«La parola scritta ha un suo
primato e una sua durata: arriva a sfidare i secoli». Così scriveva, alcuni
anni fa, Paolo Mauri a proposito di Lidia Storoni Mazzolani all'indomani della
sua scomparsa. Con quelle parole, Mauri rievocava l'indagine narrativa della
scrittrice permeata dalla storia della condizione della donna, una storia,
spesso, fatta di lunghi silenzi.
La femminilità silenziosa è uno
dei temi al centro dell'ultimo romanzo di Viola Ardone, Oliva Denaro, pubblicato
da Einaudi nel 2021 e presentato al Premio Strega 2022 da Concita De Gregorio.
Ho avuto il piacere di presentare
il libro di Ardone sabato 5 marzo presso la Biblioteca Raffaello di Roma e, in
quell'occasione, ho rintracciato quanto Ardone sembra raccogliere l'eredità
letteraria di Mazzolani. Il suo libro risente della storia di quel piccolo
mondo antico, Martorana, un paese della Sicilia degli anni '60, e delle sue
idee e concezioni dalle quali deriva l'immagine morale della donna.
Incontriamo Oliva mentre
sgattaiola dalla sua stanza, le galosce di gomma e il secchio in mano. È fiera
di essere l'aiutante di suo padre. I babbalucci basta staccarli dalla roccia e
metterli nella sporta, più difficile è acciuffare le rane. Ogni volta è una
gioia tornare a casa con il bottino per la cena. Quando non porta le galosce,
Oliva indossa gli zoccoletti e la gonna le sfiora il ginocchio. Ma andare a
lumache e rane non è una cosa da femmina, sua madre le ripete spesso questa
frase. Essere femmina significa conservarsi virtuosa, integra e pulita, tenere
lo sguardo basso. Sparire nella bolla dell'invisibilità, diventare un plurale
indefinito e anonimo, annullare le proprie attitudini e desideri: in questi
pochi ma pesanti insegnamenti è racchiusa l'esistenza di una donna.
Il salto dall'infanzia alla
fanciullezza avviene nell'arco di un giorno. Oliva si scopre femmina, esce
dalla bolla d'invisibilità e diventa oggetto di sguardi, corpo a uso e consumo
del desiderio maschile. «Conservati virtuosa, di te non far sparlare, non farti
trascinare da brutte compagnie». Nonostante l'osservanza delle regole
dell'obbedienza, Oliva verrà presa con la forza, usata e abusata.
«La colpa è di chi fa, non di chi
patisce». A parlare è Liliana, la migliore amica di Oliva. Ama la libertà,
veste come vuole, sperimenta le sue emozioni e gioca con i suoi desideri,
costruisce la donna che diventerà da grande e partecipa alle riunioni del padre
comunista. Sarà lui a consigliare alla famiglia di Oliva di non arrendersi
davanti alle minacce dell'uomo che l'ha violentata. E sarà la sua voce a catturare
l'attenzione del padre di Oliva, questo uomo meraviglioso che tende la mano
alla figlia, sempre e in ogni momento, stringendola, appena appena, e
accompagnandola verso la libertà.
Riecheggia la voce di quella
ragazza di Alcamo che nel '65 rifiuta di sposare l'uomo che l'aveva violentata.
Quella ragazza che con coraggio e determinazione dice, durante il processo: «l’onore
lo perde chi fa certe cose, non chi le subisce».
«La storia di una donna è la
storia di tutte le donne» scrive Ardone. Ed è lì che qualcosa, dentro di me, si
è incrinato. Ho ceduto alla storia di Oliva. Perché, in fondo, è vero quello
che scrive Viola Ardone. Nella storia di una donna c'è qualcosa di tutte le
donne. Quando usciamo dallo sguardo dello sciovinismo maschile e ci mettiamo in
ascolto della voce della donna che ci sta accanto è in quel momento che ci
riconosciamo.
Nella storia di Oliva Denaro ho
visto quella di tante altre ragazze che non hanno avuto un padre che stringesse
loro la mano, non hanno avuto la possibilità di lasciarsi indietro quello che
hanno perso e raccogliere i cocci per ricostruire e riscoprire la propria
identità. È a queste donne che sembra rivolgersi la voce di Oliva Denaro, a
tutte coloro che corrono a «scattafiato senza guardarsi indietro, che conoscono
la forma segreta delle nuvole e cercano di indovinare l'amore nei petali di un
fiore» perché la storia di una donna non sia più quella di un lungo silenzio.
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