La lettura, succede spesso, conduce la mente in luoghi reconditi, immagini rimaste sepolte dal tempo che non ricordavamo di conservare. E' accaduto con il romanzo di Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza edito da Mondadori, nella dozzina del Premio Strega 2020. Trafitta da una scrittura di rara profondità umana, non ho impedito alla memoria di portare a galla quello che era rimasto sul fondo per poi lasciarmi andare, immensamente, ai ricordi. La lettura mi ha portato a ripensare ai racconti di John Cheever, alla sua idea di letteratura, in biblico tra meraviglia e stupore, smarrimento e disillusione, alla sua idea di percezione, di sogni e di concetti. E accanto a Cheever ho rivisto Buzzati e ho ripensato a quello che diceva sulle parole, che anche quelle stolte, pazze, incomprensibili e inutili sono la cosa che più ci distingue dalle bestie.
Le immagini della disillusione di Cheever e delle parole apparentemente senza senso che ci rendono ciò che siamo alla maniera di Buzzati sono ancora vivide mentre stringo tra le mani la storia di Daniele Mencarelli, una trama che corre veloce sui binari della bellezza e pienezza narrativa.
Il suo modo di affondare la lama della scrittura nel dolore, di recuperare l’indicibile e l'insondabile, attraverso una lingua poetica che trascende la stessa parola scritta, rende il romanzo una pietra preziosa che merita il posto che occupa.
La densità della narrazione segue un arco temporale di una settimana durante la quale il protagonista, Daniele, viene ricoverato per un Trattamento sanitario obbligatorio. Partendo da dati biografici, personali e non solo storici, ci caliamo nella torrida Roma di metà luglio del 1994, i mondiali alle porte, una porzione di capitale fatta di borgate e quartieri di periferia. Daniele si ritrova ad affrontare le sua solitudine e i suoi demoni. A scandire i sette giorni di internamento saranno gli incontri con i medici Cimaroli e Mancino, entrambi depositari di una scienza che, tuttavia. non riesce a rispondere alle domande di Daniele perché ciò che lui chiede e cerca, armato di voracità esistenziale propria dei ventenni, necessita di uno spirito predisposto all'accoglimento, in grado di condividere le vette senza inorridire degli abissi, rubando un'espressione cara a De André.
E' un'anima, quella di Daniele, che vaga in un tempo e in uno spazio che non vengono accolti dal quotidiano. Nella speranza di fermare la verità esistenziale e il senso del suo vagare, sospinto da un bisogno persistente e istintivo di conoscere il significato ultimo della realtà, Daniele inizia un'intensa esperienza umana con i compagni di stanza, in particolare Mario, Gianluca e Giorgio. Persone ingarbugliate nel dolore dei ricordi, persone che non riescono a sciogliere il nodo del pianto, reiterando, ogni giorno, lo smarrimento. Il risultato è un corpo massacrato e una coscienza spezzata.
Il naufragio dell'anima può essere irreversibile per alcune persone ma Daniele ha ancora tempo. Il tempo è un'arma sottovalutata dal protagonista. In tanti glielo dicono, nella loro lingua e con i loro mezzi. Glielo dice la madre, che gli ricorda i suoi vent'anni, glielo dicono gli infermieri, lo ripetono medici e glielo dice anche Mario prima di volare dalla finestra per toccare il cielo con un dito. Ognuno con le proprie parole, ognuno con il proprio bagaglio troppo pesante per essere trasportato, troppo prezioso da abbandonare.
Il naufragio dell'anima può essere irreversibile per alcune persone ma Daniele ha ancora tempo. Il tempo è un'arma sottovalutata dal protagonista. In tanti glielo dicono, nella loro lingua e con i loro mezzi. Glielo dice la madre, che gli ricorda i suoi vent'anni, glielo dicono gli infermieri, lo ripetono medici e glielo dice anche Mario prima di volare dalla finestra per toccare il cielo con un dito. Ognuno con le proprie parole, ognuno con il proprio bagaglio troppo pesante per essere trasportato, troppo prezioso da abbandonare.
In uno scenario metafisico, Mencarelli ridisegna la solitudine di un ragazzo attraverso il racconto del vuoto esistenziale che spesso circonda ognuno di noi. In questo ritratto, Mencarelli traccia il profilo di una angoscia della sospensione, dove la parola è attesa e richiesta, dove la parola è l'unica vera salvezza.
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