lunedì 11 novembre 2019

Le matinée letterarie: conversazione con Antonio Pascale

«La grandezza dell’arte vera era di ritrovare, di riafferrare, di farci conoscere quella realtà lontani dalla quale viviamo, rispetto alla quale deviamo sempre di più a mano a mano che prende spessore e impermeabilità la conoscenza convenzionale con cui la sostituiamo – quella realtà che rischieremmo di morire senza aver conosciuta e che è, molto semplicemente, la nostra vita». Parto dalle parole dell'ultimo libro dell'opera di Proust che sembra accogliere la premessa di Antonio Pascale alla base delle matinée letterarie che hanno avuto inizio ad ottobre presso la libreria Mondadori di via Piave, a Roma, promosse da Bianco Critico. Appropriandomi delle parole di Proust invito a dimenticare, per un momento, l'impianto narrativo e il modello di romanzo alla base di quest'opera oceanica per lasciarci travolgere dalla tensione filosofica che illumina dall'interno la pagina scritta innalzandola a un livello superiore, facendo, pertanto, scorgere quella rivelazione che pone al centro dell'opera stessa l'Uomo. Il viaggio emozionale iniziato da Proust prosegue con altri scrittori, uomini e donne che hanno saputo dare voce al proprio sentire.
E' in questo viaggio che mi sono addentrata con Antonio Pascale, il quale esorta all'ascolto degli accadimenti che, tra leggerezza e sobrietà, levità dell’esistenza e dolorosa profondità, conferiscono al quotidiano sfumature inaspettate.  
Con piacere ho avuto modo di parlare con Pascale del ciclo di incontri che si terranno presso la libreria Mondadori di via Piave.



Proust è il primo autore che apre le matinée letterarie alla Libreria Mondadori di via Piave. Due le tematiche cardine che attraversano l'intera produzione letteraria di Proust: la memoria inconscia e volontaria e la metaforizzazione del moderno. Queste tematiche le ritroviamo anche in Kafka, il secondo autore della rassegna letteraria. Si può dire che entrambi tentano, attraverso la scrittura, di risolvere il problema filosofico (e antropologico) della finitudine umana? Possiamo aspettarci questo dal secondo incontro su Kafka?

Dunque, la premessa di questi incontri si basa su una mia convinzione. La vita non si può capire, al massimo la possiamo sentire. Tutti gli otto scrittori sono degli amplificatori, ci permettono di sentire di più e meglio. Abbiamo bisogno di orecchie vigili e sensi sviluppati, perché il mondo si complica. Non riusciamo a interpretarlo. Gli otto scrittori sono piacevoli allenatori, ci permettono di diventare post human, anche perché ognuno di loro muovendosi attorno al tema della finitudine e della mancanza di redenzione non solo ne declinano degli aspetti (nessuno di loro è credente, ma tutti mostrano uno spiccato senso del mistero) ma ci invitano a usare il puntiglio della finitudine. Ci dicono, costruite un bel castello sulla sabbia anche se l’onda lo distruggerà prima o poi, anzi proprio per questo, per sfida, fatelo più bello che mai. 
Su questo versante, credo che Marcel Proust cambi davvero la percezione della vita. Prima di tutto perché si occupa del tempo, che non è infinito purtroppo, e infatti la ragione primaria, il motore della Recherche è appunto il tempo: come recuperarlo? Recuperarlo significa prestare attenzione  a tutto, con la mente e col cuore. Significa imparare a sentire. E sì, anche perché c’è il senso di finitudine, certo. E’ quello che spinge Proust a elaborare una specie di arca di Noè, dove però, a  differenza di quella classica, deve entrare tutto non solo animali, ma micro e macro eventi, micro e macro temi, dal pulviscolo che una mattina ha illuminato la nostra stanza ai volti cari che ci hanno accompagnato. Dalle riflessioni sull’amore e quelle sulla morte. Alla fine, costruita l’arca di Noè, possiamo chiederci: quali sono le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta? Non è l’aristocrazia, non è l’amore, ma è l’arte. L’arte è il materiale per costruire l’arca di Noè. 
Kafka è più brutale, la sua sensibilità volge al pessimismo radicale. La sua costante domanda, poco rassicurante, che struttura, su molti aspetti, una poetica antinarrativa è: sicuro che esistere sia meglio non esistere? Mi interessa la sua poetica perché è una leva per capire la natura umana che non sempre, anzi quasi mai, ci è chiara, almeno non è chiara a me. Siccome non voglio essere schiavo dell’oscurità della natura umana, preferisco esaminarla, anche se l’esaminatore è il più brutale di tutti, quello che ti dice: la luce indica il buio, ecco chi siamo, insetti. Tuttavia anche Kafka crede nell’arte come ragione di vita, pur con mille distinguo da Proust, il motore è lo stesso: il tempo scorre e fa malinconia, rende assurda la vita, scompagina il senso. All’arte, dunque, la capacità di fotografare al meglio chi siamo, anche se la foto ci sembra assurda e crudele, quelli ritratti lì in pose grottesche siamo noi.

Con Joyce, il terzo autore delle matinée, siamo di fronte a una narrazione sconfinata (l’Ulisse ne è la rappresentazione, difatti è considerata l’opera più importante di tutta la letteratura occidentale del Novecento –G.Melchiori). Torneranno i temi della memoria, del tempo e della frammentarietà metaforica dell’io?

