giovedì 3 marzo 2022

Ritratto di Marguerite Duras: la scrittura e il cinema tra luoghi perduti e ritrovati

                                                                                  

Toi qui ne veux rien dire /

Toi qui me parles d'elle /

Et toi qui me dis tout /

Ô, toi.

India Song, Marguerite Duras

 


Avevo da poco compiuto vent’anni quando scoprii la prosa di Marguerite Duras, la musicalità del suo fraseggio, la scrittura ellittica e in continuo divenire, la tensione tra la geometria narrativa e la smisurata dimensione emotiva. Quelle pagine incendiarie di passione e vergogna mi travolsero e non mi abbandonarono più.


C’è un’immagine che porto sempre con me: le mie mani mentre stringo L’amante. La copertina rigida, quella dell’edizione Feltrinelli per i cinquant’anni della casa editrice. Ricordo gli occhi di Duras trafiggermi.


Autunno. Il parco Ducale di Parma era un manto ambrato, le foglie secche scoppiettavano sotto alle suole delle scarpe e il cielo era terso come non lo avevo mai visto prima. Era piacevole attardarsi tra i viali alberati, osservare le ombre allungarsi mentre il giorno cedeva il passo alla sera. L’imbrunire intensificava i profumi della terra e un brivido correva lungo la schiena mentre il passo accelerava per raggiungere casa.



Quella sera stessa lessi le prime pagine del romanzo, scoprendomi, ben presto, totalmente rapita dalla scrittura durassiana. Il suo modo di affondare la lama della scrittura nel dolore del ricordo, di recuperare l’irrecuperabile, di dire anche ciò che risulta difficile raccontare attraverso una lingua che si trasforma, trascendendo la sua stessa essenza: tutto questo mi spinse, nel tempo e negli anni, a scavare nei suoi interminabili dolori, andando al di là della parola scritta, per tentare di afferrare il suo io, quello che affiora tra le intermittenze mnemoniche, nei momenti di grande estasi creativa durante i quali Marguerite sapeva essere se stessa, spogliandosi di tutto, attraverso la scrittura.


Non c’è bisogno di dire che la lettura del romanzo L’amante fu talmente pervasiva che lasciai perdere tutti gli altri libri per tuffarmi nell’universo durassiano. Il mio fu un percorso a ritroso: partendo dal dolore dell’ultima Duras cercai di rintracciare la radice del suo tormento. Un viaggio che prosegue tuttora tra accelerazioni, arresti, slanci e brusche frenate.


Attraverso L’amante iniziai, con tenacia e ostinazione, il cammino sulle tracce della scrittura durassiana non senza difficoltà.


Per capire l’universo attorno al quale ruota la recherche durassiana sono partita dagli anni dei ricoveri ospedalieri e dalla disintossicazione da alcolismo.


È in quei momenti che l’anima chiede salvezza per non finire nell’oblio eterno dal quale non c’è ritorno.

 

Nel 1987 Laure Adler intrattiene un lungo incontro con Marguerite Duras durante il quale la scrittrice racconta dell'abuso di alcol e delle successive disintossicazioni: «c'est lié à Dieu... ça pallie un manque essentiel, qui n'est pas un manque de compagnie du tout, qui est un manque d'ordre essentie». L’uso di alcol come dipendenza è un gesto legato a Dio, un gesto da rimandare, traducendo le parole di Marguerite Duras, alla compensazione di una mancanza, che non è mancanza di relazioni, quanto una mancanza interiore e più profonda.

 

Riavvolgo il nastro dei ricordi.

 

Le luci soffuse dei lampioni illuminavano timidamente Caen. Era una sera di inizio primavera, dai balconi il profumo degli anemoni inondava le strade e le guglie dell’abbazia si elevavano in tutta la loro solitaria eleganza.


Yann Andréa, la magrezza diafana di un ventitreenne, il fuoco nel suo sguardo, la fronte imperlata di sudore. Arde dal desiderio di incontrare Marguerite Duras dal vivo, sentire la melodia della sua voce, le parole che avrebbero vibrato nell’aria e tutto attorno a lui si sarebbe riempito del suon di lei.

Quella sera, al cinema Lux, avrebbero proiettato India Song. Dopo la proiezione ci sarebbe stato un incontro con Duras.


Qualche tempo prima, Yann Andréa aveva letto per caso I cavallini di Tarquinia, romanzo pubblicato nel 1953 in Italia da Einaudi in seguito alle vacanze italiane che Duras trascorse come ospite nella residenza estiva di Elio Vittorini e della moglie. Folgorato dalla scrittura durassiana, attraversato dalle sue parole, un turbinio di emozioni aveva messo in moto le zone più profonde e recondite di Yann. Non poteva perdere l’occasione di conoscere colei che faceva tremare ogni parte del suo corpo.


Lo vedo mentre si avvicinava al cinema Lux, mentre la cerca con gli occhi sulle note della voce di Jeanne Moreau. Vedo il suo sguardo estasiato mentre ascolta le parole di colei che già ama di un amore senza amore. È ammaliato, Yann Andréa, non come gli altri ma più degli altri.


Lo guardo mentre si avvicina a Marguerite. Tra le mani stringe il libro Détruire, dit-elle per una dedica. Con la voce tremante le chiede se può scriverle delle lettere, se può dargli un indirizzo al quale spedirle. Inaspettatamente lei accetta e gli fornisce lo stesso indirizzo che sarà il luogo nel quale si rifugerà, molti anni dopo, alla morte di Marguerite Duras.


