L'infinito di amare. Due vite, una notte di Sergio Claudio Perroni
L'infinito di amare. Due vite, una notte è il libro al quale Sergio Claudio Perroni ha dedicato molti anni della sua vita. Scritto, riscritto, ampliato, ripreso. La storia si aggiunge alla storia. L'infinito di me, si legge nella dedica a Cettina Perroni. Ho pensato all'infinito proustiano e, allo stesso tempo, alla finitudine rintracciabile nella Recherche, ho pensato all'intreccio tra corpo e mondo narrato da Merleau-Ponty. Ho pensato a questo quando ho visto il libro di Perroni accanto al quadro di Squarcia dell'89: le trame corrono sulla tela, si intrecciano, si mescolano, si incontrano e si uniscono per poi perdersi e ritrovarsi dando nuova luce al loro iniziale incontro. E questa è solo una delle tante, innumerevoli e infinite possibilità di noi. E dell'amore.
Così introduco il libro sulla pagina Instagram della rivista LuciaLibri, mentre sul sito della rivista ne parlo in rapporto all'esplorazione linguistica ed emotiva che fanno, di questo romanzo, un gioiello della letteratura italiana: L’infinito altrove di Perroni: scrivere e amare
Così introduco il libro sulla pagina Instagram della rivista LuciaLibri, mentre sul sito della rivista ne parlo in rapporto all'esplorazione linguistica ed emotiva che fanno, di questo romanzo, un gioiello della letteratura italiana: L’infinito altrove di Perroni: scrivere e amare
Ne “L’infinito di amare”, libro postumo di Sergio Claudio Perroni che si sviluppa attraverso il ricordo di un momento d’amore e passione tra due amanti, c’è una profonda conoscenza e una ineguagliabile capacità di esplorazione linguistica ed emotiva. E un rapporto fra scrittura e amore che ricorda l’ultima Duras.
Se penso al rapporto tra scrittura e amore, tra necessità della scrittura e bisogno inesauribile di amare, riaffiora l’immagine della produzione ultima di Marguerite Duras quando i suoi scritti diventano occasione di riflessione sulla scrittura, sul senso della parola poetica, sul legame tra la parola e l’immagine: una riflessione che porta alla fusione tra testi scritti e interviste.
La scrittura che arriva da un altrove non identificabile, che proviene dall’ascolto del proprio io, un ascolto che parte dall’esterno e non dall’interno è un altro affascinante aspetto della scrittura durassiana. Si può forse parlare di una continua rifrazione della parola durassiana verso una pluralità di significati: ogni evocazione è caratterizzata da innumerevoli significati non ascrivibili ad una entità simbolica ed unitaria. Si tratta di raggi infiniti e in questa immensità risiede l’ammaliante potere comunicativo di Duras.
«Il piacere assoluto di scrivere senza pensare a niente» sono state le parole di Sergio Claudio Perroni a Cettina Caliò consegnandole parte di quello che, anni dopo, sarebbe diventato il romanzo pubblicato da La Nave di Teseo, L’infinito di amare – Due vite, una notte (128 pagine, 13 euro). Leggendo il libro di Perroni, mi sono nutrita della voce di Duras e della sinfonia delle sue parole, della tendenza a rifrangere immagini e suoni, volti e oggetti verso un’entità sfaccettata, i raggi infiniti ai quali si faceva cenno poc’anzi e che riguardano una profonda conoscenza e una ineguagliabile capacità di esplorazione linguistica ed emotiva.
L’infinito di amare si sviluppa attraverso il ricordo di un momento d’amore e passione tra due amanti. Gli abbracci, gli sguardi, i risvegli, le attese accadono in uno spazio e in un tempo non circoscritti ad un preciso accadimento. Il ricordo dilata e sfuma ogni singola immagine. Una parvenza di temporalità è data dalla suddivisione del romanzo in tre momenti definiti come “Oggi”, “Ieri”, “Domani”. L’impianto narrativo memoriale costituisce l’ossatura del libro tuttavia la storia sfugge a qualsiasi categorizzazione oltrepassando i limiti dello spazio e del tempo. La parola scritta si fa lirica, trasfigura la sua stessa essenza, trascende la sua forma per farsi espressione di un flusso continuo di pensieri ed emozioni.
