotti approssimativi ed evocativi, effetti speciali, fiere e industria del giorno più bello, mentre prima e dopo devono intervenire enti pubblici, organizzazioni non governative, forze dell’ordine per tenere insieme le coppiette crepate irreparabilmente come anfore d’argilla, oppure avvocati, terapeuti ed esperti a vario titolo per tentare di rammendare una tela strappata e consunta, troppo sottile e delicata, che i più credono nuova e candida. Dietro le quinte arrancano e incattiviscono le famigliole care alla pubblicità dei centri commerciali e dei grandi marchi, i quali spalancano le porte a tutte le stravaganze dei consumatori (basta che comprino). Tutto ciò che viene definito “sociale” consiste in interventi istituzionali e privati, laici e confessionali, per contenere, correggere, tamponare, ridurre i danni provocati dalle rovine delle unioni posticce e campate per aria, che non solo non costituiscono cellule sociali ma finiscono per rivelarsi mine disintegrative per la collettività. 
Le attuali “truffe affettive” (di cui emblematicamente è arrivata a occuparsi una trasmissione come Chi l’ha visto?), gestite da organizzazioni criminali internazionali (con falsi profili e foto rubate), coinvolgono legioni di signore di tutte le età e i ceti, libere e coniugate, analfabete e laureate, delle cui debolezze e del cui infantilismo da primo mondo se la ridono i delinquenti senza scrupoli del terzo mondo. E ognuna confessa e conferma di viversi come oggetto di desiderio e d’amore, innamorandosi di chi le regge davanti lo specchio facendola “sentire donna”, cioè valorizzando la sua femminilità (il lato femminile), chiunque o quasi dica di amarla (a parole e con gesti, poesie e fiori) e magari di volerla sposare. A dispetto delle apparenze e delle trasformazioni, le vesti contemporanee coprono fenomeni tuttora diffusi e mentalità che resistono alla cosiddetta evoluzione dei costumi. Nella sfera amorosa siamo di fatto tra l’incudine del programma istintuale e della biologia e il martello del condizionamento sociale. Un classico cliché vede la donna disponibile ad assecondare qualcuno per affetto, a sacrificare tutto o quasi per l’uomo cui si vota, soprassedendo sulla reciprocità e la qualità del rapporto. Le catene, si potrebbe dire, sono nel cuore, del resto si paragona spesso l’amore a una lama o un dardo nel petto. “Mai seppe la donna / guardarsi dalle fiamme e dalle crude / frecce d’amore. Nuoce meno all’uomo / l’arma del dio”, scrive Ovidio nel Libro terzo de L’arte di amare. La misura della vicinanza è quanto male fa o si sente, dice a sua volta Marina Cvetaeva. Non va trascurato il piacere sensibile, cioè il sentirsi infelici, che fa perdere di vista il fatto di esserlo. La schiavitù è più ambita della libertà, anche perché consente di credersi piene o mosse dalla bontà per sopportare tanto. Inoltre, far comandare e addirittura spadroneggiare l’uomo è un modo subdolo di sentirsene ed esserne nascostamente “padrona”, come la mamma col bambino tiranno. In senso lato e tendenzialmente la donna è pietosa, l’uomo spietato, come un animale nella predazione. La femmina deve aguzzare l’ingegno per sopravvivere in società e incamerare qualche vantaggio (a cominciare dalla procreazione), rispondendo alle richieste dirette e indirette per avere un ruolo, sentirsi riconosciuta e utile (utilizzabile), sapendo bene di non poter contare sulla corrispondenza di investimento e interesse alla relazione, e neppure a dire il vero sull’attrattiva sessuale. 

Come si traduce, nella sessualità, un tipo di coppia come quello appena menzionato, dove la donna è "psicofarmaco" e il maschio una specie di superuomo che si sente legittimato nel manipolare e dominare la moglie? 

