Bene immobile è l’ultimo capitolo dell’autobiografia in movimento di Deborah Levy, un’opera che esplora con delicatezza e profondità i temi della memoria, del desiderio e dell’identità. In questo volume, Levy affronta la questione del possesso (reale, emotivo e simbolico) intrecciando il concetto di casa con quello di spazio personale, intellettuale e creativo. Al centro del libro c’è il sogno di una “casa perfetta”, una sorta di rifugio immaginato, lussureggiante e irraggiungibile, che la scrittrice dipinge come fosse un desiderio profondo ma impossibile.
La casa diventa metafora non solo di una proprietà materiale, ma anche dello spazio mentale in cui scrivere, immaginare e reinventarsi. Come negli altri due libri che compongono le trilogia, Il costo della vita e Cose che non voglio sapere, anche qui la ricerca della casa ideale è solo il punto di partenza. Deborah Levy intreccia questo desiderio con riflessioni più ampie sulla vita delle donne, sul costo emotivo della libertà e sull’importanza di occupare uno spazio che non sia solo fisico, ma anche culturale e spirituale. Attraverso le sue esperienze, Levy invita a interrogarsi su cosa significhi veramente possedere qualcosa: una casa, una storia, una vita.
Il suo linguaggio, come nei libri precedenti che compongono la trilogia, è lirico e stratificato, con una prosa che scivola tra l’introspezione intima e le riflessioni universali.
La casa è la cornice per esplorare temi profondi: la scrittura come luogo di appartenenza, lo scorrere del tempo e l’inevitabile imperfezione della vita vissuta. In questa opera, Levy ci offre un ritratto vivido e commovente della tensione tra ciò che desideriamo e ciò che abbiamo, spingendoci a riflettere su cosa significhi davvero mettere radici nel mondo.
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