In uno spazio senza perimetro, in un tempo senza limiti, dalla grammatica emotiva dei ricordi si materializza una storia dilatata da infinite epifanie nelle quali ritroviamo lo scrittore, il narratore, l’uomo ma anche il lettore, colui che si nutre della storia, colui che ha bisogno di cibarsi delle parole e di quelle infinite immagini rifratte su infinite entità. Il tempo della lettura può coincidere con il tempo di recupero della storia. Non sempre ci è dato sapere l’apporto di finzione al racconto, tuttavia, quello che possiamo carpire, nelle infinite rifrazioni che Perroni (ci) ha consegnato, è che, citando Duras, dans la reprise des temps par l’imaginaire que le souffle est rendu à la vie.
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Se penso al rapporto tra scrittura e amore, tra necessità della scrittura e bisogno inesauribile di amare, riaffiora l’immagine della produzione ultima di Marguerite Duras quando i suoi scritti diventano occasione di riflessione sulla scrittura, sul senso della parola poetica, sul legame tra la parola e l’immagine: una riflessione che porta alla fusione tra testi scritti e interviste.
La scrittura che arriva da un altrove non identificabile, che proviene dall’ascolto del proprio io, un ascolto che parte dall’esterno e non dall’interno è un altro affascinante aspetto della scrittura durassiana. Si può forse parlare di una continua rifrazione della parola durassiana verso una pluralità di significati: ogni evocazione è caratterizzata da innumerevoli significati non ascrivibili ad una entità simbolica ed unitaria. Si tratta di raggi infiniti e in questa immensità risiede l’ammaliante potere comunicativo di Duras.
«Il piacere assoluto di scrivere senza pensare a niente» sono state le parole di Sergio Claudio Perroni a Cettina Caliò consegnandole parte di quello che, anni dopo, sarebbe diventato il romanzo pubblicato da La Nave di Teseo, L’infinito di amare – Due vite, una notte (128 pagine, 13 euro). Leggendo il libro di Perroni, mi sono nutrita della voce di Duras e della sinfonia delle sue parole, della tendenza a rifrangere immagini e suoni, volti e oggetti verso un’entità sfaccettata, i raggi infiniti ai quali si faceva cenno poc’anzi e che riguardano una profonda conoscenza e una ineguagliabile capacità di esplorazione linguistica ed emotiva.
L’infinito di amare si sviluppa attraverso il ricordo di un momento d’amore e passione tra due amanti. Gli abbracci, gli sguardi, i risvegli, le attese accadono in uno spazio e in un tempo non circoscritti ad un preciso accadimento. Il ricordo dilata e sfuma ogni singola immagine. Una parvenza di temporalità è data dalla suddivisione del romanzo in tre momenti definiti come “Oggi”, “Ieri”, “Domani”. L’impianto narrativo memoriale costituisce l’ossatura del libro tuttavia la storia sfugge a qualsiasi categorizzazione oltrepassando i limiti dello spazio e del tempo. La parola scritta si fa lirica, trasfigura la sua stessa essenza, trascende la sua forma per farsi espressione di un flusso continuo di pensieri ed emozioni.
In uno spazio senza perimetro, in un tempo senza limiti, dalla grammatica emotiva dei ricordi si materializza una storia dilatata da infinite epifanie nelle quali ritroviamo lo scrittore, il narratore, l’uomo ma anche il lettore, colui che si nutre della storia, colui che ha bisogno di cibarsi delle parole e di quelle infinite immagini rifratte su infinite entità. Il tempo della lettura può coincidere con il tempo di recupero della storia. Non sempre ci è dato sapere l’apporto di finzione al racconto, tuttavia, quello che possiamo carpire, nelle infinite rifrazioni che Perroni (ci) ha consegnato, è che, citando Duras, dans la reprise des temps par l’imaginaire que le souffle est rendu à la vie.
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