In verità è lei la superdonna (wonder woman), mentre lui è un maschio immaturo, debole, dipendente dalla madre proiettata sulla compagna factotum e totipotente. Molti maschi sono meschini e talora minuscoli, ma ci sono anche tante donnette e piccole donne che non crescono, legioni di esserini senza qualità e spessore. Gli uomini sono sempre stati, presi singolarmente, sesso debole, potendo fungere da rappresentanti del sesso forte grazie all’unitarietà del campo maschile (l’unione che fa la forza), cioè contando sul supporto dei “camerati”, nonché sul silenzioso contributo del “gentil sesso”, disposto ad assecondare e tener su il capofamiglia e il tenutario del comando sociale. Da tempo, esautorati di ruoli su misura, privati di gratifiche virili, di luoghi di iniziazione e ricreazione esclusivi, di apparati e strumenti collettivi di sostegno e cura dell’identità maschile, essi si ritrovano impoveriti, femminilizzati, deficitari, isolati, messi all’indice e all’angolo, con l’unica possibile rivalsa della reazione violenta alle frustrazioni ingravescenti. In particolare, se la donna fatica a staccarsi dai cuccioli e dal nido, l’uomo non sa “perdere”, essendo portato a credere di poter o dover vincere; infatti nelle separazioni subìte la violenza è legata più al vissuto di perdita/sconfitta cui si è costretti che non al venir meno dell’oggetto di attaccamento, oltre al fatto che di solito la donna è terreno coloniale nel quale il maschio esporta la sua femminilità. Per reagire all’abbattimento lui può abbattere se stesso, dandosi il colpo di grazia, oppure eliminare colei che causa il vissuto di mortificazione e femminilizzazione (infantilizzazione e dipendenza). Non va sottaciuto che il cosiddetto gentil sesso fa sovente cattivo uso dei diritti acquisiti sugli “amanti” già nel copione romantico, il che facilita il rovesciamento e il sottosopra vendicativo da parte dell’uomo. Del resto, Oscar Wilde ha espresso in versi l’elemento ambivalente connaturato all’attrazione passionale ne La Ballata del carcere di Reading (1897), prendendo spunto proprio da un caso di cronaca dell’epoca, l’assassinio della giovane amante da parte di un militare: 

“Eppure ogni uomo uccide la cosa che ama, / Che questo lo sentano tutti: / Chi lo fa con uno sguardo amaro / E chi con una lusinga, / Il codardo lo fa con un bacio, / Il coraggioso con la spada! 
Chi uccide il suo amore da giovane, / E chi lo uccide da vecchio; / Chi lo strangola con le mani della lussuria, / Chi con le mani dell’oro: / I più pietosi usano un coltello, perché / I morti si freddano così presto”.

C'è da dire che sono proprio questi maschi ad essere l'anello debole della coppia: "maschi che hanno debilità strutturali a livello emotivo, mentale o sessuale" e che trovano nella donna l'ancora di salvezza, "la crocerossina-affidataria". Quando viene meno il porto sicuro rappresentato dalla donna, il rapporto può degenerare in atti di vera e propria violenza. Si può parlare, in questi casi, di femminicidio?