In questo caso vorrei mostrare le influenze e i fantasmi che ci guidano nelle nostre sconfinate Odissee quotidiane. Raccontare di quei fantasmi che ci dicono: io sono vivo tu sei morto. Mi interessa il tema della linguaggio, certo. Siamo noi a parlare o le parole ci parlano e noi non siamo abbastanza attenti alla loro voce? In genere gli scrittori si guardano indietro e dicono: ecco il percorso che ci ha condotto fin qui. Joyce ci mostra che il percorso è più complesso, ci sono tanti fili ingarbugliati che hanno contribuito a formare il percorso, e di cui non siamo consapevoli. Anche perché il linguaggio è imbrigliato nella ragnatela di cui sopra. Sì, la modernità è come la vita, una ragnatela, se la mostriamo in controluce la vediamo meglio, e magari  ce ne liberiamo.

Brevità, analisi psicologica dei personaggi, sorpresa e istinto. Saranno questi gli elementi del quarto incontro che ruota attorno alla figura di Cechov?

Sì, e anche attenzione all’uso degli  aggettivi, narrazione onesta, senza trucchi, senza trama né finale, al contrario di certi escamotage che oggi usiamo per farci ascoltare e che stanno facendo collassare la democrazia. Cechov è il preside della democrazia.

«Elle est retrouvée. Quoi? — L'Éternité. C'est la mer allée. Avec le soleil». Anche qui, se vogliamo, il tempo, la metafora, la ricerca si fondono nella brevità poetica di Rimbaud. Sarà lui a chiudere i grandi interrogativi dell'uomo di fine Ottocento?

Rimbaud l’ho letto a 16 anni in un periodo complicato della mia vita, durante l’estate del 1982. In sintesi mi ha insegnato ad attraversare i campi di grano durante le notti d’estate, a guardare il cielo anche se hai un cappotto con le tasche sfondate, e non è poco, è tutto per camminare e conoscere. 

Con Fitzgerald e Moravia, rispettivamente il sesto e settimo incontro, cambiano gli scenari sociali e culturali. Resta, tuttavia, quel bisogno di rispondere alla finitudine umana, l'urgenza di trovare una stabilità nella frammentarietà dell'io. Si può parlare di  Fitzgerald e Moravia in questi termini? Andranno in questa direzione gli incontri?

Con Fitzgerald tenterò di rispondere a una domanda: sulla felicità, o almeno su una certa idea di felicità, quella che spesso cerchiamo e desideriamo, si può davvero costruire qualcosa? O è troppo labile per farci affidamento? E le crisi, quando arrivano, cosa ci insegnano? Moravia è un grande scrittore, ingiustamente dimenticato. Ha scritto pagine bellissime e non solo di narrativa. Moravia è un esistenzialista, si interessa della natura umana. Anche io, lo sono. Ma siccome, come dicevo, non ci capisco granché, sono molto affascinato da chi ci fornisce dei punti di orientamento, così quando mi guardo allo specchio so dove mi trovo.

Alice Munro. Una donna, una sola donna in tutta la rassegna, che chiude le matinée. Sembrerebbe una scelta naturale, quasi a voler chiudere un cerchio. Nella sua produzione ritroviamo i racconti di Cechov, i grandi interrogativi di  Fitzgerald, il realismo di Moravia, la poetica di Rimbaud, le risposte cercate da Proust e Kafka. Possiamo dire che è questa la motivazione della scelta della Munro, premio Nobel per la letteratura nel 2013?

Alice Munro è una maestra che tento inutilmente di imitare, fra tutti i moderni, la più brava e innovativa, complessa e precisa, è avanti vent’anni rispetto a noi tutti. Una scrittrice capace  di individuare movimenti e svolte umorali, così piccole (e ineluttabili) che spesso ci trasportano altrove senza che ce ne accorgiamo. E’ la scrittrice che parla di emancipazione femminile da una parte e dall’altra ci mostra come la consapevolezza del percorso sia spesso una consapevolezza a posteriori, quando il gioco  è finito, il tragitto compiuto. Ci mostra che i veri personaggi che agiscono sulle nostre vite sono il Tempo e il Caos, e credo possa chiudere al meglio questa carrellata sulla natura umana che sì, spesso, è gestita dal Tempo e dal Caos. Sentire meglio significa anche descrivere la loro influenza. Così che, magari posiamo trovare dei rimedi, la speranza è sempre la stessa: raccontare, analizzare, fotografare anche se il tempo e il caos ci sballottano, la ragnatela che struttura la natura umana è nera e ingarbugliata, le parole non le sappiamo gestire né ascoltare, la luce non è delle migliori, e le condizioni non sono favorevoli, ecco allora, soprattutto allora, costruiamo insieme questo castello e sfidiamo l’onda, anche in libreria.

Di seguito l'elenco dei prossimi incontri della palestra emozionale:

  • 16 novembre – Kafka
  • 30 novembre – Joyce
  • 14 dicembre – Cechov
  • 11 gennaio – Rimbaud
  • 25 gennaio – Scott Fitzgerald
  • 8 febbraio – Moravia
  • 22 febbraio – Munro

Per info e costi rivolgersi alla Libreria Mondadori di Via Piave a Roma:

Telefono 06/42014726 
Fax 06/42027406 
e-mail info@libreriaviapiave.it
Sito web www.libreriaviapiave.it

L'iniziativa è promossa da Bianco Critico - Libreria per immagini

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