Del dolore e della rinascita: Scisma di Ilaria Palomba

Tutto è in bilico nel gesto della scrittura, urgenza che spinge a raccontare, a ritrovare un legame con sé stessi e con le voci che ci hanno preceduto o che risuonano accanto a noi, nel silenzio della parola.

E' da questa riflessione che sono partita dopo la lettura di Scisma di Ilaria Palomba (Les Flâneurs Edizioni, collana curata da Alessandro Cannavale ed Elisabetta Destasio Vettori)

Questa autobiografia poetica, facendo ricorso alle parole della sapiente prefazione scritta da Luigia Sorrentino, mi ha proiettata in un viaggio tra le rovine interiori e i tentativi di risurrezione, in un dialogo continuo tra distruzione e ricostruzione del sé. "Il racconto in versi", avverte Sorrentino in apertura alla prefazione, "di una sopravvissuta che guarda sé stessa dal di fuori, dal dopo. Il diario in versi è contrassegnato dall’inizio alla fine dai centottant’otto giorni trascorsi dalla scrittrice nell’Unità spinale del CTO a Roma". 



Un racconto che, già dal titolo, Scisma, evoca una frattura, una separazione profonda. Ma da cosa o da chi? Palomba affronta un dissidio esistenziale che si fa universale: lo scisma tra il sé e il mondo, tra il corpo e l’anima, tra la parola e il silenzio. La sua poesia è un grido che nasce dall’incomunicabilità, dalla consapevolezza di un dolore che non si riduce a esperienza individuale, ma che diventa condizione condivisa, collettiva.


I versi di Palomba vibrano di un’angoscia che si fa carne, di un senso di perdita che abita ogni immagine evocata. C’è una tensione continua tra distruzione e ricerca di senso, tra annientamento e volontà di sopravvivenza. E in questa tensione, la scrittura è un bisturi che incide senza pietà. I suoi versi sono scarni, essenziali, privi di orpelli, e proprio per questo capaci di colpire con violenza. C’è un uso sapiente del ritmo, un’alternanza di frammenti spezzati e immagini dirompenti che travolgono.


E poi quel corpo. Esposto, martoriato, simbolo della ferita e, al tempo stesso, della resistenza: ossa spezzate, vertebre esplose, lesioni spinali che diventano metafore di una frattura più profonda, esistenziale e linguistica. Il dolore non è solo narrato, ma è esperito attraverso una scrittura che si fa voce e carne, che restituisce lo smarrimento e la lotta contro la paralisi, la perdita, la paura di non essere più come prima.


In un dialogo costante con i suoi maestri, Palomba accoglie la parola di Alejandra Pizarnik, Amelia Rosselli, Paul Celan, Louise Glück. Ogni sezione del libro si apre con una loro citazione, creando un tessuto intertestuale che arricchisce e amplifica il senso dei versi. Se la Pizarnik è la stella polare della disperazione poetica, la Rosselli incarna la furia espressiva, Lévinas e Lacan offrono uno sguardo filosofico sulla scissione dell’io e sulla possibilità della ricostruzione. Palomba assimila queste voci e le trasforma in un canto personale, in una scrittura che cerca di dare forma all’inesprimibile. La scrittura diventa il mezzo con cui l’autrice ridefinisce la propria esistenza, trasformando la sofferenza in una nuova possibilità di essere. 


La scrittura di Scisma non si fissa in un’unica forma ma si inscrive in un processo di continua trasformazione. La parola diventa un movimento incessante tra memoria del passato e realtà del presente, un flusso che oscilla tra la rovina e la rinascita, tra il crollo e la resistenza. Il testo è una fenditura, un’articolazione stratificata di fratture e ricomposizioni, dove ogni poesia porta con sé l’eco della distruzione e il tentativo di ricostruzione del proprio io. 


In questo dialogo tra dissoluzione e rinascita, il gesto stesso della scrittura diventa il campo delle forze, giuntura tra opposti, luogo di resistenza alla fissità del senso, in cui ogni parola si carica del peso di ciò che è stato e dell’urgenza di ciò che potrebbe ancora essere.


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