Il maltrattamento, l’abuso e la violenza nelle coppie e nelle famiglie sono paragonabili al fuoco amico, finisce per nuocere chi si continuava a reputare dalla stessa parte e invece era e si rivela controparte. In molti suoi racconti Alessandro Spina, evidenziando i due livelli del quotidiano e dell’immaginario, mostra che il viraggio verso la tragedia è latente nei legami sentimentali e che i protagonisti si temono l’un l’altro, rimangono costantemente sulla corda. 
Nelle lunghe storie a due, accorpandosi in modo continuativo il possesso diviene presto l’elemento principale, avere ascendente sull’altro e/o subirlo, volentieri o malvolentieri; del resto, ci si mette con chi esercita più “attrazione” su di noi o subisce di più la nostra. Poter esercitare dominio e controllo sulla compagna è per molti uomini più importante del rapporto e finanche dell’atto sessuale, anzi la gerarchia è l’unico motivo del vincolo, perché la donna in sé e per sé non interessa abbastanza e il maschio è avvezzo al modello gerarchico in qualsiasi ambito. La scimmia umana di genere maschile è psicologicamente stimolata e gratificata dall’imposizione sull’oggetto con linguaggio gestuale e sessuale, con sfumature di reificazione che possono esitare nella violenza carnale e della punizione corporale. Lady Ottoline Morrell un secolo faceva nel merito considerazioni interessanti: “Gli uomini vogliono essere sempre padroni delle donne che amano”, tanto è vero che “si può essere la loro compagna, ma non il loro soggetto” (I ricordi di una signora meravigliosa, Seconda parte, VIII). E George Eliot ancor prima notava il secolare vantaggio socio-culturale del sesso forte, la sicurezza per i maschi anche con poco cervello e consistenza di appartenere a una classe superiore, perché “una Provvidenza benevola fornisce alla personalità più fiacca un po’ di gomma o di amido, sotto forma di tradizione” (Middlemarch, Capitolo II). L’uomo si aspetta di essere ammirato e temuto, la donna di essere desiderata e rispettata o tutelata. 
I femminicidi all’ordine del giorno da parte di fidanzati, compagni, mariti, riflettono l’aumento esponenziale della conflittualità etero-sessuale persistente e basilare nella vita di tutti i giorni, una bellicosità esplicita e non dissimulata o mitigata da convenzioni, convenienze, ragioni di opportunità. È più facile aggredire o “far fuori” la moglie-compagna quando è vissuta soltanto come una donna qualsiasi, anzi un “partner” (al maschile) col quale si condivide un territorio angusto e isolato, e non rappresenta quindi l’Altro sesso (la Donna con la d maiuscola), con il quale è necessario conservare un rapporto paritetico perché conviene anche al “primo” sesso e non si può “sopprimere” neanche volendo. Essendo rapporti a tu per tu, senza garanzie fornite dalla formalità del vincolo tradizionale e dalla compartecipazione altrui, è più facile lo scivolamento sul terreno dello scontro diretto e impari; l’eventuale presenza di figli non costituisce deterrente, anzi, aumenta gli obiettivi nel mirino, non c’è effettiva triangolazione edipica e prospettiva di accesso alla civiltà tramite microsocietà famigliare. La repressione volontaria della reazione maschile per la manifesta inferiorità fisica femminile è minore perché l’uomo non è e non si sente una colonna portante della comunità e poco può il monito retorico istituzionale o giornalistico (“prima le donne e i bambini”). Adesso la donna ha più potere di manifestare dissenso, reagire, parlare senza essere interrogata, rispondere, non sopporta più in completo silenzio, contrattacca e pone condizioni, supportata però soltanto dalla Legge o dalle belle intenzioni politiche delle “pari opportunità”, pubblicità senza progresso e trasmissioni televisive dedicate al cattivo gusto o al gusto della carne fatta a pezzi. Non c’è da farsi illusioni, un nuovo contratto sociale e un consapevole equilibrio tra i due sessi dovrebbe figurare ai primi posti dell’agenda politica e culturale, specie di un Paese come il nostro caratterizzato dall’analfabetismo sessuale. 

Lei afferma che "quando si è insieme da tempo e si sono generati dei figli, a maggior ragione nella piena maturità, il funzionamento coitale macchinale è un assurdo biopsichico perché non ha motivazione intrinseca". Dobbiamo quindi rassegnarci alla finitudine umana? 

