Una voce fuori campo ci accompagna, con la sua prosa poetica,
nell'osservazione. La voce ci prende per mano e, indicando la direzione,
suggerisce dove guardare. Dapprima appare un monumento rosso stagliato su un
paesaggio utopico, soggetto in bilico tra realtà e immaginazione tanta è la
perfezione che lo caratterizza. Il campo visivo si allarga, quello che sembrava
essere un singolo monumento diventa una vera e propria installazione a cielo
aperto. L'Axe Majeur a Cergy-Pontoise, nella Val d'Oise, è stato progettato
negli anni '80 da Ricardo Bofill e Dani Karavan. Per oltre trent'anni il
progetto ha rimodulato il paesaggio naturale, traslando le originarie
significazioni per giocare sul valore esoterico del numero dodici.
La telecamera si sofferma sulla Passerella
rossa, sul via vai di persone che l'attraversano. Quando si ha
l'impressione di scorgere l'Anfiteatro Gérard Philipe, che si trova al
di sotto della passerella, mentre lo sguardo viene rapidamente condotto alle Dodici
Colonne, alla Torre del Belvedere, all'Esplanade, proprio in
quel momento intravediamo una figura, un'apparizione. Guardiamo quel corpo.
Ascoltiamo di nuovo la voce. La voce di quel corpo. È Annie Ernaux accanto a
una delle stazioni.
È da questo
luogo, simbolo di un'architettura di riconciliazione tra uomo e natura, che il
regista Régis Sauder ci conduce alla scoperta di Cergy attraverso il docu-film J'ai
aimé vivre là con la partecipazione e i testi di Annie Ernaux (nella sale
francesi dal 29 settembre 2021).
Sauder conosce da anni la forza della parola di Ernaux, quel modo di affondare nella realtà, di scavare nel quotidiano, trascinando tutto, il corpo e la mente; conosce quanto travolgente sappia essere la sua scrittura chirurgica, capace di immergersi nell'abisso del passato per risalire dalle ceneri dei ricordi salvando le immagini che altrimenti scomparirebbero.
«Quando Retour à Forbach è
uscito nelle sale nel 2017, ero stato chiamato a tenere un incontro al cinema Utopia
a Saint-Ouen l'Aumône, vicino a Cergy. Lei (Annie Ernaux, ndr) è venuta
a vedere il film, che poi ha molto apprezzato. In seguito, ha anche scritto un
testo per l'edizione DVD del film. Successivamente mi diede appuntamento. La
incontrai e in quell'occasione mi disse che aveva visitato Forbach grazie al
mio film e a sua volta mi propose un tour nella città di Cergy, dove lei vive
da quarant'anni. Mi condusse da un posto all'altro (...). Fu per me un incontro
inaudito. In modo del tutto inconsapevole, attraverso questo racconto corale
della città di Cergy, Annie Ernaux mi stava invitando a fare un film».
Luogo della memoria, della ricostruzione aneddotica, Cergy attraversa i libri di Annie Ernaux. Sono proprio i suoi scritti che hanno influenzato la narrazione cinematografica di Règis Sauder, come lui stesso ha dichiarato in un'intervista: «il suo lavoro mi aveva nutrito per i film precedenti. È stata lei a inventare l'auto-socio-biografia, la narrazione della sua storia sociale attraverso tre grandi opere: La place, La Honte e Une femme. Ha scritto molto sul principio della scrittura fotografica: storie costruite a partire dall'osservazione di chi la circonda, come in Journal du dehors, La vie extérieure, Regarde les lumières, mon amour».
Regarde les lumières, mon amour è in uscita nelle prossime settimane per L'Orma Editore. Guarda le luci, amore mio, così la traduzione italiana del titolo, è lo scritto che raccoglie la sfida assegnatele dall'editore francese Seuil, raconter la vie (che è anche il nome della collana, curata da Pierre Rosanvallon, a cui appartiene il libro scritto). Raccontare la vita da un punto di osservazione inusuale, dal più grande centro commerciale della Val d'Oise, Les Trois-Fontaines, significa narrare le donne e il loro ruolo nella società, narrare il mondo del lavoro, dare voce agli invisibili, significa anche fermare, attraverso una scrittura fotografica, i rapporti sociali, salvarli dall'oblio attraverso la scrittura. Il centro commerciale è un paesaggio posto ai margini. Eppure, con Ernaux, diventa il luogo privilegiato per scrivere della vita collettiva, di Cergy e dei suoi abitanti.
Voci, immagini, parole. Da Retour
à Forbach, dalle letture dei libri di Ernaux, da questo innesto narrativo e
letterario, Régis Sauder getta le basi per J’ai aimé vivre là. Il docu-film
di Sauder si basa sull'intreccio e sullo scambio tra i testi di Annie Ernaux e
le immagini di Cergy, la Ville Nouvelle, fotografate e catturate da Tom
Harari insieme allo stesso Sauder.
