Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista LuciaLibri.
Alisa è una donna che si affaccia alla vecchiaia con la certezza di aver vissuto intensamente. La pensione non è elevata ma le permette di vivere in maniera dignitosa. I suoi servizi di baby-sitting le permettono di arrotondare godendo dei piccoli piaceri come il teatro e i concerti al conservatorio. Una donna libera che non aveva vincoli fino a quando una perdita di coscienza tra le mura domestiche non ha aperto uno squarcio nella sua vita così ben calibrata. Da quel giorno, Alisa ha iniziato a pensare alla morte e a come accoglierla. Anche Musja pensa alla morte ma non alla sua, bensì a quella dell’amata e compagna di vita Zarira Mentre quest’ultima è su un letto di ospedale, Musja entra in contatto con una fattucchiera armena che le spiega cosa fare con l’anima di Zarira in seguito alla morte del suo corpo. Ci sono le sorelle anziane Lidija e Nina che si riuniscono dopo la scomparsa della madre. E ancora Lilja, la giovane studentessa di pedagogia, che attende invano il neosposo Salich senza sapere che in realtà lui non è scappato dal giogo famigliare ma è stato catturato all’aeroporto di Baghdad e portato nel penitenziario di Abu Ghraid.
Sono i racconti “al confine” di Ludmila Ulitskaya raccolti nel libro Tra corpo e anima edito da La Nave di Teseo (traduzione di Margherita De Michiel). L’anima, personaggio della narrativa russa, la ritroviamo in celebri pagine scritte da Dostoevskij, Cechov, Turgenev, Tolstoj, nelle lezioni russe di Nabokov e in molti testi di grandi filosofi russi.
«Chiunque voi siate, siete un contenitore di questo liquido perplesso, questa materia nebulosa, in fermento, pregiata», scriveva così Virginia Woolf a proposito dell’anima russa rintracciabile nei libri di Dostoevskij. Questo essere fluttuante, senza barriere, forza espansionistica e al tempo stesso immersiva: l’anima, scrive Virginia Woolf, «…tracima, dilaga, si mescola con le anime di altri. La semplice storia di un impiegato di banca che non poteva pagare una bottiglia di vino si diffonde, prima che ce ne possiamo rendere conto, nelle vite di suo suocero e delle cinque amanti che quest’ultimo tratta in maniera abominevole, e nella vita del postino, e in quella della domestica, e in quella delle principesse alloggiate nello stesso palazzo». Ecco, questo è ciò che accade nei racconti di Ludmila Ulitskaya: voliamo sulle vite di Musja e Zarifa, di Lidija e Nina, di Lilja e Salich, di Alisa, di Gulja, di Tolja, osserviamo le loro tribolazioni, partecipiamo ai loro dolori, ci rallegriamo quando riescono ad essere appagati per poi sprofondare inesorabilmente nelle loro anime. È qui che il limite tra la loro e la nostra anima si assottiglia sempre di più. Cosa accade quando si impone di fronte a noi «il confine più sacro: quello della vita o meglio dell’esistenza fisica»? Ludmila Ulitskaya se lo domanda e attraverso le vite dei personaggi sopracitati tenta una risposta a una domanda complessa giungendo alla riflessione secondo la quale sappiamo molto di più sul corpo che sull’anima.
Quello di Ludmila Ulitskaya è un pensiero filosofico nato dalla stesura letteraria che si inserisce appieno nella produzione poetica e narrativa della scrittrice, considerata una delle voci viventi più rappresentative della letteratura russa. I ragionamenti filosofici sono uniti indissolubilmente alla scienza e non sfugge a questa legge la ricerca di Ludmila Ulitskaya la cui laurea in biologia presso l’Università di Mosca l’ha portata a lavorare come scienziata nell’Istituto di Genetica. Parafrasando Aristotele, la scienza che ha per oggetto la verità è rappresentata dalla filosofia.
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