Rassegnazione è un termine a più valenze, sul piano sociale può implicare adeguamento passivo, su quello psicologico adattamento attivo a situazioni inevitabili producendo cambiamenti evolutivi. 
Nella modernità la sessualità di coppia è stata esaltata, la soddisfazione erotica dei partner è diventata una meta e addirittura un obbligo, un dover essere anche salutistico, sino alla terza e quarta età. L’idea di fondo è che il sesso faccia bene, unisca, porti conciliazione, spenga attriti, benché spesso stia al posto della conoscenza, lasci estranei come e più di prima, quando non è una lingua morta che nessun corso accelerato sul punto G o pillola blu può far tornare a parlare. A dispetto delle illusioni circa quel che io chiamo l’addolcimento del pene, supposto nel modello che vede l’interazione sessuale quale panacea o alternativa alla battaglia, non è affatto vero che siano migliorati gli scambi etero-sessuali, come dimostra la frequenza di risoluzione brutale e da giungla dei contrasti tra maschio e femmina troppo adesi visceralmente e dediti all’atletismo erotico. Sicché, non resta che l’inasprimento delle pene per via giudiziaria e carceraria. Quando i partner sono aggrovigliati in maniera indistricabile, tirando un capo si stringe il nodo e si strangola la personalità di entrambi, con effetti differenti a seconda che si tratti di catene, corda, elastico, filo di seta o di cotone. La concentrazione di tutte le esigenze nella coppia o duetto (due più tre), si produce desertificazione civica e indifferenza generalizzata, ma la stessa coppia risulta sovraccarica di aspettative e obblighi, una bomba a orologeria. Se si pretende di avere tutto sotto lo stesso tetto, senza più appoggi sostanziali dall’esterno, interlocutori validi nella rete interpersonale, collaborazioni alla soluzione di problemi (gli altri pensano “fatti loro”), lievitano la frustrazione e l’aggressività, non rimane che rivalersi sui compagni di cattività.
Voglio ribadire che le relazioni oggettuali stabili di cui parla(va) la psicoanalisi non coincidono con i vincoli a due, è all’interno del soggetto che si struttura una attitudine a riparare e salvare i rapporti interpersonali accettando i limiti. Ecco perché valorizzo la solitudine autonoma, evidenziando il ruolo delle persone sole che danno un grande contributo alla collettività (anzitutto portando interamente il peso della loro vita). Sono i legami deboli (amicali e solidaristici) a sostenere le persone e a consentire loro di reggere i legami forti (parenti “stretti”), nonché a tenere in piedi la comunità. Preferire la fiducia al contratto, come scrive Emily Dickinson in un messaggio alla cognata Susan Gilbert, significa valorizzare sia l’incertezza e la fluidità sia la volontarietà e il rispetto di continuo aggiornati con spirito critico, le amicizie infatti si coltivano, come fiori e piante. Solo tra consanguinei i sentimenti non mutano di segno, restando immutabili pur nell’incomprensione e incomunicabilità, si vuol bene o si odia fin da piccoli il fratello o la sorella senza tener conto del loro sviluppo ulteriore.

Genitori si nasce o si diventa? Dispendio di energie psichiche ed emotive: la genitorialità è un concetto e una condizione che sfugge a molte persone anche (e soprattutto) a coloro che sono genitori. Genitori etero, omo, bisessuali, genitori adottivi, biologici... ci si perde in una terminologia infinita dimenticandoci, spesso, dei bambini destinandoli, pertanto, all'infelicità e all'instabilità. Come tutelare i bambini e insegnare al genitore ad assumere il ruolo di guida emotiva e carismatica? 