Guardando J’ai aimé vivre là, sembra di risentire la voce di Ernaux ne Journal du dehors: «Da vent'anni vivo in una nuova città, a quaranta chilometri da Parigi, Cergy-Pontoise. In precedenza, ho sempre vissuto in provincia, in città dove erano incisi i segni del passato e della storia. Arrivare in un luogo emerso dal nulla in pochi anni, privato di ogni memoria, con costruzioni sparse su un territorio immenso, è stata un'esperienza travolgente. Fui sopraffatta da una sensazione di estraneità, incapace di vedere altro che le spianate ventose, le facciate di cemento rosa o blu, il deserto delle strade solitarie. La costante sensazione di fluttuare tra cielo e terra, in un luogo di nessuno. Il mio sguardo era come le pareti di vetro degli uffici, che riflettevano solo torri e nuvole». Sembra, altresì, di leggere alcune riflessioni sulla società contenute in Guarda le luci, amore mio: «il centro commerciale è un grande luogo di incontro umano, come uno spettacolo (…) e ha una grande importanza per il nostro rapporto con gli altri, per il nostro modo di fare società. (…) Coloro che non hanno mai messo piede in un ipermercato sono ignari della realtà sociale della Francia di oggi (...) È stato senza esitare dunque che per raccontare la vita, la nostra, oggi, ho scelto come oggetto gli ipermercati. Mi è parsa una buona occasione per riferire di una consuetudine reale (la loro frequentazione) senza ripetere i discorsi, abusati e spesso venati di avversione, che emergono quando si parla di questi cosiddetti nonluoghi, e che non corrispondono in nulla alla mia esperienza personale».
Come spesso accade leggendo i
libri di Annie Ernaux, la parola disvela una realtà collettiva. Anche nel
docu-film di Sauder, il racconto di Ernaux sulla città di Cergy non è soltanto
suo, diventa, a poco a poco, di chi legge, di chi lo ascolta, di chi è chiamato
a immaginare la Ville Nouvelle. Il suo racconto diventa nostro.
Non siamo intrusi nel suo territorio emotivo, all'interno della mappatura dei
suoi luoghi. Al contrario, veniamo accolti. Allo stesso modo di come è stato accolto Régis Sauder il quale ha affermato, in
un'intervista, di essersi sentito dapprima un intruso in una città dove,
invece, è stato accolto, dove gli hanno teso la mano.
J’ai aimé vivre là è un
film su «ciò che ci unisce, su ciò che abbiamo in comune. È una scelta
eminentemente politica quella di filmare la città di Cergy in questo modo,
mettendo al centro la questione dell'amore», l'amore di abitare e di aver abitato
in quella città, l'amore per aver trovato un luogo dove è stato possibile
creare uno spazio tutto per sé, uno spazio non contaminato da alcun tipo di
status sociale. J’ai aimé vivre là è anche un film sul pluralismo
sociale. Le sedimentazioni sociali hanno contribuito alla creazione di una
società multiculturale dislocata in varie parti delle città. Lo possiamo
osservare nei pressi di Préfecture oppure de l'Université.
Attraverso le storie degli
abitanti di Cergy e i testi di Annie Ernaux, tutti intrisi di memoria, Régis
Sauder ha portato sullo schermo il suo approccio documentaristico inscrivendolo,
per la prima volta, nella tradizione dei film corali e delle elegie
cinematografiche, una tradizione che ha avuto inizio con Walter Ruttman con Berlin,
symphonie d'une grande ville nel 1927 (Cédric Lépine).
Questo rintracciare nei ricordi
una memoria collettiva pur con uno sguardo rivolto al presente e al futuro,
quest'ultimo rappresentato dalle generazioni più giovani, è ben esplicitato dai
racconti degli abitanti di Cergy e di Annie Ernaux. Racconti elargiti come
doni. Testimonianze di una città che ha subito trasformazioni e che, tuttora, è
attraversata da mutamenti. Metamorfosi geografiche si muovono parallelamente a
metamorfosi emotive andando a cambiare l'assetto della geologia umana della
città. Ecco, le voci si confondono e si fondono, i ricordi non appartengono più
al singolo ma diventano i ricordi di una comunità che ha attraversato decenni
di storia accogliendo il cambiamento come condizione fondante dell'Uomo.
Accogliere e salvare. Dirà Régis Sauder: «ascoltare una storia e tenerne
traccia». Scrive Annie Ernaux: «salvare qualcosa del tempo in cui non saremo
mai più».
Parte del mio studio sull'opera letteraria di Annie Ernaux è contenuto nel mio ultimo, L'evento della scrittura. Sull’autobiografia femminile in Colette, Marguerite Duras, Annie Ernaux pubblicato da 13lab Editore libro
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