Lui le scriverà per cinque anni consecutivi, senza risposta.


Non poteva sapere che Marguerite Duras aveva ricominciato a bere proprio l’anno del loro incontro. Stretta nella morsa della sua solitudine, Duras riviveva i dolori della sua vita. Ritornava in modo ossessivo sulla sua storia. Nell’atto stesso di immergere la lenza nella memoria, Duras lasciò che l’acqua portasse a galla quello che era rimasto sul fondo dei ricordi per tanto, troppo, tempo. 


Per cinque lunghi anni, le lettere di Yann Andréa portarono una luce nel buio della stanza di Marguerite Duras.  Dalle sue parole traspariva un trasporto empatico senza eguali. Nessuno, in quel periodo, era riuscito a entrare così in profondità nell’universo di Duras. Nessuno, eccetto quel giovane studente di filosofia. Lo stile linguistico, l’intensità del linguaggio… tutto nelle lettere di Yann era permeato dall’universo durassiano.


Le lettere di Yann erano boccate d’ossigeno per Marguerite, un’ancora di salvezza dal dolore che non le lasciava tregua. Il cinema e il teatro non allentavano il dolore. La scrittura e la stesura di opere inasprivano il suo turbamento.


Nel 1980, dopo due mesi di ricovero ospedaliero, Duras inviò a Yann Andréa l’opera L'homme assis dans le couloir e questa volta fu lei ad essere ricambiata con il silenzio. Non si arrese, continuò ad inviare scritti al giovane Yann. Iniziava in questo modo una delle più appassionate corrispondenze della storia della letteratura francese.


Alla fine di agosto del 1980, Duras inviterà Yann Andréa a bere un bicchiere di vino a casa sua. Fu in quel momento che Yann lasciò tutto e si trasferì da Marguerite a Trouville, un’ora di strada da Caen, anni luce distante dalla vita da studente che aveva condotto fino al giorno prima.

 

Li vedo mentre cantano La vie en rose, mentre si lasciano alle spalle Trouville a bordo della Peugeot 104: si dirigono verso Honfleur. Duras vuole mostrare al giovane filosofo le bellezze cromatiche del porto di Le Havre. Quando le luci e le ombre si riflettono nel mare, i due si rimettono in auto, lei canta, lui la segue, non può far altro che seguirla. Aspettava questo momento, aspettava una donna come lei, qualcuna che lo prendesse per mano, che lo guidasse, qualcuna a cui dire sempre di sì. Perché Yann dice sempre di sì, non contraddice quella che ai suoi occhi appare come una divinità, sempre sul punto di sfuggirle, sempre sul punto di non comprenderla fino in fondo.

 

«Je ne pouvais pas dire son nom. Sauf l'écrire. Je n'ai jamais pu la tutoyer. Parfois elle aurait aimé. Que je la tutoie, que je l'appelle par son prénom. Ça ne sortait pas de ma bouche, je ne pouvais pas. Je me débrouillais pour ne pas avoir à prononcer le mot. Et pour elle c'était une souffrance, je le savais, je le voyais, et cependant je ne pouvais pas passer outre». L’impossibilità di chiamare le cose con il loro nome, di chiamare lei, di chiamare quell'amore. Yann scriverà queste parole nel memoriale della loro storia, Cet amour-là. Tra le pagine di questo libro emerge il dolore durassiano, il suo costante tormento di non riuscire ad entrare in contatto con l’altro. La scrittura di Yann Andréa si sovrappone a quella di Duras. In lui si legge la poetica di Duras. Stare al suo fianco, anche nella stesura dei romanzi e delle sceneggiature significherà per il giovane studente un’assimilazione totale, nel tempo, del corpo e della mente di Duras, della sua scrittura carnale, appassionata, avvolgente.

 

Di nuovo li vedo a bordo della Peugeot 104. Sono stati fuori tutta la notte. Albeggia. Yann e Marguerite si rimettono in auto, tornano all’appartamento di lei. «Non andare in un hotel, dopotutto sono pieni in questo periodo dell’anno. La stanza di mio figlio è vuota, puoi dormire lì».  Inizia in questo modo la loro storia che durerà fino alla morte di Duras, il 3 marzo del 1996. Ma questo Yann non può ancora immaginarlo. In quel momento Yann accetta di dormire nella stanza del figlio, di diventare il compagno, il confidente, l’ultimo amante di Duras, uno degli uomini più amati e più desiderati da Duras ma anche uno dei più sfuggenti e tormentati. 


Yann Andréa non ha solo 38 anni in meno di Duras. Yann Andréa desidera gli uomini. L’impossibilità della passione con Yann dilania e scalfisce l’animo di Marguerite creando delle profonde crepe d’inquietudine e di dolore nei suoi scritti e nella sua, già dilaniata, vita.


È nello spazio di queste ferite che lasciano il cuore troppo aperto che si inserirà la stesura di Agatha.



Marguerite Duras ho dedicato uno dei tre capitoli del mio ultimo libro, L'evento della scrittura. Sull'autobiografia femminile in Colette, Marguerite Duras, Annie Ernaux pubblicato da 13lab Editore .


 

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