Nel mio saggio consiglio agli aspiranti e ai sedicenti genitori la lettura del romanzo Il quinto figlio (1988) di Doris Lessing, perché la presunzione di essere felici riproducendosi e facendo della famiglia un regno onnipotente è una sfida orgogliosa alla sorte che genera mostri e diffonde più male che bene. Tengo a rilevare che la polemica sulla “gestazione per altri” e le adozioni omosessuali confondono le acque perché di fatto la loro criticità è nella natura egoistica, cioè bambini fatti solo per sé stessi e basta, mentre i figli si mettono al mondo per la specie (natura) e per la comunità (società e cultura). Per questo le politiche per la natalità e la famiglia (servizi, sussidi, assegni, asili nido, congedi parentali) non sortiscono effetti sostanziali, essendo rivolti alle singole coppiette isolate in cellette insonorizzate. Tutte le creature e creazioni (d’arte, cultura, opere materiali e immateriali) sono prodotte per l’umanità, intendendo gli esseri umani che compartecipano la vita, più i posteri che i contemporanei. E questo perché si muore, cioè si è consapevoli della mortalità, e ci si proietta nell’immortalità, non a caso nell’Eneide l’ombra di Anchise nell’Averno rivela a Enea che insieme alle anime dei morti si trovano anche quelle dei futuri nati. Quando si fa un figlio per qualcuno (se stessi, la mamma o il papà, altri in particolare) e non per qualcosa (una meta, una causa, un ideale, l’avvenire, la terra e il cielo, gli dei e Dio), lo si condanna alla contingenza e alla psicopatologia.  
I genitori non devono ritenersi né “creatori” (come ricordava Montessori) né generatori, meglio viversi come veicoli, mezzi di trasporto, che è il nocciolo simbolico dell’idea dei bambini portati dalla cicogna. Nel capitolo intitolato L’asse ereditario umano sottolineo che l’identificazione piena nel ruolo materno o paterno è prioritaria nelle fasi che precedono e seguono la nascita di un figlio, oppure l’adozione e l’affido; in seguito dovrebbe gradualmente diventare parziale e secondaria., dando libertà e accettando che i discendenti seguano la loro strada indipendente. I figli possono ben degenerare, risultare peggiori dei genitori e rivelarsi la loro rovina, anzitutto esprimendo componenti recessive negative o slatentizzando patologie. 
Ai giorni nostri constatiamo quanti danni produca sui minori la mancanza di coesione e collaborazione della società di adulti, ragazzi che si sentono orfani e arrabbiati perché abbandonati a se stessi e alle loro furie interiori (baby gang, pornografia sui dispositivi elettronici già a dieci anni, droghe di ogni tipo appena possibile). Ci sono genitori che non pensano mai al bene a venire dei loro figli, non fungono da contenitore mentale dei processi evolutivi. Certo, è sempre stato così sui grandi numeri, ma un tempo ci pensavano altri soggetti, esisteva un pensiero condiviso (in un contenitore complessivo), perché nessuna mamma e nessun papà, da soli, possono farcela o bastare al compito di com-prendere ed educare un esemplare di essere umano. Mai i (pochi) figli sono stati così “seguiti” e per giunta individualmente da genitori, nonni e altre figure sociali o terapeutiche, oltre che tutelati da normative (dai seggiolini omologati al casco per la bicicletta); eppure i risultati sono imbarazzanti e fanno rimpiangere l’approccio generico di una volta e gli spazi di indipendenza dei piccoli lontani dagli sguardi dei “grandi”, premessa di emancipazione e creatività. Occorre spirito critico e obbiettività, perché gridando da più di un secolo “abbasso i padri, viva i figli!” non ci si rende conto di lavorare per i demòni, come scriveva Marina Cvetaeva all’epoca della rivoluzione sovietica. Se non ci sono adulti decisi e consci della mortalità ad attendere sulle soglie della maturità i nuovi uomini, non resta loro che il vivere alla giornata e ammalarsi di solitudine. 

Per approfondimenti:

Mattia Morretta Libri
Recensione Libro Questo matrimonio non s'ha da fare

lunedì 11 novembre 2019

Le matinée letterarie: conversazione con Antonio Pascale

«La grandezza dell’arte vera era di ritrovare, di riafferrare, di farci conoscere quella realtà lontani dalla quale viviamo, rispetto alla quale deviamo sempre di più a mano a mano che prende spessore e impermeabilità la conoscenza convenzionale con cui la sostituiamo – quella realtà che rischieremmo di morire senza aver conosciuta e che è, molto semplicemente, la nostra vita». Parto dalle parole dell'ultimo libro dell'opera di Proust che sembra accogliere la premessa di Antonio Pascale alla base delle matinée letterarie che hanno avuto inizio ad ottobre presso la libreria Mondadori di via Piave, a Roma, promosse da Bianco Critico. Appropriandomi delle parole di Proust invito a dimenticare, per un momento, l'impianto narrativo e il modello di romanzo alla base di quest'opera oceanica per lasciarci travolgere dalla tensione filosofica che illumina dall'interno la pagina scritta innalzandola a un livello superiore, facendo, pertanto, scorgere quella rivelazione che pone al centro dell'opera stessa l'Uomo. Il viaggio emozionale iniziato da Proust prosegue con altri scrittori, uomini e donne che hanno saputo dare voce al proprio sentire.
E' in questo viaggio che mi sono addentrata con Antonio Pascale, il quale esorta all'ascolto degli accadimenti che, tra leggerezza e sobrietà, levità dell’esistenza e dolorosa profondità, conferiscono al quotidiano sfumature inaspettate.  
Con piacere ho avuto modo di parlare con Pascale del ciclo di incontri che si terranno presso la libreria Mondadori di via Piave.



