Giorno di vacanza di Inés Cagnati

"Penso che ci siano poche infanzie-paradiso", così Inès Cagnati si racconta alla scrittrice e poetessa Laurence Paton, rivelando di non essere mai stata una bambina felice e di aver preferito "scrivere che parlare". Questo l'ho avvertito in seguito alla lettura di Génie la matta, ed è quello che si ripresenta ora che ho letto "Giorno di vacanza" (Adelphi, traduzione di Lorenza Di Lella, Francesca Scala). Storie che si nutrono di miserie e tragedie, le stesse che vengono messe sotto la lente d'ingrandimento di Cagnati, illuminate dalla sua scrittura. 



Come nel libro "Génie la matta", anche in "Giorno di vacanza" (uscito in Francia e premiato nel 1973 con il prix Roger Nimier) il corpo materno diventa un campo minato dalla disperazione e dall'abbandono, dalla povertà e dalla follia. Un corpo che non riesce ad accogliere i suoi figli trasformandosi in un luogo sconosciuto prima di svanire completamente. 


Galla, la quattordicenne che riesce ad accedere al liceo grazie alla borsa di studio e alla tenacia della sua insegnante di lettere delle scuole medie,  è catapultata nel cosiddetto "mondo dei dominanti", come lo definirebbe Annie Ernaux. E' in quello spazio circoscritto dalle mura scolastiche, dalle aule, dalle lezioni di italiano e matematica che le viene continuamente ricordato che lei, Galla, non farà mai parte di quel mondo perché proviene dalla classe sociale oppressa, quella dei dominati. Ma Galla non ci sta e con la sua bicicletta percorre trentacinque chilometri per frequentare il liceo che le avrebbe dato ciò che la sua famiglia non ha avuto: la speranza. Mentre attraversa le paludi da cui proviene, quella terra arida dove crescono solo sassi, Galla si aggrappa alla speranza di poter studiare e di guadagnare abbastanza soldi per acquistare una terra fertile per la sua famiglia. Ogni chilometro percorso sulla bicicletta non fa che avvicinarla alla sua speranza. Come in "Génie la matta", anche in questo libro Inés Cagnati inserisce la narrazione in un climax emotivo che ci trascina fino all'ultima pagina, sconvolgendoci.


Ricordo di aver scritto, dopo la lettura di "Génie la matta", che avrei atteso con trepidazione altri suoi libri, pochi ma preziosi che lei ha scritto lontana dai salotti parigini, nel silenzio che si confà alla scrittura. Ed ecco una nuova traduzione, sempre per Adelphi. Un libro attuale che racconta con forza la sua storia, la storia di una donna che si è sempre sentita straniera. Un libro che andrebbe analizzato sotto molti aspetti anche quello dell'immigrazione proprio alla luce di quanto sta accadendo a Parigi.


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