Proust è il primo autore che apre le matinée letterarie alla Libreria Mondadori di via Piave. Due le tematiche cardine che attraversano l'intera produzione letteraria di Proust: la memoria inconscia e volontaria e la metaforizzazione del moderno. Queste tematiche le ritroviamo anche in Kafka, il secondo autore della rassegna letteraria. Si può dire che entrambi tentano, attraverso la scrittura, di risolvere il problema filosofico (e antropologico) della finitudine umana? Possiamo aspettarci questo dal secondo incontro su Kafka?

Dunque, la premessa di questi incontri si basa su una mia convinzione. La vita non si può capire, al massimo la possiamo sentire. Tutti gli otto scrittori sono degli amplificatori, ci permettono di sentire di più e meglio. Abbiamo bisogno di orecchie vigili e sensi sviluppati, perché il mondo si complica. Non riusciamo a interpretarlo. Gli otto scrittori sono piacevoli allenatori, ci permettono di diventare post human, anche perché ognuno di loro muovendosi attorno al tema della finitudine e della mancanza di redenzione non solo ne declinano degli aspetti (nessuno di loro è credente, ma tutti mostrano uno spiccato senso del mistero) ma ci invitano a usare il puntiglio della finitudine. Ci dicono, costruite un bel castello sulla sabbia anche se l’onda lo distruggerà prima o poi, anzi proprio per questo, per sfida, fatelo più bello che mai. 
Su questo versante, credo che Marcel Proust cambi davvero la percezione della vita. Prima di tutto perché si occupa del tempo, che non è infinito purtroppo, e infatti la ragione primaria, il motore della Recherche è appunto il tempo: come recuperarlo? Recuperarlo significa prestare attenzione  a tutto, con la mente e col cuore. Significa imparare a sentire. E sì, anche perché c’è il senso di finitudine, certo. E’ quello che spinge Proust a elaborare una specie di arca di Noè, dove però, a  differenza di quella classica, deve entrare tutto non solo animali, ma micro e macro eventi, micro e macro temi, dal pulviscolo che una mattina ha illuminato la nostra stanza ai volti cari che ci hanno accompagnato. Dalle riflessioni sull’amore e quelle sulla morte. Alla fine, costruita l’arca di Noè, possiamo chiederci: quali sono le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta? Non è l’aristocrazia, non è l’amore, ma è l’arte. L’arte è il materiale per costruire l’arca di Noè. 
Kafka è più brutale, la sua sensibilità volge al pessimismo radicale. La sua costante domanda, poco rassicurante, che struttura, su molti aspetti, una poetica antinarrativa è: sicuro che esistere sia meglio non esistere? Mi interessa la sua poetica perché è una leva per capire la natura umana che non sempre, anzi quasi mai, ci è chiara, almeno non è chiara a me. Siccome non voglio essere schiavo dell’oscurità della natura umana, preferisco esaminarla, anche se l’esaminatore è il più brutale di tutti, quello che ti dice: la luce indica il buio, ecco chi siamo, insetti. Tuttavia anche Kafka crede nell’arte come ragione di vita, pur con mille distinguo da Proust, il motore è lo stesso: il tempo scorre e fa malinconia, rende assurda la vita, scompagina il senso. All’arte, dunque, la capacità di fotografare al meglio chi siamo, anche se la foto ci sembra assurda e crudele, quelli ritratti lì in pose grottesche siamo noi.

Con Joyce, il terzo autore delle matinée, siamo di fronte a una narrazione sconfinata (l’Ulisse ne è la rappresentazione, difatti è considerata l’opera più importante di tutta la letteratura occidentale del Novecento –G.Melchiori). Torneranno i temi della memoria, del tempo e della frammentarietà metaforica dell’io?

In questo caso vorrei mostrare le influenze e i fantasmi che ci guidano nelle nostre sconfinate Odissee quotidiane. Raccontare di quei fantasmi che ci dicono: io sono vivo tu sei morto. Mi interessa il tema della linguaggio, certo. Siamo noi a parlare o le parole ci parlano e noi non siamo abbastanza attenti alla loro voce? In genere gli scrittori si guardano indietro e dicono: ecco il percorso che ci ha condotto fin qui. Joyce ci mostra che il percorso è più complesso, ci sono tanti fili ingarbugliati che hanno contribuito a formare il percorso, e di cui non siamo consapevoli. Anche perché il linguaggio è imbrigliato nella ragnatela di cui sopra. Sì, la modernità è come la vita, una ragnatela, se la mostriamo in controluce la vediamo meglio, e magari  ce ne liberiamo.

Brevità, analisi psicologica dei personaggi, sorpresa e istinto. Saranno questi gli elementi del quarto incontro che ruota attorno alla figura di Cechov?

Sì, e anche attenzione all’uso degli  aggettivi, narrazione onesta, senza trucchi, senza trama né finale, al contrario di certi escamotage che oggi usiamo per farci ascoltare e che stanno facendo collassare la democrazia. Cechov è il preside della democrazia.

«Elle est retrouvée. Quoi? — L'Éternité. C'est la mer allée. Avec le soleil». Anche qui, se vogliamo, il tempo, la metafora, la ricerca si fondono nella brevità poetica di Rimbaud. Sarà lui a chiudere i grandi interrogativi dell'uomo di fine Ottocento?

Rimbaud l’ho letto a 16 anni in un periodo complicato della mia vita, durante l’estate del 1982. In sintesi mi ha insegnato ad attraversare i campi di grano durante le notti d’estate, a guardare il cielo anche se hai un cappotto con le tasche sfondate, e non è poco, è tutto per camminare e conoscere. 

Con Fitzgerald e Moravia, rispettivamente il sesto e settimo incontro, cambiano gli scenari sociali e culturali. Resta, tuttavia, quel bisogno di rispondere alla finitudine umana, l'urgenza di trovare una stabilità nella frammentarietà dell'io. Si può parlare di  Fitzgerald e Moravia in questi termini? Andranno in questa direzione gli incontri?

Con Fitzgerald tenterò di rispondere a una domanda: sulla felicità, o almeno su una certa idea di felicità, quella che spesso cerchiamo e desideriamo, si può davvero costruire qualcosa? O è troppo labile per farci affidamento? E le crisi, quando arrivano, cosa ci insegnano? Moravia è un grande scrittore, ingiustamente dimenticato. Ha scritto pagine bellissime e non solo di narrativa. Moravia è un esistenzialista, si interessa della natura umana. Anche io, lo sono. Ma siccome, come dicevo, non ci capisco granché, sono molto affascinato da chi ci fornisce dei punti di orientamento, così quando mi guardo allo specchio so dove mi trovo.

Alice Munro. Una donna, una sola donna in tutta la rassegna, che chiude le matinée. Sembrerebbe una scelta naturale, quasi a voler chiudere un cerchio. Nella sua produzione ritroviamo i racconti di Cechov, i grandi interrogativi di  Fitzgerald, il realismo di Moravia, la poetica di Rimbaud, le risposte cercate da Proust e Kafka. Possiamo dire che è questa la motivazione della scelta della Munro, premio Nobel per la letteratura nel 2013?

Alice Munro è una maestra che tento inutilmente di imitare, fra tutti i moderni, la più brava e innovativa, complessa e precisa, è avanti vent’anni rispetto a noi tutti. Una scrittrice capace  di individuare movimenti e svolte umorali, così piccole (e ineluttabili) che spesso ci trasportano altrove senza che ce ne accorgiamo. E’ la scrittrice che parla di emancipazione femminile da una parte e dall’altra ci mostra come la consapevolezza del percorso sia spesso una consapevolezza a posteriori, quando il gioco  è finito, il tragitto compiuto. Ci mostra che i veri personaggi che agiscono sulle nostre vite sono il Tempo e il Caos, e credo possa chiudere al meglio questa carrellata sulla natura umana che sì, spesso, è gestita dal Tempo e dal Caos. Sentire meglio significa anche descrivere la loro influenza. Così che, magari posiamo trovare dei rimedi, la speranza è sempre la stessa: raccontare, analizzare, fotografare anche se il tempo e il caos ci sballottano, la ragnatela che struttura la natura umana è nera e ingarbugliata, le parole non le sappiamo gestire né ascoltare, la luce non è delle migliori, e le condizioni non sono favorevoli, ecco allora, soprattutto allora, costruiamo insieme questo castello e sfidiamo l’onda, anche in libreria.

Di seguito l'elenco dei prossimi incontri della palestra emozionale:

  • 16 novembre – Kafka
  • 30 novembre – Joyce
  • 14 dicembre – Cechov
  • 11 gennaio – Rimbaud
  • 25 gennaio – Scott Fitzgerald
  • 8 febbraio – Moravia
  • 22 febbraio – Munro

Per info e costi rivolgersi alla Libreria Mondadori di Via Piave a Roma:

Telefono 06/42014726 
Fax 06/42027406 
e-mail info@libreriaviapiave.it
Sito web www.libreriaviapiave.it

L'iniziativa è promossa da Bianco Critico - Libreria per immagini

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domenica 10 novembre 2019

Impressionisti Segreti in mostra a Palazzo Bonaparte

Impressionisti Segreti
Dal 06 Ottobre 2019 al 08 Marzo 2020
a cura di Claire Durand-Ruel, Marianne Mathieu
Palazzo Bonaparte
Via del Corso 295B
Con il patrocinio dell’Ambasciata di Francia in Italia e della Regione Lazio


Nella stupenda cornice di Palazzo Bonaparte fino all'8 marzo 2020 saranno esposte oltre 50 opere di artisti tra cui Monet, Renoir, Cézanne, Pissarro, Sisley, Caillebotte, Morisot, Gonzalès, Gauguin, Signac, Van Rysselberghe e Cross. Tesori nascosti al più vasto pubblico, provenienti da collezioni private raramente accessibili e concessi eccezionalmente per questa mostra, saranno esposti proprio a Palazzo Bonaparte che apre per la prima volta le sue porte a veri capolavori del movimento artistico d’Oltralpe più famoso al mondo: l’Impressionismo. 

La cura della mostra è affidata a due esperti di fama internazionale: Claire Durand-Ruel, discendente di Paul Durand-Ruel, colui che ridefinì il ruolo del mercante d’arte e primo sostenitore degli impressionisti, e Marianne Mathieu, direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet di Parigi, sede delle più ricche collezioni al mondo di Claude Monet e Berthe Morisot, già curatrice della mostra al Vittoriano su Monet che totalizzò 460.000 visitatori.


Impressionisti Segreti è il titolo della mostra prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia. “A partire da oggi, e con la mostra “Impressionisti segreti” - ha affermato Iole Siena, Presidente del Gruppo Artemisia -  Palazzo Bonaparte  apre per la prima volta le sue porte al pubblico, diventando un bene di tutti e per tutti. La scelta della prima mostra ci è sembrata quasi obbligata: un palazzo segreto, che si rivela al pubblico, non poteva che ospitare capolavori d’arte universale altrettanto ‘segreti’. Perché segreti? Perché sono opere custodite gelosamente nelle più importanti collezioni d’arte private del mondo, inaccessibili, invisibili dal vivo. I collezionisti che da sempre negano il prestito delle loro opere, per questa occasione eccezionale hanno detto sì, hanno voluto essere presenti a un evento che si ricorderà nella storia”.